Cinema
Tanti auguri a Hugh Grant, 64 anni con 5 figli da due donne. E solo 3 hanno un nome…
Il protagonosta del divertentissimo Notting Hill compie 64 anni. Una festa in famiglia coi suoi 5 figli: la cosa strana è che il nome di due è sconosciuto e la loro nascita è stata resa nota alcuni mesi dopo la venuita al mondo. In molti si chiedono il perchè.
Hugh Grant ha compito 64 anni. Per l’attore inglese si è trattato di un giorno speciale, trascorso con la sua numerosa famiglia, accorsa a festeggiare il suo compleanno. I capelli sono super brizzolati ma il fisico e il sorriso è quello di sempre. L’indimenticabile protagonista di Notting Hill, commedia del 1999 in coppia con Julia Roberts è padre di cinque figli, avuti da due donne diverse. Dalla relazione con la ex Tinglan Hong sono nati Tabitha Xiao Xi e Felix Chang Hong. Dal matrimonio con Anna Elisabet Eberstein, sua attuale moglie, invece ha avuto John Mungo, una femminuccia e un maschietto. Degli ultimi due, nonostante siano trascorsi alcuni anni, ancora non è noto il nome… segno di un preciso desiderio di mantenere una certa privacy sulla sua vita privata.
Padre per la prima volta a 51 anni
Grant è diventato padre per la prima volta nel 2011, quando aveva 51 anni, con Tabitha Xiao Xifamiglia Tabitha Xiao Xi. La ragazza oggi ha 12 anni, la scelta del suo nome fu concordata da entrambi i genitori e per l’attore diventare padre fu un’esperienza bellissima. Anche se difficile, come ebbe a dichiarare in un’intervista a People: “Molte persone mi avevano avvisato che quel periodo non è così eccitante, ma sono emozionato di averla avuta. Mi sento una persona migliore”.
Poi è arrivato il maschietto
A dicembre 2012, a poco più di un anno di distanza dalle prima figlia, è nato Felix Chang Hong. Grant condivise la notizia coi fan con un post sui social, scrivendo: “Sono emozionato che mia figlia abbia un fratello. Li adoro entrambi”. E sempre intervistata dal magazine americano, spiegò cosa amava dell’essere padre e dell’avere figli: “È semplicemente meraviglioso avere tutto quell’amore intorno. All’improvviso ami qualcuno più di te stesso. Nel mio caso è inaudito e loro ti amano ed è tutto incantevole”.
Degli altri tre figli si conosce sono il nome di uno
L’attore è oggi coniugato con la produttrice televisiva Anna Eberstein. Hanno avuto tre figli: il primo è nato nel settembre 2012 e si chiama John Mungo Grant, un omaggio al padre, il cui nome completo è Hugh John Mungo Grant. La nascita del bambino venne però comunicata solo successivamente, dopo mesi dal parto. Nel dicembre 2015 la coppia ha poi accolto una femminuccia, di cui ancora oggi non si conosce il nome. E così, come accaduto con il fratello, anche nel suo caso la nascita venne dichiarata solo in un secondo momento, tre anni più tardi.
Sommerso dai figli
Nel 2018 Grant e Eberstein diventarono genitori per la terza volta di un maschietto, vivendo questo momento di gioia lontano dalle luci della ribalta e comunicando poche informazioni all’esterno. Il bambino ha oggi 5 anni e il nome è tuttora sconosciuto. “Chiunque abbia bambini piccoli probabilmente concorderebbe sul fatto che è allo stesso tempo il periodo peggiore e migliore della tua vita”, ha raccontato l’attore a Radio Times quattro anni fa. Aggiungendo: “Sono sommerso dai bambini. Di giorno in giorno, quando calpesti un altro giocattolo rotto con i postumi della sbornia, è semplicemente orribile. Ma quando guardi le foto sul tuo iPhone, ti rendi conto di essere estremamente felice”.
Va bene la privacy nei confronti dei più piccoli ma almeno un nome…
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Cinema
Paul Haggis firma il RIFF 2025 e incorona Violent Butterflies e E se mio padre: Roma torna capitale del cinema indipendente
Con 88 opere in anteprima e una direzione artistica che ha rilanciato il ruolo del cinema indipendente, il RIFF 2025 ha premiato Adolfo Dávila per Violent Butterflies e Solange Tonnini per E se mio padre, restituendo a Roma la sua vocazione internazionale
Dal 21 al 28 novembre Roma è tornata a essere la capitale del cinema indipendente con la XXIV edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival, un appuntamento che da oltre vent’anni offre spazio alle voci più libere della scena internazionale. L’edizione 2025 ha segnato il debutto del Premio Oscar Paul Haggis alla direzione artistica, presenza che ha acceso una nuova attenzione sul festival e sul futuro del settore. Fin dall’apertura Haggis aveva chiarito la sua posizione: «Il RIFF è diventato uno dei festival più importanti dedicati al cinema indipendente. L’Italia ha una lunga tradizione di sostegno a queste voci, e Roma ne è sempre stata il cuore».
La sua riflessione è diventata il filo conduttore dell’intera settimana, soprattutto quando il regista ha denunciato il rischio di un’industria dominata dagli algoritmi. «Non molto tempo fa un regista coraggioso poteva trovare un finanziatore disposto a fidarsi del suo istinto. Oggi è raro trovare produttori o acquirenti che non dipendano dagli streamer». Parole che hanno risuonato con forza mentre scorrevano le 88 opere presentate in anteprima italiana, testimonianza concreta di una creatività che continua a muoversi fuori dalle logiche del mercato globale.
La giuria internazionale ha assegnato il premio come Miglior Film a Violent Butterflies di Adolfo Dávila, riconosciuto per la capacità di coniugare intensità politica e sensibilità poetica. Il titolo di Miglior Lungometraggio Italiano è andato a E se mio padre di Solange Tonnini, apprezzato per la delicatezza con cui racconta legami familiari e fragilità emotive. Premi che hanno confermato lo spirito del RIFF: valorizzare opere che difficilmente troverebbero spazio nei circuiti mainstream.
Con l’annuncio dei vincitori il festival si è chiuso riaffermando la sua identità. «Sarebbe un vero peccato perdere le voci indipendenti di oggi, perché sono quelle che ci entusiasmeranno maggiormente», ha ricordato Haggis. Un messaggio che ha accompagnato la fine dell’edizione e che guarda già al futuro, in una Roma che continua a essere un rifugio creativo per chi sceglie di raccontare storie senza chiedere il permesso agli algoritmi.
Cinema
George Clooney confessa: “Quel maledetto di Brad Pitt! Mi soffiò Thelma & Louise e ci ho messo anni a perdonarlo”
Nel 1991 Clooney e Pitt erano entrambi emergenti e in corsa per lo stesso ruolo. Pitt lo ottenne, diventò una star e Clooney non guardò il film per anni. Ora l’attore ammette: “Doveva farlo lui”. E Geena Davis rivela: “Ho scelto il ragazzo biondo”.
A volte il cinema scrive i suoi destini con un casting, un provino e un po’ di karma. E George Clooney, che oggi è uno degli uomini più potenti di Hollywood, non ha problemi a raccontare quando quel destino gli è passato davanti… con il volto perfettamente scolpito di Brad Pitt.
Parlando con Screen Rant, Clooney ha ricordato il provino più amaro della sua carriera: quello per Thelma & Louise, il film del 1991 di Ridley Scott che avrebbe lanciato Pitt nell’Olimpo del cinema. «Eravamo io e Brad. Entrambi in difficoltà, agli inizi. Lui ce l’ha fatta, io no. E sì, ero incazzato», ha confessato con la sua ironia elegante. «Non ho guardato il film per anni. Pensavo: “Quel maledetto…”».
Brad Pitt, in effetti, in quel ruolo di J.D. — jeans larghi, cappello da cowboy, sorriso da rapina — diventò immediatamente un’icona. «Poi l’ho rivisto e ho pensato: doveva farlo lui. Funziona così: certe cose sfuggono, ma per buone ragioni. Non puoi vivere pensando: “Quello dovevo farlo io”».
Una battuta d’altri tempi, eppure la storia del provino perfetto ha un retroscena ancora più gustoso. A raccontarlo è stata Geena Davis, protagonista del film. Ai microfoni del Graham Norton Show ha ricordato la “finalissima” per il ruolo di J.D.: Brad Pitt, George Clooney, Grant Show e Mark Ruffalo. Tutti belli, tutti bravi, tutti castani.
Finché non entra Pitt.
«Era così carismatico che mi ha mandato in tilt. Ho dimenticato tutte le battute. Pensavo soltanto: “Mamma mia, che talento”. Quando mi hanno chiesto una preferenza ho risposto subito: “Il ragazzo biondo!”».
Una scelta impulsiva che ha riscritto la carriera di tutti: Brad Pitt è diventato la star che conosciamo, Clooney avrebbe trovato la sua consacrazione qualche anno dopo, e Thelma & Louise è rimasto nella storia come un film cult capace di rigenerarsi a ogni generazione.
Oggi i due attori sono amici, complici sul set della saga di Ocean’s, e perfettamente consapevoli che a Hollywood le strade si incrociano, si perdono e poi tornano a unirsi. Ma Clooney quel sassolino se l’è tolto, con un sorriso che vale più di mille red carpet: «Per anni ho pensato: “Quel maledetto di Brad”…».
E in fondo, chi non l’avrebbe pensato?
Cinema
Sydney Sweeney in corsa per diventare la nuova Bond Girl: “Forse sì, forse no… dipende tutto dalla sceneggiatura”
Sydney Sweeney potrebbe diventare la prossima Bond Girl. Le voci, che da giorni rimbalzano sui media americani e britannici, la danno in pole position per il nuovo capitolo della saga di James Bond, il primo sotto il pieno controllo di Amazon Studios dopo l’acquisizione di MGM per 6,1 miliardi di dollari.
L’attrice di Euphoria e The White Lotus, 28 anni, è considerata una delle interpreti più richieste del momento e il suo nome circola con insistenza tra i candidati del cast. Secondo Variety, lo stesso Jeff Bezos, fondatore di Amazon, vedrebbe con entusiasmo la Sweeney nel ruolo.
Un indizio, forse, arriva anche dalla vita reale: la scorsa estate l’attrice era tra gli ospiti del matrimonio di Bezos con Lauren Sanchez a Venezia. Ma non solo. I tre collaborano anche per la distribuzione della linea di lingerie firmata Sweeney, dettaglio che alimenta i sospetti di un legame professionale sempre più stretto.
Intervistata da Variety, Sydney ha giocato sul filo della diplomazia. «Non so (pausa di sette secondi)… non posso (altra lunga pausa). Ad essere onesta, non sono a conoscenza delle voci. Ma sono sempre stata una grande fan del franchise e sono curiosa di vedere cosa faranno», ha detto sorridendo. Poi ha aggiunto: «Dipende tutto dalla sceneggiatura. In realtà, mi piacerebbe di più interpretare 007 che la Bond Girl».
Il prossimo film dell’agente segreto, il ventiseiesimo della saga, sarà diretto da Denis Villeneuve con la sceneggiatura firmata da Steven Knight, autore di Peaky Blinders.
Negli ultimi mesi la Sweeney è stata al centro di diverse controversie: la pubblicità di American Eagle di cui è protagonista è stata accusata di “promuovere l’eugenetica”, accusa amplificata dal fatto che l’attrice, rarità a Hollywood, è registrata come elettrice repubblicana.
Tra scandali, ruoli da sogno e strategie di marketing, Sydney Sweeney continua a essere il volto perfetto di una Hollywood che mescola glamour, provocazione e potere. E se davvero diventerà la nuova musa di 007, lo farà a modo suo — con la stessa sicurezza con cui, in ogni intervista, lascia che sia il silenzio a dire tutto.
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