Musica
Lasciate riposare in pace Sinead… e rimuovete quella statua!
Rese note le cause della morte della cantante irlandese Sinead O’Connor. Una vita sfortunata, che una statua di cera vorrebbe celebrare.

A un anno dalla sua scomparsa sono state rese note le cause della morte di Sinead O’Connor. Come recita un certificato, reso pubblico dalla testata Irish Indipendent, la cantanutrice irlandese O’Connor morì per una broncopneumopatia cronica ostruttiva. Si tratta di una malattia polmonare caratterizzata da una persistente ostruzione delle vie aeree che nei casi più gravi porta a un’insufficienza respiratoria.
Suicido? Assolutamente no
Lo scorso gennaio il medico legale di Londra, con una breve dichiarazione aveva annunciato che la cantante era deceduta per cause naturali. Senza specificare nulla di più. Un annuncio che sgombrava il campo da illazioni di ogni tipo, soprattutto di un possibile suicido da parte dell’artista, segnata da travagli interiori fortissimi sfociati poi in concreti problemi mentali, da delusioni amorose e soprattutto dalla perdita del figlio Shane di 17 anni, suicidatosi nel 2022.
La perdita del figlio
Nevi’im Nesta Ali Shane O’ Connor (questo il suo nome completo), si impiccò dopo essere scappato dall’ospedale psichiatrico infantile, in cura per una psicosi. Un dolore così forte che spinse anche la madre a pensare al suicidio: “Ho deciso di seguire mio figlio. Non ha senso vivere senza di lui. Tutto ciò che tocco, lo rovino. Sono rimasto solo per lui. E ora se n’è andato. Ho distrutto la mia famiglia. I miei figli non vogliono conoscermi. Sono una persona di mer*a. E voi tutti pensate che io sia carina solo perché so cantare. Non lo sono” scrisse in una serie di strazianti tweet.

Sinead col figlio Shane, due gocce d’acqua
Rapporti molto burrascosi con gli ex mariti
Difficili sono stati, nel corso del tempo, i suoi rapporti con i tre ex mariti. Nel 2016, dopo un tentato suicidio, accusò il primo dei tre marito di aver voluto la sua morte e di averla abbandonata dopo i suoi primi tentativi di farla finita.
La statua di cera: un tributo trasformatosi in uno shock
Voleva rappresentare un omaggio alla sua carriera in musica, ma la statua di cera in memoria di SInead O’Conor si è trasformata in uno “shock”. Sia per il fratello della cantante ed anche per le migliaia di fan devoti della tormentata star irlandese della musica. Tanto da convincere il museo nazionale delle cere di Dublino a ritirarla, con la promessa che sarà sostituita con una sua “rappresentazione più accurata”.

L’immagine di cera di Sinead che verrà rimossa
Realizzata dall’artista PJ Heraghty, la replica in cera era stata commissionata dal proprietario del museo Paddy Dunning, amico personale della musicista, ispirata al celebre video di Nothing Compares 2 U, brano scritto da Prince che nel 1990 rese Sinead celebre in tutto il mondo. Presentata in occasione del primo anniversario della sua morte, avvenuta a fine luglio 2023, è stata immediatamente molto criticata, tanto che il museo ha fatto sapere che verrà ritirata. Fra le tantissime persone che hanno criticato la statua di cera della cantante c’è anche suo fratello John, che parlandone nel programma radiofonico irlandese Liveline, l’ha definita «orribile», «inopportuna», «una cosa a metà tra un manichino e qualcosa di uscito dai Thunderbirds», la celebre serie tv di fantascienza britannica.
Non piace a nessuno
Non le somiglia per niente… questo il giudizio generale sulla statua. Anche sui social i fan hanno definito l’opera “tremendamente brutta”, osservando che sembra non avere un collo e che la postura e il colore della pelle non rispecchiano quelli reali della cantante. Severe anche le parole del giornalista Hugh Linehan, che ha sottolineato come la statua non ricordi “per niente la giovane donna furiosa, impetuosa ed evanescente del 1990 che dovrebbe rappresentare”, quanto piuttosto “un manichino abbandonato di un centro commerciale della Germania dell’Est”.
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Musica
Sabrina Salerno: «Ho venduto la mia fisicità, era marketing. Il tumore mi ha resa più cinica»
Dagli esordi sfrontati con Cecchetto al boom di Boys boys boys, Sabrina Salerno oggi ha 57 anni e parla con lucidità di sé. «Non ho il fuoco sacro della musica, ma ho saputo usare quello che avevo. E oggi, dopo un tumore, ho capito quanto conti il corpo. E quanto pesa essere sempre “quella bomba sexy”».

A 17 anni era, parole sue, «una stronzetta presuntuosa». Oggi ne ha 57, un passato da icona sexy e un presente fatto di consapevolezza e cicatrici. Sabrina Salerno si racconta nel modo più diretto possibile: senza veli, ma stavolta non sul palco, bensì nell’anima.
«Avevo un’autostima pazzesca. A un giornalista che mi chiese se sarei mai arrivata al successo come una certa star, risposi: “Ne avrò il triplo”». E in effetti, con Sexy Girl prima e Boys boys boys poi, il successo arrivò. Ma Sabrina non si è mai illusa di essere un’artista “sacra”: «Il successo è arrivato in maniera casuale. Non sono De Gregori. Magari sarei stata più felice a fare il medico».
Fin da adolescente, il suo corpo è stato bersaglio di attenzione e giudizi. «A 12 anni nascondevo il seno con le braccia. Poi ho capito che lo sguardo degli uomini era sessuale. All’inizio faticavo ad accettarlo, poi l’ho trasformato in un’arma: ho venduto la mia fisicità, è stato marketing».
Un marketing che ha pagato, ma a caro prezzo. «Più sei bella ed esponi il corpo, più devi dimostrare di valere. Gli uomini non ricevono lo stesso trattamento. Nessuno va a criticare Brad Pitt sotto i post». E su Elodie: «Ha talento. Ma si spoglia, quindi va attaccata. Sono solo scuse per aggredire le donne».
Nonostante l’immagine da sex symbol, Sabrina si descrive come riservata, empatica, con un forte senso della famiglia. E anche pudica: «Ho respinto tanti corteggiatori, anche star mondiali. Ma non dirò mai chi sono, non sopporto chi va in giro a raccontare i fatti suoi».
Quanto al corpo, è tutto vero. «Non mi sono mai rifatta il seno. Se lo avessi fatto lo direi. Sono favorevole alla chirurgia, ma se migliora, non se trasforma».
E poi c’è il tumore, la parte più dura. «Seguo terapie da cinque anni, prendo una pastiglia che ha tutti gli effetti collaterali possibili. Ma vado in palestra ogni giorno. L’esercizio fisico è la mia medicina». E conclude: «Mi ha cambiata. Sono diventata più cinica. Non sono migliorata».
Musica
Freddie, i suoi ricordi e la sorella in incognito: l’asta che ha spaccato la famiglia Mercury
Non voleva che i gilet, le giacche, i testi manoscritti e gli oggetti più personali di Freddie Mercury finissero sparsi per il mondo. Così la sorella dell’artista ha fatto offerte in incognito per più di quaranta cimeli, comprati da Sotheby’s. Mary Austin, custode dell’eredità di Freddie, aveva deciso di venderli. Un gesto che Kashmira ha vissuto come un tradimento. E che riapre vecchie ferite mai sopite.

Una giacca militare da mezzo milione, un gilet con i gatti di Freddie, pagine di testi scritti a mano, un jukebox, una lampada. E il dolore, silenzioso e personale, di chi non voleva che tutto questo diventasse oggetto da vetrina. Kashmira Bulsara, sorella di Freddie Mercury, ha fatto quello che nessuno si aspettava: ha ricomprato in incognito oltre 40 cimeli appartenuti al fratello, messi all’asta dalla storica compagna e amica dell’artista, Mary Austin.
Una spesa di circa tre milioni di sterline. Non per investimento, non per nostalgia. Ma per salvare ciò che restava. Per riportare a casa frammenti di un fratello amato, che stava per essere frantumato all’incanto. “Capisce l’amore del mondo per Freddie – ha riferito una fonte vicina – ma non accettava che oggetti così intimi finissero in mani sconosciute”. Ogni oggetto, ogni fibra di quel guardaroba iconico, parlava di lui.
Il più caro? Una giacca militare realizzata per il trentanovesimo compleanno del cantante: 457.200 sterline. Poi il gilet con i suoi sei gatti, immortalato nel video di These Are the Days of Our Lives, uno degli ultimi prima della morte: 139.700 sterline. E ancora: il jukebox Wurlitzer (406.400), i testi di Killer Queen (279.400), una lampada Art Deco, un secchiello per il ghiaccio. Ogni oggetto, un affondo.
E ogni rilancio, un atto d’amore. O di dolore. Perché quella collezione, per Kashmira, non doveva nemmeno finire in vetrina. Dopo trent’anni di silenziosa custodia, Mary Austin aveva deciso di vendere tutto. Ma a chi appartiene davvero la memoria di un uomo? Alla donna che ha vissuto con lui gli anni della gloria e della solitudine, o al sangue del suo sangue?
Lui stesso non aveva mai fatto mistero del legame profondo con Mary. “È come se fossimo sposati”, diceva. Le lasciò metà del suo patrimonio, mentre l’altra metà fu divisa tra i genitori e Kashmira. Ma alla morte di Jer e Bomi, le quote tornarono a Mary. Fu lei a riportare le ceneri di Freddie a Garden Lodge. Fu lei, nel tempo, a restare. Ma non senza ombre.
Pochi mesi dopo la morte dell’artista, fu lei a chiedere a Jim Hutton, il compagno con cui Freddie aveva vissuto i suoi ultimi sei anni, di lasciare la casa. Garden Lodge, acquistata nel 1978 per 300.000 sterline, è oggi sul mercato per 30 milioni. E l’anno scorso, con la vendita del catalogo musicale dei Queen a Sony, Mary avrebbe ricevuto un dividendo personale di 187,5 milioni di sterline.
Non stupisce, quindi, che la decisione di vendere gli oggetti più personali di Freddie non sia stata presa bene da tutti. Soprattutto dalla sorella, che ha agito con riservatezza, ma anche con rabbia. Nessuno doveva sapere. Nessuno doveva sospettare. Ha visitato l’esposizione da Sotheby’s da sola, in anticipo. Il giorno dell’asta, ha mandato l’assistente personale a fare le offerte. Lei, da lontano, ha seguito tutto.
Un gesto familiare, più che patrimoniale. Un modo per non vedere dissolversi un pezzo di sé. Perché ci sono cimeli che diventano reliquie, ma prima ancora sono resti d’affetto. E mentre il mondo celebra Mercury come icona globale, la sua famiglia – quella di sangue – continua a combattere in silenzio per non perderlo del tutto.
Musica
Fedez senza freni a Olbia: stoccate a Tony Effe, Elodie, Achille Lauro, Ilaria Salis e Selvaggia Lucarelli
Tony Effe come “Pavarotti” a Sanremo, Elodie trasformata in “Chi l’ha visto”, Achille Lauro ridotto a fornitore di costumi, Ilaria Salis paragonata a una “casa popolare” e Selvaggia Lucarelli nel mirino con versi espliciti. Fedez torna a colpire, prendendo di mira anche se stesso e il suo matrimonio finito.

Il palco di Olbia diventa un ring, e Fedez non si risparmia. Al Red Valley Festival, il rapper ha trasformato il concerto in una raffica di rime al vetriolo, lanciando frecciate a colleghi, nemici dichiarati e persino a se stesso.
Si comincia con Tony Effe e la sua partecipazione a Sanremo con Damme na mano. «Tony Effe a Sanremo sembrava Pavarotti», scandisce Fedez tra le urla del pubblico, lasciando intendere una stoccata più ironica che musicale.
Poi la battuta che mescola sarcasmo e autoironia: «Il mio matrimonio finito come il concerto dei Coldplay», chiaro riferimento alla recente polemica sulla kiss cam e al chiacchierato presunto tradimento che ha infiammato il gossip.
Il microfono resta rovente quando tocca a Elodie: «A San Siro uno spinoff di Chi l’ha visto», allusione velenosa ai biglietti venduti a 10 euro per riempire lo stadio.
Achille Lauro non viene risparmiato: «Il costume a carnevale lo chiedo ad Achille Lauro», battuta che strizza l’occhio ai rumor che lo volevano vicino a Chiara Ferragni. Poi la frecciata politica-mondana a Ilaria Salis: «Miss Italia lo vince Ilaria Salis. Ilaria, ti vorrei sposare ma sei già occupata come una casa popolare».
Gran finale con la nemica di lunga data, Selvaggia Lucarelli. Qui Fedez alza il livello della provocazione: «Fedez è morto, Selvaggia è molto triste / ora chi se la in**la, sono il suo core business».
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