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Musica

Baby Lasagna: Il cantante dona il premio di Eurovision per i bimbi malati

L’artista, alias Marko Purišić, dopo aver ricevuto un premio di 50.000 € per il suo successo all’Eurosong, ha sorpreso tutti rifiutando pubblicamente la somma. La sua decisione riflette il vero tratto distintivo dell’artista.

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    Nel mondo della musica, emergono storie che vanno oltre il talento artistico, illuminando la bontà d’animo di coloro che lo abitano. Marko Purišić, meglio conosciuto come Baby Lasagna, è uno di questi artisti. Originario di Umago, questo talentuoso cantautore e produttore non solo ha conquistato i cuori del pubblico con la sua musica incisiva, ma ha anche dimostrato di avere un cuore generoso.

    A soli ventinove anni, Marko Purišić ha già un passato musicale ricco, avendo suonato la chitarra per la band rock “Manntra” prima di intraprendere la carriera da solista. Il suo nome d’arte, Baby Lasagna, potrebbe far pensare a una passione sfrenata per la cucina italiana, ma il cantante chiarisce che la sua preferenza va alla pizza, lasciando intendere che il suo pseudonimo nasconde più di una sorpresa.

    Recentemente, l’attenzione si è concentrata non solo sulla sua musica, ma anche sul suo gesto altruista. Dopo aver ricevuto un premio di 50.000 euro dal governo croato per il suo eccezionale successo all’Eurosong, Baby Lasagna ha sorpreso molti annunciando pubblicamente di rifiutare la somma.

    Attraverso un post su Instagram, ha spiegato che preferisce che quei soldi siano destinati a persone e organizzazioni che ne abbiano maggior bisogno.

    “Chiedo al signor Plenković di donare, a mio nome e a nome del governo croato, 25.000 euro all’Istituto di Oncologia e Ematologia Pediatrica con il day hospital ‘Mladen Ćepulić’. Inoltre, vorrei donare gli altri 25.000 euro all’Istituto di Ematologia, Oncologia e Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche Pediatriche del Centro clinico ospedaliero di Zagabria. Grazie”, ha dichiarato Marko Purišić, scatenando un’ondata di complimenti sui social per questo gesto che gli rende onore.

    Questa decisione non solo dimostra la sua umiltà, ma mette in luce il suo spirito di solidarietà e la sua sensibilità verso chi è meno fortunato. In un’industria spesso associata al materialismo e al narcisismo, gesti come questo risplendono di una luce particolare, ispirando altri a seguire il suo esempio.

    Oltre alla sua musica avvincente e al suo stile unico, Baby Lasagna dimostra di essere un vero e proprio modello di gentilezza e compassione. Il suo gesto di donazione è un promemoria che anche le persone più brillanti e di successo possono avere un impatto positivo sul mondo, e che la generosità è un tesoro che non ha prezzo.

    In un periodo in cui la solidarietà è più importante che mai, il gesto di Baby Lasagna risuona come un’eco di speranza e di amore, ispirando gli altri a fare del bene nel mondo, una nota alla volta.

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      Musica

      Springsteen da Fazio: «Non possiamo diventare un’autocrazia. L’America deve restare libera»

      In collegamento con Fabio Fazio, Bruce Springsteen parla del film sulla sua vita e dell’America di oggi: «Abbiamo commesso errori, ma non abbiamo mai perso la democrazia. Io continuerò a difenderla».

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        Bruce Springsteen e Jeremy Allen White, il Boss e il suo alter ego cinematografico, appaiono fianco a fianco nello studio di Che tempo che fa. In collegamento con Fabio Fazio, i due presentano Springsteen: Liberami dal Nulla, il primo film autorizzato dal leggendario cantautore sulla propria vita, in uscita il 23 ottobre.

        Un incontro raro, in cui musica, cinema e introspezione si fondono. Il film — diretto da Scott Cooper — racconta gli anni cruciali tra il 1981 e il 1983, quelli che portarono alla nascita di Nebraska, l’album più intimo e spoglio del Boss. «Non so se sia stato coraggioso raccontarli — dice Springsteen — ma di certo è stato interessante. In quel periodo attraversavo una grande transizione, anche sul piano della salute mentale. Mi sono chiuso in una stanza e ho dovuto affrontare i miei demoni».

        Fazio lo incalza scherzando sulla “orribile moquette arancione” in cui nacquero i brani del disco. Springsteen sorride: «L’arancione era anche il colore preferito di Sinatra! Io ho solo cercato di seguire la mia musa: la musica. Non mi preoccupo mai se un disco avrà successo, mi interessa la verità».

        Jeremy Allen White, reduce dal successo di The Bear, confessa la difficoltà di vestire i panni di un’icona vivente: «Non è stato semplice interpretare un idolo così venerato. Ho studiato ogni suo gesto, ho imparato a suonare e a cantare. Ma soprattutto ho capito che il suo modo di fare musica nasceva proprio in quegli anni: dal bisogno di essere autentico».

        La risposta di Springsteen è una carezza: «Ha fatto un ottimo lavoro. Penso che licenzierò Steven Van Zandt e lo sostituirò con Jeremy nella E Street Band», scherza.

        Ma il tono si fa più serio quando si parla del rapporto con il padre: «Ho visto il film la prima volta con mia sorella — racconta — e insieme abbiamo rivisto la nostra famiglia. È stato toccante. Credo che in quella storia ci sia tutto: il dolore, la rabbia e anche la speranza».

        Poi, inevitabile, arriva la domanda sull’America di oggi. Il Boss si fa grave: «È un momento in cui non si possono non avere dubbi su dove stiamo andando. In 250 anni abbiamo combattuto per la libertà e siamo stati un esempio di democrazia positiva. Abbiamo fatto errori, certo, ma non abbiamo mai conosciuto l’autocrazia. Io farò del mio meglio, con la mia piccola influenza, perché resti così».

        Parole semplici, ma di un peso enorme. L’ennesima prova che, a 75 anni, Bruce Springsteen resta la voce più limpida — e più necessaria — del sogno americano.

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          Victoria Beckham riaccende i sogni dei fan: “Una reunion delle Spice Girls? Mai dire mai, allo Sphere di Las Vegas sarebbe fantastico!”

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            C’è un barlume di speranza per i fan delle Spice Girls, e arriva proprio da chi meno se lo aspettavano: Victoria Beckham. Intervistata sulla possibilità di una reunion, l’ex Posh Spice ha lasciato intendere che un ritorno sul palco non è del tutto escluso.

            «Non solo non rinnego nulla – ha detto – ma ti dico che amo le ragazze. Non sarei quella che sono oggi se non fossi stata con loro. Prima di entrare nel gruppo ero insicura, poi loro mi hanno dato forza, identità, coraggio». Parole che suonano come un atto d’amore verso le sue ex compagne Mel B, Mel C, Emma Bunton e Geri Halliwell, con cui negli anni ha condiviso la leggenda di una delle band più iconiche degli anni Novanta.

            Ma Victoria resta, come sempre, la più razionale del gruppo. Quando le chiedono se sarebbe pronta a tornare a cantare, risponde con il suo consueto aplomb britannico: «Non so nemmeno se saprei ancora farlo, insomma… non sono mai stata così brava!». E poi aggiunge, ridendo: «Allo Sphere di Las Vegas? Devo ammettere che sarebbe allettante. Quanto sarebbero brave le Spice Girls in quello show! Mi piace l’idea, tanto. Ma un tour mondiale? No, non posso. Ho un lavoro…».

            Un mix perfetto di nostalgia e autoironia, che ha scatenato i fan sui social: c’è chi sogna già il grande ritorno e chi si accontenterebbe anche di un’unica serata celebrativa, magari proprio nel futuristico Sphere di Las Vegas, il nuovo tempio delle performance immersive.

            Dopo oltre venticinque anni dal debutto di Wannabe, le Spice Girls restano un simbolo culturale che va oltre la musica: cinque donne che hanno rivoluzionato il pop e incarnato lo “girl power” in un’epoca che di femminismo parlava ancora sottovoce.

            E se Victoria Beckham non promette nulla, il suo “mai dire mai” basta a riaccendere la speranza di milioni di fan. Perché, in fondo, una volta Spice, sempre Spice.

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              Irama, tra vita e morte: il ritorno più intimo del cantautore con Antologia

              A tre anni dall’ultimo album, Irama torna con Antologia della vita e della morte, un viaggio tra ricordi, addii e rinascite. Un disco maturo e profondamente personale che segna una nuova fase della sua carriera, in attesa della grande sfida live a San Siro nel 2026.

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              Irama

                Dopo tre anni di silenzio discografico, Irama torna con un progetto che promette di lasciare il segno. Antologia della vita e della morte, in uscita il 17 ottobre 2025 per Warner Music Italy, è molto più di un semplice album: è un racconto esistenziale, un mosaico di emozioni e memorie che si intrecciano come capitoli di una storia personale e universale insieme.

                «Volevo fare un disco che fosse come una casa», spiega il cantautore. «Un luogo dove ogni stanza rappresenta un ricordo, un dolore o un amore che mi ha formato». Così nasce Antologia della vita e della morte, un lavoro che alterna malinconia e speranza, oscurità e luce, in perfetto equilibrio tra introspezione e teatralità musicale.

                Tra addii e rinascite

                Il disco esplora il tema del ricordo e della perdita, ma anche quello della rinascita emotiva. Brani come Senz’anima e Mi mancherai moltissimo affrontano con delicatezza la fragilità degli addii, mentre Arizona (con Achille Lauro) e Ex (in duetto con Elodie) raccontano la fisicità dei sentimenti e la complessità delle relazioni.

                Non manca la collaborazione con Giorgia, che presta la sua voce a Buio, una delle tracce più intense del progetto. «Sono felice di aver condiviso queste canzoni con artisti che stimo e con cui ho un legame vero. Ogni collaborazione è nata in modo naturale, senza calcoli», racconta Irama.

                Un titolo che è un manifesto

                Il titolo Antologia della vita e della morte è arrivato solo alla fine del processo creativo, ma oggi appare come il simbolo perfetto del disco. «È un omaggio a Fabrizio De André e all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters», spiega l’artista. «Come in quei racconti, anche qui c’è la voce di tante anime che si confrontano con la propria esistenza».

                Il dualismo tra vita e morte, tra bene e male, tra luce e ombra attraversa tutto l’album. «È un equilibrio eterno — racconta — che appartiene a tutte le culture e che mi affascina da sempre. La mia musica cerca di raccontarlo senza paura».

                Una lunga gestazione tra tour e riflessione

                Scritto in gran parte durante il tour successivo a Il giorno in cui ho smesso di pensare (2022), il disco è frutto di un lungo periodo di viaggi, concerti e introspezione. «Sono quasi dieci anni che non mi fermo — confessa Irama — e a volte questo ritmo ti aliena. Ma ho cercato di restare in contatto con la realtà, di vivere esperienze che potessero arricchirmi davvero, non solo artisticamente».

                È un album pensato per il live, con arrangiamenti organici e una forte componente strumentale. «Voglio che le canzoni respirino, che si senta il suono della band, il calore del palco. Ogni brano è nato per essere suonato davanti alle persone».

                Tra mito e realtà: la poesia di “Circo”

                Tra le canzoni più narrative c’è Circo, una favola moderna che racconta la storia di una ballerina cacciata dagli dèi per invidia. «È una metafora dell’utopia della perfezione — spiega —. Spesso guardiamo le vite perfette degli altri senza vedere le loro crepe. È un brano sull’illusione e sulla fragilità umana».

                “Il giorno”: la chiusura come nuovo inizio

                Il disco si conclude con Il giorno, una traccia che affronta temi difficili come l’ansia e gli attacchi di panico, ma con una sonorità luminosa. «Volevo chiudere con una canzone che fosse un respiro, una porta aperta. Dopo il buio, arriva sempre un nuovo giorno».

                Verso San Siro: la consacrazione live

                Il percorso artistico di Irama troverà il suo culmine l’11 giugno 2026, quando il cantautore si esibirà per la prima volta allo Stadio San Siro di Milano. «Sto già lavorando a uno spettacolo che voglio sia indimenticabile. Sul palco saremo in trenta: voglio portare la mia musica alla sua forma più viva e autentica».

                Con Antologia della vita e della morte, Irama compie un passo decisivo nella sua evoluzione artistica. È un disco che abbraccia la vulnerabilità come forza, la memoria come bussola, la musica come spazio sacro di verità.

                «Ho imparato che la perfezione non esiste — conclude —. Ma la sincerità, quella sì, è l’unica forma di perfezione che vale la pena inseguire».

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