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Musica

Arisa: “Mi piacerebbe sposarmi, avere una famiglia. Credo nell’amore per sempre”

“Ero diversa dagli altri e questa cosa mi pesava. Ora sono abbastanza innamorata, ma preferisco non esagerare. I miei genitori si sono sempre sostenuti e io credo nell’amore eterno”.

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    Arisa si racconta senza filtri, condividendo emozioni, insicurezze e desideri nel corso di una lunga intervista. La cantante, come sempre schietta e autentica, ha parlato del suo passato complicato, dell’importanza della salute mentale per ritrovare il proprio equilibrio e, soprattutto, della sua relazione con Walter Ricci, svelando un desiderio profondo: sposarsi e costruire una famiglia.

    Arisa e la salute mentale: “L’artista deve lavorare molto su se stesso”

    Per Arisa, l’amore per se stessi passa anche attraverso un lavoro costante sulla salute mentale. “Bisogna lavorare duro, creare dentro di sé i mezzi per stare bene,” ha spiegato. “Leggere, guardare, andare. L’artista deve lavorare molto su se stesso, e non mi riferisco alla forma fisica.”

    La cantante ha condiviso alcuni consigli pratici, nati dalla propria esperienza personale: “Quando si è giù, bisogna alimentarsi di cose che facciano bene, come per il cibo: vedere film che ti facciano fare altri pensieri, parlare con persone che ti mostrano altri mondi, altri punti di vista. Bisogna sostenersi sempre.”

    Una consapevolezza conquistata nel tempo, lontana dai momenti più difficili del passato. Arisa ha raccontato senza paura quel senso di diversità che la faceva sentire fuori posto durante l’adolescenza: “Ero diversa dagli altri e questa cosa mi pesava. Avrei voluto essere come loro, fare le cose che facevano gli altri, parlare di ciò di cui parlavano loro. Io dovevo inventarmi le cose.”

    La cantante ha dipinto un’immagine nostalgica e malinconica di sé ragazza, confinata in una piccola realtà: “Il ricordo della mia adolescenza è una finestra. Quella finestra da cui guardavo il mondo esterno, la piccola contrada Pantano, poi più in là il paese di Pignola. Immaginavo le vite degli altri, magari del ragazzo che mi piaceva. Ma ero sempre lì, ferma dietro la finestra.”

    L’amore con Walter Ricci: “Abbastanza innamorata”

    Oggi Arisa guarda all’amore con maturità e cautela. Nel corso dell’intervista ha parlato della sua relazione con Walter Ricci, artista e musicista, con il quale condivide un rapporto sereno ma vissuto senza idealizzazioni eccessive: “Sono abbastanza innamorata,” ha confessato. La scelta delle parole non è casuale. Arisa, con la sincerità che la contraddistingue, ha ammesso: “Non voglio esagerare e poi rimanerci male.”

    Un approccio razionale che cela, però, un desiderio profondo e tradizionale. La cantante ha rivelato di credere ancora nell’amore eterno e nel valore del matrimonio, ispirata dall’esempio dei suoi genitori: “Mi piacerebbe sposarmi, avere una famiglia. I miei genitori si amano da anni, hanno litigato tutta la vita ma si sono sempre sostenuti.”

    Un’idea di amore che resiste al tempo e ai contrasti, un sentimento che Arisa immagina “per sempre”, nonostante le difficoltà e le imperfezioni.

    Il ritratto di un’artista fragile e autentica

    Le parole di Arisa raccontano una donna che ha imparato a conoscersi, ad accettarsi e a guardare alla vita con uno sguardo più lucido. Se il passato l’ha vista sentirsi “diversa” e inadeguata, oggi emerge una nuova consapevolezza: prendersi cura di sé stessi è la chiave per affrontare la vita con equilibrio. La cantante ha capito quanto sia fondamentale il lavoro interiore, la capacità di attingere dalle piccole cose – un buon libro, un dialogo illuminante, un film che apre nuovi orizzonti – per ritrovare la serenità.

    Ma Arisa non smette di sognare: una famiglia, il matrimonio e un amore che duri per sempre. Un desiderio che, detto con semplicità, arriva dritto al cuore.

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      Musica

      Levante si definisce “sapiosessuale” e presenta il compagno Pietro Palumbo: «È un bonazzo, ma soprattutto un genio»

      Levante parla senza filtri del compagno Pietro Palumbo, avvocato, definendosi “sapiosessuale”. Ospite di Say Waaad?!? su Radio Deejay, la cantante spiega di essere attratta dall’intelligenza e dalla conoscenza: «Parliamo di filosofia e io rimango appesa come una babba». Intanto si prepara a tornare protagonista al Festival di Sanremo.

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        Levante ha deciso di dirlo chiaramente, con quella naturalezza ironica che le è sempre appartenuta: «Sono sapiosessuale». La frase, lanciata quasi con nonchalance durante un intervento a Say Waaad?!?, il programma di Radio Deejay, è bastata a far scattare il riflettore sul suo presente sentimentale. Accanto a lei c’è Pietro Palumbo, avvocato, compagno e – parole sue – «un bonazzo, ma anche un genio».

        La definizione che accende la curiosità
        Quando in studio le chiedono di spiegare cosa significhi davvero “sapiosessuale”, Levante non si sottrae. «Sapiosessuale è colui o colei che è attratto dalla conoscenza», chiarisce, togliendo subito ogni ambiguità. Non una posa, non una parola da dizionario sfoggiata per darsi un tono, ma una descrizione che sembra cucita addosso al suo modo di vivere le relazioni.

        E poi arriva la frase che sintetizza tutto con autoironia disarmante: «Parliamo di filosofia e io rimango appesa come una babba». Un’immagine che fa sorridere e che restituisce una Levante lontana da qualsiasi atteggiamento costruito, più interessata allo scambio mentale che all’apparenza.

        Pietro Palumbo tra fascino e cervello
        Il nome del compagno non è nuovo, ma è la prima volta che la cantante ne parla in modo così diretto e affettuoso. Pietro Palumbo, avvocato, viene descritto come una combinazione perfetta di fascino e intelligenza. «È un bonazzo», ammette senza troppi giri di parole, «ma anche un genio». Un mix che, a quanto pare, per lei fa decisamente la differenza.

        Non è solo una questione estetica, ma di stimoli, dialogo, curiosità. Un tipo di attrazione che Levante racconta come qualcosa di naturale, quasi inevitabile, soprattutto per chi vive di parole, pensiero e creatività.

        L’amore raccontato senza pose
        Il tono con cui Levante parla del suo compagno è leggero, mai compiaciuto. Nessuna dichiarazione roboante, nessuna retorica da copertina patinata. Piuttosto battute, autoironia e una sincerità che spiazza. Anche quando scherza su se stessa, lo fa per abbassare i toni e riportare tutto su un piano umano, quotidiano.

        La sua idea di coppia sembra passare più dalle conversazioni notturne che dai red carpet, più dai libri che dalle foto social. E questo, nel racconto, diventa quasi un manifesto personale.

        Verso Sanremo, con la testa (e il cuore) altrove
        Intanto Levante si prepara a tornare protagonista anche sul fronte musicale. La vedremo al Festival di Sanremo, palcoscenico che conosce bene e che negli anni l’ha vista crescere e trasformarsi. Ma, mentre il pubblico si interroga sulle canzoni e sulle performance, lei sembra vivere un momento di equilibrio privato, raccontato senza difese e senza filtri.

        Tra una battuta e l’altra, tra una riflessione filosofica e un sorriso, Levante consegna al pubblico un frammento della sua vita così com’è: imperfetta, ironica, colta e profondamente personale. E alla fine, con quella chiusura un po’ surreale, quasi sospesa, lascia tutto lì: sì, Natale…

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          Musica

          Eurovision 2026, il caso Israele divide l’Europa: cinque Paesi si ritirano, Nemo restituisce il trofeo

          Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Irlanda e Islanda annunciano il forfait in segno di protesta. L’Italia conferma la partecipazione, mentre il vincitore 2024 Nemo restituisce la statuetta come gesto simbolico contro la scelta dell’Unione radiotelevisiva europea.

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          Nemo restituisce il trofeo

            Il motto ufficiale è da anni “United by Music”, un invito all’unità attraverso le note. Eppure, la realtà che si presenta alla vigilia dell’Eurovision Song Contest 2026 è tutt’altro che unitaria. La decisione dell’European Broadcasting Union (EBU) di non escludere Israele dalla competizione, nonostante le richieste di diversi Paesi membri, ha spaccato l’organizzazione come raramente era accaduto nella sua lunga storia.

            Secondo fonti confermate dalla stessa EBU, la maggioranza degli Stati partecipanti ha votato a favore della permanenza di Israele in gara. Una scelta che ha scatenato immediatamente una reazione a catena: cinque Paesi – Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Irlanda e, per ultima, l’Islanda – hanno annunciato il loro ritiro dalla 70ª edizione del contest.

            L’Italia, invece, ha confermato ufficialmente la propria partecipazione nei giorni scorsi.

            Pioggia di forfait: le ragioni dei Paesi usciti

            Le motivazioni dei Paesi che hanno scelto di non presentarsi a Eurovision 2026 non sono identiche, ma seguono una linea comune: in un momento geopoliticamente teso, sostengono che la partecipazione di Israele rappresenti una presa di posizione incompatibile con lo spirito della manifestazione.

            Molti broadcaster pubblici coinvolti nei ritiri hanno sottolineato come l’evento musicale rischi di trasformarsi in un terreno di scontro politico, snaturandone la funzione originaria. Un tema già emerso in passato, ma che quest’anno esplode con forza nuova.

            Nemo, un gesto senza precedenti

            A dare ulteriore peso al dibattito è intervenuto anche Nemo, vincitore dell’Eurovision 2024 con il brano The Code. In un video diffuso sui social, l’artista svizzero ha annunciato la restituzione del trofeo conquistato a Malmö, una decisione dal forte valore simbolico, soprattutto perché la sede dell’EBU è proprio a Ginevra, nella sua Svizzera.

            In un messaggio pacato ma fermo, Nemo ha spiegato:
            «Sarò sempre grato alla comunità dell’Eurovision, ai fan che hanno votato e agli artisti con cui ho condiviso il palco. Ma sento il dovere di agire in nome dei valori che questa competizione dovrebbe rappresentare. La musica deve unire, non dividere».

            Un gesto che ha rimbalzato in tutta Europa, alimentando ulteriormente il dibattito sull’opportunità o meno di mantenere Israele in gara.

            Un contest sempre più politico?

            Eurovision Song Contest ha sempre dichiarato di voler rimanere un evento apolitico. Tuttavia, la sua dimensione internazionale e la visibilità globale lo rendono inevitabilmente al centro di tensioni geopolitiche. È già accaduto in passato con altri Paesi, dall’Ucraina alla Russia, ma raramente si era arrivati a un numero così elevato di ritiri.

            La stessa EBU, in un comunicato diffuso nei giorni scorsi, ha ribadito che la partecipazione di un Paese non implica una posizione politica da parte dell’organizzazione. Una linea già seguita in altre edizioni, ma che quest’anno sembra convincere sempre meno membri.

            Italia in bilico? Per ora no

            Mentre alcuni Paesi hanno scelto il boicottaggio, l’Italia – storico protagonista della competizione – ha confermato la propria presenza. La Rai ha dichiarato che continuerà a monitorare la situazione, allineandosi comunque alle decisioni prese a livello europeo.

            Per ora, dunque, l’Italia resta tra i partecipanti, ma il contesto resta fluido e potrebbe evolversi nelle prossime settimane.

            Un futuro incerto per il contest

            A pochi mesi dall’evento, l’Eurovision 2026 appare già segnato da tensioni e strappi. L’immagine di cinque Paesi ritirati e di un vincitore che restituisce il trofeo non è certo quella che la manifestazione avrebbe voluto dare nell’anno del suo 70° anniversario.

            Resta da capire se altri Stati sceglieranno di unirsi al boicottaggio o se, al contrario, la crisi si ricomporrà. Una cosa è certa: l’edizione del 2026 sarà ricordata non solo per la musica, ma soprattutto per il dibattito politico e morale che ha acceso l’Europa.

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              Musica

              Noa richiama tutti alla pace da Castel Gandolfo: “Ascoltate il Papa, ognuno deve impegnarsi in ogni modo possibile”

              A Castel Gandolfo Noa ha ricevuto il Peace Award nell’ambito della prima edizione dell’Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace. Dal palco l’artista israeliana ha rilanciato con forza l’appello del Papa, invitando tutti a impegnarsi concretamente per la pace. Un messaggio netto, pronunciato in un contesto simbolico e carico di significato.

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                Un palco simbolico, un riconoscimento dal forte valore etico e parole che non lasciano spazio a interpretazioni. A Castel Gandolfo, Noa ha scelto la via della chiarezza. «Ascoltate il Papa. Tutti dobbiamo impegnarci per la pace, in ogni modo possibile». Un appello pronunciato con voce ferma dall’artista israeliana, ospite d’onore del nuovo Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace.

                Il Peace Award e il significato del riconoscimento
                Noa ha ricevuto il Peace Award, un premio dedicato all’impegno nella promozione della pace, assegnato nell’ambito della prima edizione del festival. Non un semplice riconoscimento artistico, ma un attestato che tiene insieme musica, testimonianza civile e responsabilità pubblica.

                Per Noa, da anni impegnata su questi temi, il premio rappresenta la conferma di un percorso coerente. La sua voce, da sempre ponte tra culture, diventa qui strumento esplicito di dialogo, in un momento storico segnato da conflitti, polarizzazioni e tensioni che superano i confini geografici.

                Castel Gandolfo, luogo e simbolo
                La scelta di Castel Gandolfo non è casuale. Un luogo carico di spiritualità, legato alla figura del Papa, che rafforza il senso dell’appello lanciato dall’artista. Richiamare le parole del Pontefice in questo contesto significa dare continuità a un messaggio che supera le appartenenze politiche e religiose.

                Noa non entra nel merito delle singole crisi, ma punta al cuore del problema: la responsabilità individuale e collettiva. Il suo invito non è astratto, ma diretto: la pace non è una delega, è un impegno che riguarda tutti.

                L’Hallelujah Film Festival e il Simposio della Pace
                Il riconoscimento è stato consegnato nell’ambito dell’Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace, evento alla sua prima edizione. Il festival è stato fondato da Pascal Vicedomini e promosso dall’associazione senza scopo di lucro The Artists Club Italia.

                L’iniziativa ha preso il via sabato 6 dicembre, con l’obiettivo dichiarato di unire cinema, arte e riflessione sui grandi temi contemporanei. Un format che ambisce a creare uno spazio di confronto internazionale, dove la cultura diventa strumento di mediazione e consapevolezza.

                La voce di Noa tra arte e impegno civile
                Nel suo intervento, Noa ha scelto un registro sobrio ma incisivo. Nessuna retorica, nessuna concessione allo slogan facile. L’artista ha parlato da cittadina prima ancora che da musicista, ribadendo la necessità di ascoltare chi, come il Papa, continua a richiamare il mondo alla responsabilità morale.

                Il suo messaggio si inserisce in una linea chiara: l’arte non può essere neutra di fronte alla sofferenza e alla guerra. Senza trasformarsi in propaganda, può e deve diventare spazio di dialogo e presa di coscienza.

                Un appello che va oltre il palco
                Le parole pronunciate a Castel Gandolfo non sono destinate a restare confinate all’evento. L’invito a impegnarsi “in ogni modo possibile” chiama in causa istituzioni, artisti, cittadini comuni. È un messaggio che chiede azione, non consenso passivo.

                In un’epoca in cui le prese di posizione vengono spesso filtrate, annacquate o strumentalizzate, Noa sceglie una strada lineare. Ascoltare il Papa, lavorare per la pace, assumersi una responsabilità personale.

                Cultura come spazio di dialogo
                Il debutto dell’Hallelujah Film Festival e il conferimento del Peace Award a Noa segnano un tentativo chiaro di rimettere la cultura al centro del discorso pubblico. Non come intrattenimento, ma come luogo di confronto e costruzione.

                Il messaggio lanciato da Castel Gandolfo arriva forte e diretto: la pace non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana. E chi ha una voce pubblica, come Noa, sceglie di usarla senza ambiguità.

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