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La Rai costretta a inginocchiarsi davanti a Sanremo: per riprendersi il Festival deve partecipare al bando del Comune

Il Comune di Sanremo ha imposto una gara pubblica per l’organizzazione del Festival: chi vorrà la kermesse dovrà presentare un’offerta entro il 19 maggio. Rai compresa. Una decisione che non è piaciuta per nulla a Viale Mazzini, dove si sussurra di “irriconoscenza” e si inizia a immaginare scenari alternativi.

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    Ci voleva il Comune di Sanremo per mettere in crisi l’orgoglio della Rai. Dopo oltre settant’anni di sodalizio, applausi, lacrime e ascolti record, l’azienda di servizio pubblico è costretta a piegarsi e partecipare, come una qualunque società di produzione, al bando pubblico indetto dal municipio per decidere chi organizzerà le prossime edizioni del Festival.

    Una doccia gelata per Viale Mazzini, che pure si è dovuta arrendere all’evidenza: entro il 19 maggio bisogna presentare domanda, e se non si partecipa, si resta fuori. Punto. Il Festival, almeno per ora, non è più cosa “di famiglia”.

    La decisione della Rai di partecipare al bando è arrivata ieri, quasi con riluttanza. Il Cda ha dato mandato, ma l’atmosfera ai piani alti è di malcelato fastidio. “Ci tocca farlo”, spiega una fonte interna con voce più che eloquente. “Ma resta l’amarezza. Dopo tutto quello che il Festival ha rappresentato per Sanremo – e viceversa – trovarsi in gara con chissà chi è uno schiaffo”.

    Il motivo di questo cambio di rotta è noto: il Tar ha accolto un ricorso che impone al Comune la messa a gara della concessione, aprendo le porte, almeno in teoria, anche a privati o broadcaster alternativi. La Rai, se vorrà mantenere il controllo dell’evento che da sempre è il fiore all’occhiello del suo palinsesto, dovrà vincere. Come se fosse Mediaset. O Sky. O Amazon.

    L’irriconoscenza brucia

    La parola che circola con più insistenza tra le stanze di Viale Mazzini è “irriconoscenza”. “Ci accusano di egemonia, ma vogliamo parlare di tutto quello che la Rai ha fatto per il Festival e per la città di Sanremo negli ultimi quarant’anni?”, sbotta un dirigente. “Negli anni ’80 il Festival era sull’orlo del baratro. Siamo stati noi a reinventarlo, rilanciarlo, renderlo di nuovo centrale. E adesso ci si tratta come un concorrente qualunque?”.

    Il riferimento, neanche troppo velato, è anche all’impegno economico: sei milioni e mezzo di euro per la concessione, percentuali sulla pubblicità e l’obbligo di ospitare e promuovere eventi collaterali del Comune. Un carico non indifferente, che viene percepito come un vero e proprio salasso.

    Il Consiglio di Stato può ribaltare tutto

    Il colpo di scena potrebbe però arrivare dal Consiglio di Stato, che il 22 maggio si pronuncerà sull’ammissibilità della decisione del Tar. Se l’organo dovesse ribaltare il verdetto, il Comune potrebbe essere costretto a tornare indietro. E la Rai, pur avendo già partecipato al bando, si ritroverebbe da sola in pista. Ma intanto il danno d’immagine c’è stato, e a Viale Mazzini non lo dimenticano.

    “Se alla fine si farà la gara, allora vedremo chi parteciperà – ammette un consigliere del Cda – ma se il Consiglio di Stato ci darà ragione, dovremo riflettere seriamente su come procedere in futuro. Non è escluso che si cominci a pensare a qualcosa di alternativo”.

    Il tono è minaccioso. Un Sanremo senza la Rai? Fantapolitica oggi, ma chissà domani. Per ora è solo un’ipotesi, ma è indicativa del nervosismo che serpeggia tra gli scranni più alti dell’azienda.

    La vendetta, intanto, si serve fredda

    Dietro le dichiarazioni ufficiali, c’è una strategia che inizia a prendere forma. E se il Comune pensa di poter fare a meno della Rai, la Rai sta già valutando se potrà fare a meno di Sanremo. Non subito, certo. Ma in futuro, forse. Qualcuno ha parlato di un “piano B”: un nuovo evento musicale, magari da tenersi altrove, che raccolga lo spirito (e gli sponsor) del Festival. Per ora è solo un sussurro, ma come sempre a Viale Mazzini, quando le voci girano, raramente lo fanno a vuoto.

    Intanto, la sfida va avanti. Il bando è lì, nero su bianco. Le condizioni ci sono, i termini sono stretti. La Rai ha deciso di partecipare. Ma lo fa con l’orgoglio ammaccato e il taccuino pieno di appunti. E chissà che qualcuno, presto o tardi, non li usi per scrivere un nuovo copione. Magari senza più l’Ariston in scena.

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      I Watussi di Vianello… e quella n-word, politicamente scorretta

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        Edoardo Vianello il cantante ha parlato di quella n-word (“negro”, ndr) che non ha intenzione di togliere dal testo della sua epocale hit. Un termine che in molti identificano come scorretto e offensivo, anche se la canzone fu un geniale tentativo di ambeintare un hully gully nella profonda Africa, creando I Watussi.

        Non vuole modificarne il testo

        La sua teoria per certi versi non fa una grinza: «Non demoliamo mica il Colosseo perché ci hanno ammazzato i cristiani. Quando l’abbiamo scritta era lecito chiamarli come li abbiamo chiamati, quindi non ho nessuna intenzione di cantarla diversamente. I Watussi rimangono come sono nati: cambio il testo solo se nello stesso giorno demoliscono pure il Colosseo».

        Spirito critico

        Così si esprime Vianello, 86enne che nella sua epoca di successo veniva identificato come il re dei tormentoni estivi. Sulla musica attuale dice «Non mi piace, non distinguo i vari interpreti perché mi sembra cantino tutti allo stesso modo. Mi piace molto però Annalisa, ha un genere di canzoni che mi sarebbe piaciuto scrivere, frizzanti e divertenti. Invece non sopporto Giuliano Sangiorgi che ha rovinato una canzone come Meraviglioso con un’interpretazione totalmente sguaiata. Ho avuto l’occasione di dirglielo, chissà perché mi ha guardato male… uno deve cantare con gusto per prima cosa».

        Quando non c’era ancora l’Ariston

        Con il medesimo sarcasmo parla di Sanremo, «qarla di quella cosa che si svolge in provincia di Imperia? Il mio ultimo festival è del 1967, al casinò, non conosco nemmeno il teatro Ariston. Sono un timido, sul palco prima di prendere contatto bene con il pubblico ho bisogno di un quarto d’ora, a Sanremo quel tempo non te lo danno. Il mio Sanremo sono stati i jukebox».

        Il concetto di “tormentone”

        Per arrivare “a tormentare” le canozoni devono avere caratteristiche precise: l’idea presente nel testo, facile ma intrigante, la semplicità della musica, e una certa orecchiabilità sofisticata. In modo da sopravvivere anche ai rivolgimenti sociali e politici: «La situazione politica e sociale è cambiata nel ‘68, mi sono ritrovato estraneo perché le mie canzoni non le volevano ascoltare, mi fischiavano, per un bel pezzo ho smesso di cantare perché non mi dava più gusto. Poi negli anni ’80 c’è stato un movimento di recupero dei ’60 e mi sono subito accodato: ho fatto il testimonial delle mie canzoni».

        Prima delle sponsorizzazioni social

        Lui fu anchel’antesignano delle sponsorizzazioni, che oggi regolano gli algoritmi dei social: «Accompagnavo i miei amici nelle spiagge e nei bar più frequentati e facevo inserire le 50 lire che davano diritto a tre canzoni, ovviamente facevo selezionare i miei pezzi. Io non mi facevo vedere per paura di essere riconosciuto e poi scappavo come un ladro. Evidentemente è una strategia che ha dato i suoi frutti, alla fine le canzoni sono penetrate definitivamente nei cervelli delle persone».

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          Non si può suonare in una band per sempre, è roba da adolescenti. Parola di Sting!

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            Il cantautore inglese, ex leader del trio stellare dei Police, ha recentemente dichiarato: “Per quanto io ami gli Stones e gli AC/DC, è difficile vederli crescere musicalmente”. E detto da uno che di musica se ne intende parecchio, la frase fa quantomeno riflettere. Durante la sua carriera, Gordon Matthew Thomas Sumner (questo il suo vero nome) è sempre stato interessato a far progredire la sua musica. Dai suoi primi passi nei Police alla sua esperienza solista, il bassista ha sempre cercato di portare la musica popolare oltre le tradizionali progressioni di accordi, lavorando con musicisti jazz e classici per elevarla ulteriormente.

            Verso direzioni ostinatamente differenti

            Guarda caso, uno dei principali motivi dello scioglimento dei Police è stata la costante tensione creativa che aleggiava nel gruppo. Anche se Sting rappresentava la star del trio grazie alle sue eccezionali doti compositive, il suo bisogno di portare la musica in direzioni differenti è costato molto agli altri due componenti della band. Portando addirittura il batterista Stewart Copeland a minacciare fisicamente il cantante, quando si pree la briga di dargli indicazioni su come dovesse suonare la batteria.

            Stones e AC/DC, band mai cresciute

            Dopo aver raggiunto il massimo successo con i Police (praticamente planetario…), Sting ha cominciato a fare musica per sé stesso, infischiandosene delle classifiche e spingendosi a creare capolavori che fossero, più che potenziali hit, dei veri e propri esperimenti. Dichiarando di aver visto però molti dei suoi contemporanei rincorrere la fama. Un esempio su tutti i Rolling Stones… che, a ben vedere, non si sarebbero mai spinti oltre i propri limiti. Secondo Sting anche gli AC/DC hanno deciso la vita comoda, come dichiarato di recente: “Chi è che a 70 anni vuole rimanere in un gruppo come se fosse un adolescente? Non ti permette di evolvere. Devi obbedire alle regole e alle dinamiche della band. Per quanto io ami gli Stones e gli AC/DC, è difficile vederli crescere musicalmente. Per me la band è stata un mezzo per le canzoni e non il contrario”.

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              Non solo canzoni… ma vere e proprie miniere d’oro per i loro autori ed interpreti

              Nel corso della storia, alcuni brani pop e rock hanno generato incassi straordinari grazie a vendite, streaming, diritti d’autore e utilizzi pubblicitari. Vi proponiamo un excursus tra le canzoni che hanno guadagnato di più nella storia della musica che, magari, potrebbe risultare un buon pretesto per riascoltarle.

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                Per la serie “Quando un brano diventa un patrimonio musicale e finanziario”. Scrivere un brano di successo non significa solo raggiungere le vette delle classifiche, ma anche assicurarsi una rendita che può durare decenni. Alcune canzoni, infatti, continuano a generare incassi milionari anni dopo la loro pubblicazione grazie ai diritti d’autore. Oltre naturalmente agli utilizzi in pubblicità, film e serie TV, nonché alle cover e reinterpretazioni.

                Il valore si misura nel tempo

                Le canzoni non sono solo opere artistiche ma anche investimenti di enorme valore economico. I brani citati di seguito dimostrano come la musica possa continuare a generare fatturato nel tempo, trasformandosi in patrimoni immortali. Perchè il successo non si misura solo con le vendite iniziali, ma con la capacità di una canzone di resistere negli anni e rimanere nel cuore del pubblico. Ecco alcuni dei brani pop e rock che hanno guadagnato di più nella storia della musica.

                Happy Birthday to You – Il brano più redditizio di sempre

                Può sorprendere, ma Happy Birthday to You è proprio una delle canzoni più redditizie della storia. Composta nel XIX secolo dalle sorelle Patty e Mildred Hill, è diventata di dominio pubblico solo nel 2016, dopo aver generato milioni di dollari grazie ai diritti d’autore riscossi ogni volta che veniva usata in film o trasmissioni televisive. E poi, pensate a quante volte viene cantata ogni giorno nel mondo…

                Yesterday – The Beatles

                Considerata una delle canzoni più reinterpretate di sempre, Yesterday di Paul McCartney e John Lennon ha fruttato centinaia di milioni di dollari sin dalla sua uscita nel 1965. La sua melodia senza tempo e il testo malinconico hanno garantito un successo duraturo.

                White Christmas – Bing Crosby

                Scritta da Irving Berlin nel 1942, si tratta di una delle canzoni più vendute di tutti i tempi. La versione interpretata da Bing Crosby ha generato oltre 50 milioni di copie vendute e continua a essere un classico natalizio che frutta milioni ogni anno.

                I Will Always Love You – Whitney Houston

                Originariamente scritta e interpretata da Dolly Parton nel 1973, I Will Always Love You è diventata un fenomeno globale grazie alla versione di Whitney Houston nel 1992 per il film The Bodyguard. Ha venduto oltre 20 milioni di copie e continua a generare enormi profitti grazie alle sue innumerevoli riproduzioni.

                Smells Like Teen Spirit – Nirvana

                Questo vero e proprio inno grunge del 1991, scritto da Kurt Cobain, Krist Novoselic e Dave Grohl, ha rivoluzionato la musica rock e ha generato introiti straordinari grazie a vendite, streaming e utilizzi pubblicitari. Il brano rimane un’icona della cultura pop.

                Bohemian Rhapsody – Queen

                Con la sua struttura innovativa e il mix di generi, il brano di Freddie Mercury ha guadagnato centinaia di milioni di dollari grazie a vendite record, riproduzioni in streaming e il successo del biopic Bohemian Rhapsody del 2018. Considerando che inizialmente venne scartato da una casa discografica perchè considerato poco commerciale…

                Stairway to Heaven – Led Zeppelin

                Pubblicata nel 1971, questa epica composizione di Jimmy Page e Robert Plant non è mai stata rilasciata come singolo, ma ha generato enormi profitti grazie agli album venduti, ai diritti d’autore e all’uso nei media.

                Every Breath You Take – The Police

                Scritta da Sting, questa canzone del 1983 ha accumulato guadagni impressionanti, generando milioni di dollari grazie ai diritti d’autore, soprattutto per il suo utilizzo in campioni e interpolazioni da parte di altri artisti, come nel brano I’ll Be Missing You di Puff Daddy.

                Imagine – John Lennon

                Un inno alla pace universale, in grado di generare incassi straordinari sin dalla sua uscita nel 1971. Ancora oggi è una delle canzoni più suonate e reinterpretate al mondo.

                Sweet Child O’ Mine – Guns N’ Roses

                Uno dei brani rock più riconoscibili di sempre, Sweet Child O’ Mine di Slash e Axl Rose ha guadagnato milioni grazie alle vendite, all’utilizzo in film e spot pubblicitari e alle riproduzioni digitali.

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