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Cinema

La spada laser di Darth Vader all’asta: il “Santo Graal” di Star Wars vale fino a 2,6 milioni di euro

Costruita con un vecchio flash fotografico e parti di calcolatrice, la spada di Darth Vader è stata brandita da David Prowse e dallo stuntman Bob Anderson. All’asta anche altri cimeli di Indiana Jones e Men in Black.

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    Quarant’anni dopo aver duellato con Luke Skywalker, la leggendaria spada laser di Darth Vader si prepara a cambiare proprietario. Il cimelio, protagonista delle battaglie in L’Impero colpisce ancora (1980) e Il ritorno dello Jedi (1983), sarà battuto all’asta a Los Angeles dal 4 al 6 settembre, con una stima che tocca i tre milioni di dollari, circa 2,6 milioni di euro.

    A mostrarla in anteprima è stata Propstore, casa d’aste specializzata in memorabilia cinematografici, durante un evento a Londra. “È un pezzo incredibile della storia del cinema”, ha detto il direttore Brandon Alinger, definendolo il “Santo Graal” per i collezionisti.

    Questa versione, usata per le scene di combattimento e priva della lama in legno, è rimasta nelle mani di un collezionista privato americano per oltre quattro decenni. Sul set fu impugnata da David Prowse, l’uomo dietro la maschera di Darth Vader, e dal leggendario stuntman Bob Anderson. Gli esperti hanno autenticato l’arma confrontando graffi e ammaccature con le immagini dei film. “Guardate questa grande ammaccatura sul retro – ha spiegato Alinger – probabilmente è il segno lasciato dalla lama di Luke Skywalker, interpretato da Mark Hamill”.

    Nonostante la fama galattica, la spada è frutto di un ingegno tutto terrestre: è stata realizzata partendo da un vecchio flash fotografico, con pezzi recuperati tra cui componenti di una calcolatrice.

    Il lotto sarà la punta di diamante di un’asta già annunciata come storica. Tra i pezzi in vendita, anche la frusta, la cintura e l’astuccio usati da Harrison Ford in Indiana Jones e l’ultima crociata (1989), e il “neuralyzer” di Men in Black (1997), ancora funzionante, stimato 150.000 dollari. “Quando abbiamo visto questa spada, siamo rimasti a bocca aperta”, ha ammesso Stephen Lane, fondatore di Propstore, paragonandola alle scarpette rosse di Judy Garland ne Il mago di Oz.

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      Cinema

      Ciuchino torna da protagonista: in arrivo lo spin-off del personaggio più amato di Shrek

      Il doppiaggio partirà a settembre 2025, mentre l’uscita è prevista per il 2028. Intanto DreamWorks lavora anche a Shrek 5, in sala dal dicembre 2026.

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      Ciuchino torna

        Il mondo di Shrek si espande ancora. A distanza di oltre vent’anni dal primo film e dopo il grande successo degli spin-off del Gatto con gli Stivali. Ora è il momento per Ciuchino, uno dei personaggi più iconici della saga, di avere finalmente il suo film da protagonista.

        A dare la notizia è stato lo stesso Eddie Murphy, storica voce dell’asino parlante. Durante un’intervista per promuovere la sua nuova pellicola The Pickup, ha rivelato che inizierà a registrare il doppiaggio dello spin-off nel settembre 2025. La data d’uscita? Secondo quanto emerso, DreamWorks punta al 2028.

        Il progetto, ancora in fase iniziale, sarà costruito sul modello narrativo già collaudato con il Gatto con gli Stivali. Focus sul personaggio principale e maggiore attenzione alla sua vita privata. In questo caso, protagonista della storia sarà la strampalata famiglia di Ciuchino, in particolare i sei figli nati dalla relazione con la Dragona. I famosi “Dronkey”, adorabili ibridi metà drago e metà asino.

        I piccoli Debbie, Coco, Bananas, Peanut, Parfait ed Éclair, introdotti per la prima volta in Shrek 2, avranno così finalmente uno spazio narrativo tutto loro. «La storia è davvero divertente – ha dichiarato Murphy – Ciuchino avrà il suo mondo, la sua famiglia, e sarà un film con un tono simile a quello del Gatto con gli Stivali».

        Ma non è tutto. Durante l’intervista, Murphy ha confermato anche che Shrek 5 è già in fase di lavorazione, e che il team è “a circa due anni” dalla conclusione del progetto. Il nuovo capitolo, atteso per il 23 dicembre 2026, riunirà il cast originale: Mike Myers (Shrek), Cameron Diaz (Fiona) ed Eddie Murphy stesso.

        Tra le novità, è stato annunciato anche l’ingresso nel cast vocale di Zendaya, che interpreterà Felicia, la figlia adolescente di Shrek e Fiona. A febbraio 2025 è stato rilasciato un primo teaser, in cui si vede lo stesso Shrek alle prese con meme e tecnologia, segno che l’umorismo surreale e attuale della saga resterà intatto.

        Con due progetti di grande respiro in cantiere, DreamWorks punta a rilanciare il franchise per conquistare non solo i fan storici, ma anche le nuove generazioni cresciute a pane e animazione. E con Ciuchino pronto a raccontare la sua storia, il divertimento è assicurato.

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          Cinema

          Sharon Stone: «Weinstein mi toccò il sedere, lo scagliai via. Io e mia sorella abusate da mio nonno, mia madre mi diceva cose terribili»

          Sharon Stone, 66 anni, non si risparmia: «Non sono una che può prendersi. Dopo Basic Instinct ero considerata una barzelletta, con Casinò ho toccato l’apice e poi più nulla. A quei tempi, se eri donna e ti succedeva qualcosa, eri finita». Parole dure anche contro Weinstein: «Mi ha molestata e strattonata più volte».

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            Sharon Stone non ha mai avuto paura di usare la verità come arma. E nell’intervista al Guardian lo conferma ancora una volta: brutale, spiazzante, scomoda. L’attrice di Basic Instinct, 66 anni, ha attraversato Hollywood come un uragano e adesso, con l’ironia tagliente di chi ha visto troppo, mette in fila i suoi fantasmi: le violenze in famiglia, le molestie subite da Harvey Weinstein, il marchio infamante di un film diventato cult ma anche boomerang, l’ictus che l’ha quasi uccisa.

            Il racconto parte da una ferita recente: la morte della madre Dot. «Se ne è andata qualche mese fa, ma ho avuto bisogno di tempo per parlarne. Dovevo sbollire le sensazioni furiose con cui reagisco sempre alla morte», confessa. Poi, con una risata amara, rievoca gli ultimi giorni di vita della donna: «Negli ultimi giorni mi avrà detto “Ti prendo a calci nella f…” probabilmente quaranta volte. Delirava. E quando l’ultima cosa che tua madre ti dice prima di morire è: “Parli troppo, mi fai venire voglia di suicidarmi”, e tutta la stanza ride, pensi solo che abbia esagerato ancora una volta. Ma lei era così: non riusciva a trovare tenerezza e pace dentro di sé».

            Stone conosce bene la violenza domestica. Nel 2021, con il memoir Il bello di vivere due volte, ha raccontato l’incubo vissuto da bambina: «Io e mia sorella siamo state abusate da mio nonno materno, un molestatore violento e pedofilo. Mia madre stessa è stata picchiata da lui dall’età di cinque anni fino a quando, a nove, fu mandata a fare la domestica». Le cicatrici di quella famiglia si sono trascinate per generazioni: «Le sorelle di mia madre erano cinque. Solo lei è sopravvissuta oltre i cinquant’anni. Le altre hanno avuto vite spezzate o malattie mentali dovute agli abusi».

            La Stone non si tira indietro quando le viene chiesto se anche lei sia stata molestata direttamente. «Sì. E quando l’ho scritto, molti mi hanno accusata di raccontare storie non mie. Ma non era così: non ho mai fatto nomi che non fossero di persone che hanno fatto del bene. Raccontavo la mia storia, punto».

            Dalla famiglia agli abusi nel sistema Hollywood. Sharon Stone non ha mai nascosto lo scontro con Harvey Weinstein: «Mi ha toccato il sedere, l’ho scagliato dall’altra parte della stanza. Non sono una di quelle che può prendersi. Non sono quella che stupri o molesti, né quella a cui chiedi un massaggio. Sono quella che ti dice di toglierti di torno. Ma sono anche quella che lui ha strattonato e schiaffeggiato più volte, cercando di imporsi». L’attrice ricorda un episodio durante un evento benefico: «Cercò di portarmi via il microfono, di farmi chiudere un affare con un suo amico. Mi ribellai: “Sei un truffatore, Harvey, toglimi quelle cazzo di mani di dosso”. Non provò a stuprarmi, ma usò violenza fisica».

            Poi c’è la pietra miliare della sua carriera: Basic Instinct. Il thriller del 1992 la trasformò in icona globale, ma anche in bersaglio. «Per un lungo periodo ero considerata una barzelletta. Quella scena delle gambe accavallate mi ha segnata. Mi dissero che non si sarebbe visto nulla, invece usarono tutto. Pensai di far causa, ma alla fine lasciai la scena perché era fedele al personaggio». L’eco del film fu devastante: «Recitai in Casinò di Scorsese, ottenni una nomination all’Oscar, e poi basta. Nessuna proposta. A volte penso sia colpa della mia eccessiva bravura».

            Stone lo racconta con un filo di orgoglio, ma anche con amarezza. «Quando ricevi una nomination e il più grande attore vivente – Robert De Niro – no, si crea uno squilibrio che il sistema non tollera. Dopo Casinò per me si è chiuso tutto».

            Come se non bastasse, nel 2001 arrivò l’ictus: «Sanguinamenti cerebrali per nove giorni. Mi diedero l’1% di possibilità di sopravvivenza. Dovetti imparare di nuovo a camminare, parlare, leggere. Ma a quei tempi, come donna, se ti succedeva qualcosa, eri finita. Non ti perdonavano la malattia. Era come se avessi fatto qualcosa di sbagliato».

            Per anni le offerte di lavoro si ridussero a comparsate di poco conto. «Mi proponevano solo ruoli umilianti. A un certo punto decisi che non avrei più lavorato. O meglio: che non avrei accettato ruoli che non mi piacessero. Il che equivaleva a non lavorare».

            Eppure Sharon Stone non si è mai piegata. «Ho perso tanto, ma non ho perso me stessa. Non mi sono mai lasciata comprare, non mi sono mai lasciata zittire». Oggi, tra nuovi film e serie, si gode una seconda vita artistica, con la stessa fierezza di sempre. «Dopo tutto quello che ho passato – dice – anche un bicchiere vuoto può avere un lato positivo: può sempre essere riempito».

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              Cinema

              Kevin Costner, il tramonto del cowboy di Hollywood: tra il flop di Horizon e lo strappo da Yellowstone, il re del West è rimasto solo nel deserto

              Dopo aver investito 38 milioni di dollari di tasca propria nel kolossal Horizon, accolto freddamente da pubblico e critica, e l’uscita burrascosa da Yellowstone, l’attore-regista attraversa il periodo più nero della sua carriera. The Hollywood Reporter: “Hollywood si sta stancando del suo ego”.

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                C’era una volta Kevin Costner, l’uomo che faceva sognare l’America con Balla coi lupi, Gli intoccabili e L’uomo dei sogni. Oggi, quell’eroe del West che cavalcava solitario verso il tramonto sembra essersi perso proprio dietro l’orizzonte. Hollywood lo guarda con sospetto, e persino i vecchi alleati lo considerano ormai “una scommessa difficile”.

                A raccontare il declino dell’attore-regista è un lungo articolo di The Hollywood Reporter, che fotografa il momento più critico della sua carriera. Da un lato il fallimento parziale di Horizon: An American Saga, dall’altro l’uscita burrascosa da Yellowstone, la serie che aveva restituito a Costner la gloria perduta. Due scosse che hanno minato un’immagine costruita in quarant’anni di successi e ambizioni titaniche.

                Costner aveva creduto fino in fondo in Horizon, definendolo “il mio testamento artistico”. Una saga western in quattro capitoli, ambientata nel cuore dell’America di frontiera, che avrebbe dovuto restituire al genere la grandezza epica dei tempi di John Ford. Ma il progetto, da sogno, si è trasformato in incubo. Il primo capitolo, uscito nel 2024, è stato accolto da recensioni gelide e incassi disastrosi: “disorganico, interminabile, visivamente sontuoso ma emotivamente piatto”, hanno scritto i critici.

                Peggio ancora, l’intera operazione è costata a Costner circa 38 milioni di dollari personali, una cifra colossale anche per un divo del suo calibro. Il flop al botteghino ha spinto i distributori a sospendere la release del secondo episodio, previsto per la scorsa estate. E mentre la sua epopea languiva, un’altra relazione professionale crollava sotto il peso dell’ego e delle incomprensioni: quella con Taylor Sheridan, il creatore di Yellowstone.

                Dietro le quinte della serie campione d’ascolti si nascondeva da tempo una tensione crescente. Costner, impegnato a girare Horizon, chiedeva di ridurre le settimane di riprese. Sheridan, dal canto suo, non accettava compromessi. Il risultato è stato un muro contro muro culminato nel divorzio: John Dutton, il patriarca interpretato da Costner, verrà eliminato nella seconda parte della quinta stagione, in onda a novembre. “Non sono più coinvolto nella serie da oltre un anno”, ha detto l’attore, lasciando intendere che la rottura è stata definitiva.

                Il doppio colpo – il flop cinematografico e l’addio televisivo – ha incrinato l’aura del divo solitario. The Hollywood Reporter parla di “una crisi d’immagine irreversibile”: Costner, spiegano i produttori, è diventato “troppo ingombrante, troppo caro, troppo autonomo”. Nel nuovo ecosistema dominato da franchise e piattaforme streaming, un artista che vuole fare tutto da sé – scrivere, dirigere, produrre e recitare – è percepito come un rischio, non come un valore.

                Eppure l’attore non sembra disposto a rinunciare al suo modo di fare cinema. “Non voglio compromessi, voglio libertà”, ha dichiarato in più interviste. Ma in un’industria che oggi misura tutto in visualizzazioni e ROI, la libertà creativa costa cara. Persino i suoi alleati di lunga data cominciano a sfilarsi, e le major, racconta THR, “lo evitano come si evita una mina in un campo di granturco”.

                Il destino di Horizon è ora sospeso. I capitoli successivi restano bloccati, e nessuno sembra voler rischiare altri milioni su un nome che non garantisce più ritorni. Una parabola amara per l’uomo che aveva riscritto la grammatica del western moderno e vinto sette Oscar con Balla coi lupi.

                Eppure, come spesso accade a Hollywood, nessuno è mai davvero finito. “Costner potrebbe ancora tornare – conclude The Hollywood Reporter – se saprà ridimensionarsi, se accetterà di non essere più il cowboy che comanda il set. In fondo, questa città vive di resurrezioni”.

                Forse il suo prossimo film non si chiamerà Horizon, ma la metafora resta perfetta. Perché, come nei suoi film più belli, Kevin Costner è ancora lì: una sagoma all’orizzonte, pronta a risalire a cavallo per un ultimo, disperato assalto al mito.

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