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Spettacolo

Dietro l’addio di Bonolis a Presta: tra frecciate velenose e riferimenti a Sonia Bruganelli, volano gli stracci

La fine del rapporto tra il presentatore e il manager calabrese, durata 35 anni, si trasforma in un caso mediatico con accuse implicite a Sonia Bruganelli. Tra frecciatine social e tensioni non dette, il mondo dello spettacolo si confronta con una separazione che mette in luce i lati meno scintillanti dello show business italiano.

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    Paolo Bonolis lascia Lucio Presta, e la separazione non potrebbe essere più rumorosa. Dopo trentacinque anni di collaborazione con il supermanager calabrese, il conduttore ha annunciato la fine del rapporto con un comunicato social asciutto e formale. Ma la compostezza di Bonolis è stata presto infranta dal commento di Presta, che ha preferito rispondere con una stilettata carica di sottintesi: «Anche le persone perbene come te possono aver la sfortuna di incontrare la donna sbagliata e pagarne le conseguenze». A chi si riferiva? Non servono detective per indovinare che la destinataria fosse Sonia Bruganelli, ex moglie di Bonolis e ormai personaggio televisivo a pieno titolo.

    Se l’allusione di Presta era velenosa, la risposta di Bruganelli non è stata da meno. In una storia su Instagram, la produttrice ha condiviso una citazione che sembra fatta apposta per la circostanza: «Quando un pagliaccio si trasferisce in un castello non diventa un re. È il castello che diventa un circo». Parole che hanno subito infiammato i social, alimentando la narrativa di un addio professionale che ha molto poco di pacifico. La story è poi scomparsa, ma il messaggio ha fatto il giro del web, lasciando un clima teso e domande senza risposta.

    Il rapporto tra Bonolis e Presta era uno dei sodalizi più longevi e prolifici del mondo dello spettacolo italiano. Ma il recente allontanamento arriva in un momento di grandi cambiamenti per l’agenzia “Arcobaleno Tre”, già segnata dall’addio di Amadeus a fine 2022. Anche in quel caso, le motivazioni non sono mai state chiarite del tutto, ma si vocifera che divergenze professionali e malumori personali abbiano minato la collaborazione. Non sono mancati i rumors di scontri legali, che hanno gettato un’ombra sulla separazione.

    Bonolis, però, sembra aver scelto un percorso diverso. Nessuna dichiarazione di guerra aperta, solo un comunicato di ringraziamento per i tanti anni di collaborazione, subito contrapposto alle parole cariche di rancore del suo ex manager. La battaglia, tuttavia, sembra destinata a continuare sui social, con le frecciatine incrociate che non fanno che confermare quanto il mondo dello spettacolo sia spesso più simile a una soap opera che a un ambiente professionale.

    Questa separazione segue una scia di addii celebri tra artisti e manager, che non sempre si concludono con un reciproco augurio di buona fortuna. Tiziano Ferro, ad esempio, nel 2022 ha chiuso il rapporto con Fabrizio Giannini dopo 23 anni di collaborazione, annunciando la decisione con toni cordiali, anche se qualche segnale di tensione non è mancato. Più turbolenta la rottura tra i Maneskin e Marta Donà, avvenuta subito dopo il trionfo all’Eurovision. «Avete deciso di proseguire senza di me. Ho il cuore spezzato ma vi auguro il meglio», aveva scritto la manager, lasciando intendere che l’addio non fosse stato consensuale.

    Anche Max Pezzali e Claudio Cecchetto hanno segnato una separazione rumorosa, proprio a ridosso del concerto evento a San Siro nel 2022. Cecchetto non ha mai nascosto la delusione per il trattamento ricevuto, tanto che ha continuato a lanciare frecciate anche in tempi recenti. E poi c’è Laura Pausini, che nel 2013 ha interrotto il rapporto professionale con Gabriele Parisi, suo ex compagno. Una scelta che, almeno in quel caso, è stata gestita con eleganza e riservatezza, lasciando spazio a nuove collaborazioni senza trascinare il passato.

    Lucio Presta non è nuovo a polemiche e dichiarazioni taglienti, ma questa volta l’affare si è fatto personale. Le parole rivolte a Bruganelli sono il segnale di una rottura che va ben oltre il piano lavorativo, insinuando che la sua influenza abbia avuto un ruolo decisivo nella decisione di Bonolis. E Sonia Bruganelli, fedele al suo stile pungente, non ha esitato a rispondere con altrettanta fermezza, alimentando un dramma mediatico che sembra destinato a tenere banco ancora a lungo.

    E mentre Presta cerca di difendere la sua posizione, il panorama televisivo italiano guarda con curiosità e un po’ di sgomento a questa vicenda. Perché, in fondo, non si tratta solo di una separazione professionale: è il crollo di un rapporto che sembrava indissolubile. E se la storia ci ha insegnato qualcosa, è che nel mondo dello spettacolo i legami più stretti possono spezzarsi con fragore, lasciando dietro di sé rancori e polemiche che impiegano anni a dissolversi.

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      Personaggi e interviste

      Alberto Angela rompe il tabù del “per sempre in Rai”: ascolti in calo e un futuro che non è più scontato

      «Mio padre diceva: nasco e muoio in Rai. Io no, sono altri tempi»: con questa frase, affidata a La Stampa, Alberto Angela apre scenari fino a ieri impensabili. Con ascolti non più irresistibili e un clima mediatico più nervoso del solito, il divulgatore più amato della tv italiana lascia intravedere la possibilità di un futuro lontano dal servizio pubblico.

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        Per una vita Alberto Angela è stato percepito come un pilastro immovibile della Rai, erede naturale – e amatissimo – della grande stagione della tv culturale costruita da Piero Angela. Oggi, però, il quadro non appare più così granitico. Il divulgatore ha rotto uno dei tabù più intoccabili: l’idea che la sua carriera fosse indissolubilmente legata al servizio pubblico.

        “Io non sono mio padre”: il cambio di paradigma

        Intervistato da La Stampa, Angela è stato chiarissimo: «Se lavorerò fino all’ultimo come mio padre? Sì. Non penso di andare in pensione. Mio padre però diceva: nasco e muoio in Rai. Io no, sono altri tempi». Parole che pesano, perché arrivano in un momento delicato, con un contratto biennale “in attesa di rinnovo” e un contesto televisivo che sta cambiando rapidamente, tra politica, budget e strategia editoriale.

        Il nodo ascolti e l’aria che tira in Viale Mazzini

        Negli ultimi mesi, i numeri di share hanno mostrato segnali meno brillanti rispetto alle stagioni d’oro. Non un tracollo, ma abbastanza da alimentare discussioni interne e riflessioni sul futuro del marchio Angela in Rai. E in un’azienda dove gli equilibri sono sempre sensibili, basta poco perché un simbolo diventi improvvisamente un “tema” da gestire.

        Carriera, libertà e un futuro aperto a tutto

        Angela non parla di rottura, ma di realismo. Sottolinea che i tempi sono cambiati, che il rapporto con la Rai resta forte ma non più eterno per definizione. È il segno di una fase nuova: meno appartenenza assoluta, più libertà, più consapevolezza del proprio valore in un mercato in cui oggi anche la divulgazione culturale è contesa e corteggiata.

        La domanda che resta

        Lui dice che continuerà “finché si potrà”. Tradotto: finché condizioni, ascolti e contratti lo permetteranno. Il pubblico, intanto, osserva. La Rai ascolta. E per la prima volta, l’idea che Alberto Angela possa fare televisione altrove non appare più fantascienza, ma un’ipotesi concreta che qualcuno, a Viale Mazzini, farebbe bene a non sottovalutare.

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          Televisione

          Sanremo, Samira Lui tra sogni e frenate: “Al Festival sarebbe un azzardo”, parola di Pier Silvio Berlusconi

          La voce corre da tempo: Samira Lui, amatissima “supervalletta” de La Ruota della Fortuna, sarebbe potuta sbarcare al Festival di Sanremo accanto a Carlo Conti. Un’ipotesi che ha acceso speranze e desideri, ma che Pier Silvio Berlusconi avrebbe raffreddato con parole molto chiare: “Se fossi Samira sarei prudente, sarebbe una mossa azzardata”. Il festival, però, resta per lei un traguardo possibile e simbolico.

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            Il suo sorriso ha conquistato il pubblico, la popolarità sul piccolo schermo è cresciuta in modo rapido e Samira Lui è diventata uno dei volti televisivi più riconoscibili del momento. Da mesi il suo nome è accostato a quello del Festival di Sanremo, in un continuo susseguirsi di indiscrezioni, ipotesi e sussurri di corridoio. L’idea? Vederla accanto a Carlo Conti sul palco del Teatro Ariston, in una delle vetrine più importanti d’Italia.

            Il freno di Pier Silvio Berlusconi

            Proprio quando l’ipotesi sembrava prendere corpo, è arrivata una frenata improvvisa. Durante il tradizionale party natalizio Mediaset, Pier Silvio Berlusconi avrebbe commentato con prudenza il possibile coinvolgimento di Samira in Rai, definendo la scelta “azzardata”. Un messaggio chiaro, che suona come un invito alla cautela: la giovane conduttrice è oggi un volto forte del Biscione e un passaggio al Festival potrebbe trasformarsi in un rischio strategico, più che in un’opportunità immediata.

            Ambizione, talento e quella tentazione chiamata Ariston

            Samira Lui però resta un personaggio in ascesa, capace di mescolare freschezza, presenza scenica e capacità comunicativa. Per molti, Sanremo non sarebbe solo una sfida professionale, ma un vero riconoscimento del percorso fatto finora. Un palco che consacra, un trampolino che trasforma. E il pubblico, che la segue con affetto, continua a immaginarla al centro della scena, tra canzoni, emozioni e riflettori puntati.

            Tra realtà e desiderio, il futuro resta aperto

            Al momento non ci sono conferme ufficiali, ma anche nessuna chiusura definitiva. La sensazione è che, più che di uno stop netto, si tratti di equilibri delicati tra reti, strategie televisive e progetti personali. Intanto la voce corre, il suo nome resta caldo e l’idea di vedere Samira Lui all’Ariston continua a restare sul tavolo, come un premio possibile, forse solo rimandato.

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              Cinema

              Checco Zalone travolge tutti: “Buen Camino” supera i 20 milioni e umilia Avatar al botteghino

              Tre giorni, oltre 6 milioni di incasso nella singola giornata, 759 mila spettatori in 748 sale e un totale che vola sopra i 20 milioni di euro. “Buen Camino”, il ritorno di Checco Zalone diretto da Gennaro Nunziante, è ufficialmente il fenomeno cinematografico dell’inverno italiano. Un risultato che non è solo economico, ma culturale: il pubblico ha scelto di nuovo un titolo italiano come evento collettivo, superando perfino i kolossal internazionali.

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                Al terzo giorno “Buen Camino” piazza un altro colpo da record: 6.129.000 euro, 759.000 spettatori, quasi 1000 persone per sala. Il totale vola a 20.097.000 euro, numeri da dominatore assoluto del box office e, a questo punto, impresa difficilmente raggiungibile da chiunque, almeno in Italia. Zalone resta il solo capace di trasformare un film in un rito collettivo.

                Non è Buñuel, ma riempie i cinema

                Non sarà “La via lattea” di Buñuel, non avrà la furia dissacrante degli esordi, ma il risultato è uno soltanto: le sale sono piene. Italiani, anzi pugliesi, che fanno saltare ogni previsione. Ed è una risposta clamorosa alle tesi di certa politica culturale: alla faccia della nuova egemonia di destra, alla faccia delle polemiche sul tax credit, alla faccia dei produttori che oggi stringono i denti.

                Un fenomeno che va oltre il film

                Qualcuno parla di calo fisiologico rispetto ai primi due giorni. Vero. Ma siamo comunque a un +96% rispetto allo stesso giorno dell’anno precedente. Succede solo con Zalone. Succede solo quando il cinema diventa evento popolare. È il rito collettivo: come Sanremo, come la Nazionale, come quelle cose che in Italia spostano ancora masse vere.

                Zalone vs Cameron: non c’è partita

                Nel frattempo James Cameron guarda dal secondo posto. “Avatar: Fuoco e cenere” incassa 1.388.000 euro con 147.000 spettatori in 608 sale. Totale: 13.622.000 euro. Dignitoso, certo. Ma resta nettamente dietro a Checco. Un film evento mondiale battuto da un film italiano ambientato tra famiglia, soldi, difetti nostri e santi in paradiso.

                “Buen Camino” non è solo un successo. È la conferma di una verità semplice: quando c’è qualcosa che gli italiani sentono loro, il cinema torna vivo.

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