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Spettacolo

Asia Argento compie 50 anni: auguri dall’ex Civetta, il ricordo di Bourdain e l’impegno per Gaza

Dal debutto sul set a sei anni fino al Metoo, dalla perdita di Anthony Bourdain al ritorno sui social per riprendersi la propria voce: Asia Argento segna il traguardo dei 50 anni senza smettere di dividere e di raccontarsi.

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    Asia Argento è nata a Roma il 20 settembre 1975. Figlia di Dario, il maestro dell’horror, e dell’attrice fiorentina Daria Nicolodi, il cinema ce l’aveva già scritto nel destino. A sei anni era sul set, a diciotto protagonista di Nanni Moretti in Palombella rossa. Da allora, oltre ottanta film: Carlo Verdone, Giovanni Veronesi, Sofia Coppola, Abel Ferrara, fino al debutto dietro la macchina da presa con Scarlet Diva e l’ultimo lavoro Incompresa, presentato a Cannes nel 2014.

    Oggi Asia compie 50 anni e si racconta come una donna diversa. «Ho sofferto e lottato troppo nella vita, ora voglio solo pace, amore e risate», ha confidato a Repubblica. Un compleanno vissuto lontano dai riflettori, con gli auguri social dell’ex compagno Michele Civetta, padre di suo figlio Nicola: «Benedizione, prosperità, caos creativo, famiglia e felicità per il prossimo decennio. Continua a ispirare, a essere ispirata. Ti voglio bene all’infinito, Mamma Roma!».

    Ma il giorno non è solo festa. Due giorni fa, Asia ha ricordato il grande amore perduto: Anthony Bourdain, morto suicida nel 2018. In un post struggente ha raccontato il dolore che ancora la accompagna: «Anthony si è tolto la vita l’8 giugno 2018. Lo amavo. Da quel giorno convivo con lo shock e il devastante ciclo del “e se…”. Chiunque abbia perso qualcuno per suicidio conosce la colpa e l’autocolpevolizzazione. È crudele essere accusata di averlo “ucciso”, quando ancora sto imparando a sopravvivere alla sua assenza».

    Non solo memoria personale: Asia oggi è anche impegno politico e sociale. Sui social ha espresso sostegno alla Flotilla che veleggia verso Gaza, un gesto che conferma la sua vocazione a schierarsi, anche quando costa caro.

    Il prezzo della sua esposizione lo conosce bene. Dopo la denuncia delle violenze di Harvey Weinstein, che contribuì a far esplodere il movimento Metoo, Asia fu travolta dalla controaccusa: la presunta relazione con Jimmy Bennett, allora diciassettenne. Anni dopo, è tornata a parlarne per riappropriarsi della sua storia: «Quello che è successo è stato consensuale, secondo gli standard legali del mio Paese. Ma in America la legge era diversa. Ho perso lavoro, amicizie, nome. Sono stata condannata senza processo. Ora racconto io la mia verità».

    Asia Argento arriva così ai 50 anni come è sempre stata: artista scomoda, corpo politico, donna ferita ma ostinata. Madre di Anna Lou e Nicola, regista e attrice che non ha mai smesso di rischiare. Vittima e carnefice, eroina e capro espiatorio: impossibile ridurla a un’etichetta. Forse è proprio qui il segreto della sua resistenza.

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      Musica

      Fedez chiede scusa a Jannik Sinner: “Paradosso mal riuscito, mi assumo la responsabilità”

      Dopo le polemiche per le barre pubblicate su Instagram, il rapper chiarisce dal palco del Forum di Assago: «Volevo denunciare il razzismo, ma ho sbagliato tutto». Nel mirino anche Schlein, Carlo Acutis e Charlie Kirk.

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      Fedez chiede scusa a Jannik Sinner: “Paradosso mal riuscito, mi assumo la responsabilità”

        La polemica nata dalle barre pubblicate da Fedez su Instagram ha tenuto banco per giorni, complice una strofa che ha toccato corde estremamente sensibili. In un passaggio, il rapper aveva citato il numero uno del tennis italiano Jannik Sinner con un parallelismo che ha sollevato indignazione: «L’italiano ha un nuovo idolo, si chiama Jannik Sinner. Purosangue italiano con l’accento di Adolf Hitler». Versi che hanno scatenato un’ondata di critiche sui social e nel dibattito pubblico, soprattutto perché accostavano il nome dell’altoatesino al dittatore nazista.

        Ma non era solo Sinner a essere evocato: le barre di Fedez facevano riferimento anche alla segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, alla canonizzazione di Carlo Acutis e persino a un presunto “omicidio” del commentatore conservatore americano Charlie Kirk, aggiungendo ulteriore benzina al fuoco della polemica.

        Il chiarimento al Forum di Assago

        È stato lo stesso Fedez a fare un passo indietro e a chiedere pubblicamente scusa durante il concerto al Forum di Assago, prima data del suo tour Ritorno a casa. Interrompendo lo show, ha preso il microfono e ha spiegato:
        «Ho preparato delle strofe inedite e riscritto delle cose. Anche il brano che sentirete ora, Tutto il contrario, l’avevo modificato. Quando ho pubblicato quelle barre si è scatenato un putiferio: avevo scritto due righe di spiegazione, ma la verità è che la cosa più giusta è parlare a viso aperto e non da dietro uno schermo».

        Poi l’ammissione: «Credo che se una cosa non viene capita, la responsabilità è di chi l’ha scritta. Mi assumo l’errore. La mia idea era di portare all’esasperazione un paradosso: spesso in Italia gli atleti nati qui, ma con la pelle di un altro colore, non vengono riconosciuti come italiani. Ho provato a ribaltare la questione con Sinner, che invece incarna il prototipo del “puro italiano”. Ma applicarlo a lui, l’atleta più amato in questo momento, è stato un disastro. Non ci sono riuscito. Tutto ciò che posso fare è chiedere scusa».

        Un messaggio frainteso

        L’artista ha dunque chiarito che la sua intenzione non era quella di insultare Sinner, ma di denunciare le derive razziste che ancora circolano nello sport e nella società italiana. Il problema, ha riconosciuto lui stesso, è stato l’aver scelto un esempio sbagliato e un linguaggio inadeguato.

        L’episodio conferma come le barre rap, costruite su provocazioni e paradossi, possano facilmente essere fraintese quando escono dal contesto musicale e finiscono sui social, privati di ritmo e ironia. Fedez non è nuovo alle polemiche legate ai suoi testi, ma questa volta ha preferito fermarsi e chiedere scusa, prima che il fraintendimento alimentasse ulteriori tensioni.

        Reazioni e riflessioni

        Il caso ha comunque aperto un dibattito più ampio: fino a che punto un artista può spingersi con la provocazione? E dove finisce il confine tra satira e cattivo gusto? Le scuse del rapper, accolte con un applauso dal pubblico del Forum, sembrano segnare un punto di svolta nel suo approccio: «Non voglio che la mia musica ferisca chi non c’entra nulla — ha concluso Fedez —. Voglio che sia uno strumento per riflettere, non per offendere».

        Per Sinner nessun commento ufficiale, ma il caso appare destinato a rientrare. Resta però la lezione per chi, come Fedez, gioca con le parole: nel mondo iper-connesso dei social, un verso non è mai solo una rima.

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          Musica

          Grignani contro Pausini: “Ha stravolto la mia canzone”. Diffida per La mia storia tra le dita

          Gianluca Grignani non ci sta e affida ai legali la difesa della sua hit: “Quel testo è stato cambiato nel senso, non lo avevo autorizzato”. La replica dell’entourage Pausini: “Le autorizzazioni ci sono tutte”.

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            Altro che amicizia social a colpi di “ti voglio bene”: la querelle tra Laura Pausini e Gianluca Grignani deflagra di nuovo, questa volta in tribunale. A scatenare la scintilla è la cover di La mia storia tra le dita, brano-manifesto di Grignani del 1994, che la cantante romagnola ha rilanciato lo scorso 12 settembre in italiano, spagnolo e portoghese. Un’operazione internazionale, destinata al pubblico globale, che però non è piaciuta affatto al suo autore.

            Già a luglio Grignani aveva manifestato fastidio perché nel post di lancio del singolo non compariva il suo nome. Poi era arrivata la correzione e una parvenza di pace, suggellata da un botta e risposta amichevole sui social. Ma tre mesi dopo la tregua è saltata. «Gli autori Gianluca Grignani e Massimo Luca, preso atto dello stravolgimento operato sul testo originale della canzone e del conseguente capovolgimento di senso, hanno dato mandato all’avvocato Giorgio Tramacere di tutelare in ogni sede l’integrità della loro opera», recita la nota ufficiale diffusa ieri.

            Grignani: “cambia completamente il senso del brano”

            Il casus belli è una frase: nell’originale Grignani canta “E se davvero non vuoi dirmi che ho sbagliato, ricorda a volte un uomo va anche perdonato”. Nella versione Pausini diventa invece “E se davvero non vuoi dirmi che hai sbagliato, ricorda a volte un uomo va anche perdonato”. Uno scambio di pronomi che, secondo Grignani, “cambia completamente il senso del brano”, trasformando una confessione personale in un’accusa altrui.

            Il musicista sostiene di non aver potuto ascoltare la nuova versione prima della pubblicazione e di non aver mai dato l’ok a una simile variazione. Di qui la scelta di rivolgersi ai legali.

            Dal canto suo, l’entourage di Laura Pausini ribadisce che “le autorizzazioni ci sono tutte” e che la cantante aveva già chiarito di aver rispettato ogni passaggio burocratico e contrattuale. Già in estate Pausini aveva spiegato: «Ho fatto tutto in regola, Gianluca era perfettamente informato».

            La frattura, però, appare ormai evidente. E la disputa tocca corde delicate: da un lato la libertà interpretativa di un’artista internazionale, dall’altro il diritto dell’autore di difendere il messaggio originario di un brano che ha segnato un’epoca.

            La canzone che raccontava la fragilità di un amore finito torna così a essere terreno di scontro. Solo che, questa volta, non si tratta di cuori spezzati, ma di carte bollate.

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              Televisione

              “Bad Influencer”, il lato oscuro dei baby influencer: su Netflix il doc che svela l’inferno dietro i like

              Piper Rockelle e “The Squad” sono i volti noti di una macchina da milioni di follower. Ma dietro la fama, il documentario mostra un mondo fatto di pressioni, business familiare e silenzi pericolosi. Quando l’infanzia diventa contenuto.

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                Si chiama Bad Influence e promette di scuotere coscienze e algoritmi. Il documentario Netflix in tre episodi, disponibile dal 9 aprile 2025, è un viaggio disturbante e necessario nel cuore del fenomeno dei baby influencer. Creato da Jenna Rosher e Kief Davidson, due registi con un passato da documentaristi impegnati, il titolo è già destinato a sollevare discussioni accese. Perché al centro c’è una verità scomoda: dietro milioni di like, si nasconde spesso un prezzo altissimo.

                Il volto simbolo del documentario è Piper Rockelle, star di YouTube con oltre 11 milioni di iscritti, protagonista del collettivo “The Squad”. Nelle clip sembra tutto perfetto: challenge, coreografie, prank e sorrisi. Ma le testimonianze di ex membri, genitori e collaboratori raccontano un altro lato della medaglia. Uno fatto di dinamiche tossiche, isolamento, pressioni economiche e accuse gravissime.

                Il documentario non si limita a puntare il dito su un singolo caso. Fa molto di più: indaga un intero sistema che ha trasformato l’infanzia in un prodotto vendibile. Dai video per “bambini” agli account gestiti dai genitori, dalle sponsorizzazioni ai contratti vincolanti, Bad Influence mostra come i minori siano spesso al centro di una filiera commerciale senza regole né reali tutele.

                Decoy Productions, la casa dietro il progetto, mette insieme materiale d’archivio, interviste esclusive e ricostruzioni che non risparmiano nessuno: né i genitori-manager, né le piattaforme, né il pubblico. Perché se è vero che YouTube e TikTok hanno rivoluzionato l’intrattenimento, è anche vero che l’impatto sui più giovani — quando non addirittura sui bambini — è una bomba a orologeria che finora nessuno ha davvero disinnescato.

                E allora la domanda è semplice: chi protegge questi ragazzini? Chi garantisce loro un futuro, una salute mentale stabile, un’identità che non sia solo l’estensione del proprio username? Il documentario si interroga anche su questo, mostrandoci un mondo in cui il confine tra gioco e lavoro si dissolve, e la privacy diventa merce di scambio tra views e profitto.

                Tra le scene più forti, il racconto di un ex membro del collettivo che parla di burnout, isolamento emotivo e di un ambiente competitivo in cui i bambini diventano “numeri” e “personaggi”, non più persone. Un universo dove la luce dei riflettori è sempre accesa, anche quando vorresti solo spegnerla.

                Bad Influence non è solo un documentario: è una riflessione urgente sul presente digitale in cui siamo immersi. Che siate genitori, educatori, influencer o semplici utenti, questo titolo vi costringerà a fare i conti con la realtà. Una realtà che forse non avevamo voglia di guardare. Ma che ora è impossibile ignorare.

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