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Cinema

La controversa serie su Meredith Kercher: perché la produce proprio Amanda Knox?

A 17 anni dall’omicidio di Meredith Kercher, Perugia diventa il set di una serie tv prodotta da Amanda Knox e Monica Lewinsky. Problemi? Parecchi…

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    A 17 anni dall’omicidio della studentessa Meredith Kercher, Perugia si ritrova al centro di una nuova polemica. Questa volta non per l’accaduto in sé ma per la scelta di trasformare la tragedia in una serie televisiva prodotta da Amanda Knox, una delle principali accusate dell’omicidio poi assolta. Questa decisione ha scatenato un dibattito acceso, dividendo l’opinione pubblica e sollevando interrogativi sulla gestione di un caso così delicato.

    Perché una serie su Meredith Kercher?

    La decisione di affidare la produzione della serie ad Amanda Knox e Monica Lewinsky è stata sicuramente sorprendente. Quali sono le prospettive? La Knox vuole raccontare la sua versione dei fatti, dopo anni di processi e di accuse. La serie rappresenta per lei l’opportunità di ricostruire la sua storia e di riabilitare la sua immagine. La storia di Amanda Knox ha sempre suscitato grande interesse mediatico, sia in Italia che all’estero. Una serie televisiva dedicata a questo tema è destinata a catturare l’attenzione di un vasto pubblico. La vicenda di Knox è spesso citata come esempio di un errore giudiziario. La serie potrebbe contribuire a riaprire il dibattito sulla giustizia e sulla necessità di garantire un processo equo a tutti. Tuttavia, la scelta di affidare la produzione della serie alla stessa Knox ha suscitato numerose critiche. In particolare, l’avvocato della famiglia Kercher ha espresso profondo disappunto, sottolineando come questa iniziativa sia volta unicamente a far guadagnare soldi a Knox, sfruttando una tragedia.

    Quali sono le principali critiche mosse alla serie

    Molti ritengono che la produzione di una serie su questo tema sia un affronto alla memoria di Meredith Kercher e alla sofferenza della sua famiglia. Esiste il rischio che la serie presenti una versione distorta dei fatti, focalizzandosi esclusivamente sul punto di vista di Amanda Knox e trascurando altre prospettive. Alcuni sostengono che questa iniziativa sia una forma di speculazione sulla sofferenza altrui e che possa riaprire ferite ancora aperte. La decisione di trasformare la storia di Meredith Kercher in una serie televisiva è indubbiamente complessa e delicata. Da un lato, c’è il diritto di Amanda Knox di raccontare la sua versione dei fatti, dall’altro, c’è il rispetto dovuto alla memoria della vittima e alle sofferenze della sua famiglia.

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      Cinema

      Gal Gadot si giustifica: “Biancaneve è andato male perché mi hanno fatto parlare contro Israele”. Sì, certo, come no: basta crederci

      Ospite in una trasmissione israeliana, la star di Wonder Woman ha detto che Hollywood penalizza chi non prende posizione contro Israele. Ma intanto Biancaneve resta un disastro al botteghino.

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        Quando un film va male, c’è chi si assume le responsabilità e chi cerca giustificazioni creative. Gal Gadot appartiene decisamente alla seconda categoria. Il live-action di Biancaneve prodotto dalla Disney, in cui interpretava la Regina Cattiva, si è rivelato un tonfo al botteghino. Le recensioni tiepide, la partenza lenta e l’assenza di entusiasmo da parte del pubblico parlano chiaro. Ma per l’attrice israeliana il motivo non sarebbe artistico, bensì politico.

        Ospite del programma The A Talks su un’emittente israeliana, Gadot ha offerto una spiegazione sorprendente: «C’è pressione sulle celebrità affinché parlino contro Israele. E, sai, è successo». Tradotto: se Biancaneve è stato un fiasco, la colpa è del clima ostile verso il suo Paese.

        Il ragionamento, a dir poco ardito, non si ferma lì. «Posso sempre spiegare e cercare di dare un contesto su ciò che accade qui. E lo faccio sempre. Ma alla fine, le persone prendono le proprie decisioni. E sono rimasta delusa che il film ne sia stato incredibilmente colpito e che non sia andato bene al botteghino. Ma funziona così. A volte vinci, a volte perdi».

        Parole che hanno immediatamente sollevato reazioni contrastanti. Perché se è vero che Hollywood non è mai stata neutrale sulle questioni geopolitiche, accusare le dinamiche internazionali di aver affossato una pellicola già zavorrata da mesi di critiche appare come un tentativo goffo di autoassoluzione. Non a caso, il pubblico si chiede se non sia più onesto riconoscere che la Disney abbia sbagliato strategia, che la sceneggiatura non abbia convinto e che l’ennesimo live-action del colosso non abbia portato nulla di nuovo.

        Il fatto che Gal Gadot continui a presentarsi come vittima di un complotto politico globale rende il tutto ancora più surreale. Perché, alla fine, i numeri parlano: Biancaneve ha deluso, indipendentemente da Israele, dalla geopolitica o dalle pressioni sulle star. A volte non è il mondo contro di te, è solo che il film non funziona.

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          Cinema

          Lino Banfi beffato dall’intelligenza artificiale: “Non posso permettere che la mia voce sia usata per pubblicità meschine”

          Il popolare “nonno d’Italia” passa alle vie legali contro ignoti che hanno usato l’intelligenza artificiale per imitarlo. «È un inganno che strumentalizza la credulità popolare. Ho incaricato l’avvocato Giorgio Assumma: i responsabili e i loro intermediari dovranno essere puniti severamente».

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            La tecnologia ha colpito uno degli attori più amati dal pubblico italiano. Lino Banfi ha denunciato la diffusione sui social di un video truffa in cui la sua voce, clonata grazie all’intelligenza artificiale, viene usata per promuovere una presunta crema miracolosa. Una pubblicità ingannevole che lo ha indignato profondamente.

            «Non posso permettere che la mia identità personale, umana e professionale, apprezzata da tanti amici come quella di un serio nonno di famiglia, sia volgarizzata per una pubblicità meschina che tende a strumentalizzare la credulità popolare al fine di perpetrare un futile inganno», ha dichiarato Banfi, con parole dure e senza margini di fraintendimento.

            L’attore, simbolo di decenni di commedie entrate nella memoria collettiva, ha deciso di reagire senza esitazioni. «Ho già incaricato il mio avvocato Giorgio Assumma – ha spiegato – di intraprendere le opportune iniziative legali in tutte le sedi competenti, anche a livello internazionale, affinché i colpevoli e i loro intermediari vengano severamente puniti».

            Il caso si inserisce in un fenomeno sempre più diffuso: l’uso dell’intelligenza artificiale per creare “deepfake” di personaggi famosi, capaci di confondere anche gli spettatori più attenti. Una tecnologia che, se usata male, rischia di minare la fiducia e di generare truffe in serie, colpendo la reputazione di artisti e volti noti.

            Banfi, intanto, guarda avanti con i suoi progetti reali, quelli veri, che lo riportano al grande schermo. In un’intervista al Messaggero ha raccontato di aver appena terminato due lavori: un film con Pio e Amedeo, dove interpreta un ex professore di filosofia alle prese con l’Alzheimer in una casa di riposo, e un docufilm sulla sua stessa vita. «Mi sono sempre detto: facciamolo quando sono vivo, che se lo facciamo da morto…».

            Tra finzione e realtà, tra ironia e indignazione, Banfi resta saldo nella sua identità di “nonno d’Italia”. Questa volta, però, non per far ridere, ma per difendere il diritto sacrosanto a non essere trasformato in un fantoccio digitale al servizio di truffe online.

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              Trump e il piano per Hollywood: “La riporterò all’età dell’oro”. Voight, Gibson e Stallone i suoi ambasciatori

              Donald Trump vuole rimettere mano a Hollywood. E, in perfetto stile trumpiano, lo fa con un proclama roboante: l’industria cinematografica americana è “grande ma travagliata”, ha perso terreno a favore di altri paesi, e serve un rilancio epico. Il piano? Tre ambasciatori speciali direttamente dal gotha del cinema action e conservatore: Jon Voight, Mel Gibson e Sylvester Stallone.

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                L’annuncio è arrivato su Truth Social, con il consueto tono magniloquente: “Questi tre talenti saranno i miei occhi e le mie orecchie, farò quello che suggeriscono. Hollywood tornerà più grande e forte di prima!” Un endorsement che trasforma tre stelle in emissari personali del presidente eletto, con il compito di riportare l’industria americana ai fasti del passato.

                Hollywood made in Trump

                Che il presidente abbia un conto aperto con il mondo dello spettacolo non è un segreto. La mecca del cinema, roccaforte liberal, non ha mai nascosto la sua ostilità nei suoi confronti. Lui, da parte sua, ha sempre ricambiato con accuse di “decadenza”, “woke culture” e “declino economico”. Ora, con Voight, Gibson e Stallone, prova a mettere un piede dentro il sistema.

                L’idea di Trump è chiara: Hollywood deve tornare “americana” e smetterla di perdere colpi rispetto ai concorrenti esteri. Secondo il tycoon, negli ultimi anni l’industria ha ceduto troppo spazio a produzioni straniere, compromettendo il primato a stelle e strisce. E chi meglio di tre veterani dell’action per invertire la rotta?

                Oscar a rischio dopo il disastro

                Intanto, mentre Trump pianifica il futuro di Hollywood, il presente resta incerto. Il devastante incendio che ha colpito la città ha lasciato un bilancio tragico, con morti e migliaia di sfollati. E ora la notte degli Oscar, prevista per il 2 marzo, è appesa a un filo.

                L’Academy resiste, ma il Sun ricorda che un eventuale annullamento sarebbe un evento senza precedenti in 100 anni di storia. Nel frattempo, secondo il Drudge Report, c’è già un “piano B”: un’edizione ridotta e all’aperto, come accadde nel primo anno di pandemia.

                Uno scenario che si scontra con la grandiosa visione trumpiana: mentre il tycoon sogna di riportare Hollywood all’età dell’oro, la realtà impone scelte ben più drammatiche.

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