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Spagna: quando le canzonette ti permettono di superare il 27…

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    Spagna si racconta, partendo da un’infanzia di povertà – ma felice – e la grande passione per il suo lavoro. Ivana sarà tra gli ospiti de La macchina del tempo 80, show evento del 28 luglio a Mirano, al quale parteciperanno alcune star della musica di quegli anni.

    Indimenticabili quegli anni

    Periodo di grande fermento, gli anni 80 hanno visto l’ascesa del punk, della musica elettronica, della new wave, senza dimenticare il soft rock e soprattutto la pop music. Ognuno di questi hanno dato un contributo essenziale per rendere il decennio davvero indimenticabile. La musica di quel periodo è rappresentata da leggende della musica che continuano anche oggi (in alcuni casi) a essere grandi artisti.

    Spagna… in tanti pensano che il suo sia un nome d’arte ma non è così, giusto?

    Esatto… era il cognome di mio padre, un uomo che assomigliava a Gary Cooper, bellissimo. All’inizio del mio percorso, nelle balere e nelle discoteche adottavo pseudonimi inglesi, la lingua che usavo a quel tempo per cantare.

    Poi è arrivato il primo “tormentone”… Easy Lady!

    Sì, posso dire senza problemi che è partito tutto da lì, dopo una dozzina d’anni di gavetta e cambiali. Tempi eroici, dove concluse le serate, ci restavano solamente i soldi per l’affitto e per mangiare. Il resto, tutto il resto… serviva a pagare i debiti. Ma era comunque bellissimo.

    Quindi il successo l’ha toccata cantando in un’altra lingua: che effetto le ha fatto?

    Mi ero intestardita di cantare in inglese perchè volevo far ballare la gente e con gli pseudonimi cominciai ad entrare nelle classifiche in Germania e Olanda. In più con mio fratello Theo, per guadagnare qualcosa in più, realizzavamo anche jingle per la pubblicità. Io ho sempre fatto di tutto pur di farcela, prima dei concerti scaricavo anche le casse, a volte saldavo anche i jack col saldatore a stagno, che peraltro so usare molto bene.

    E’ vero che rifiutò Sanremo perchè non volevano farla cantare in inglese?

    Certo, ho sempre rifiutato perchè tutti volevano che cantassi in italiano. Se avessi voluto ottonere il successo rapido, sarebbe bastato accettare… però sarei diventata solamente una brava cantante italiana come tante. E non mi bastava.

    Che ricordi ha della sua infanzia?

    Papà era proprietario di un caseificio che poi fallì e lui andò poi a lavorarci come operaio. Mi reda, è stata dura, a volte non avevamo neanche i soldi per mettere in tavola un piatto di minestra. Una condizione che però ritengo mi abbia aiutato a considerare una grazia tutto quello che è venuto in seguito. E poi… quando si è piccoli non ci si rende conto che in casa mancano i soldi. Per questo dico sempre di essere stata una bambina molto felice.

    Lei è una donna piena di talenti, ha fatto numerosi progetti diversi… ma alla fine la chiamano sempre per cantare quelle due/tre canzoni con le quali il pubblico la identifica: come giudica questa cosa?

    E’ vero, quando mi chiamano in tivù vogliono sempre Easy Lady, Call me o Il cerchio della vita. E quindi diventa difficile se non impossibile proporre dell’altro. E comunque continuo a cantarle con soddisfazione, faccio tantissime serate che sono parte della mia vita e mi sento ancora felice: questa è la chiave di tutto… la gioia del proprio lavoro e la fortuna di poterlo svolgere.

    E’ stata chiamata da Elton John per il Re Leone: sono soddisfazioni, no?

    E’ andata così: la Walt Disney mi chiamò per un provino per la colonna sonora del film. Quando mi dissero che avrei dovuto cantare in italiano, come al solito dissi no. Però loro mi spiegarono che sarebbe stato un cartone animato molto importante, convincendomi ad accettare. Seguirono alcuni mesi senza che accadesse nulla, alla fine mi richiamarono per il provino e mi mandarono il nastro sul quale registrare la canzone: avrei dovuto incidere la mia voce su uno spazio bianco, nella traccia dove già si erano esibite alcune tra le più importanti artiste italiane. Ma i nomi non li faccio. L’importante è che la scelta è caduta su di me.

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      Musica

      Ditonellapiaga: “Non sono sparita. Fuggo dal successo, è un meccanismo tossico che ti divora”

      Margherita Carducci, in arte Ditonellapiaga, dopo Chimica e la Targa Tenco si è fermata per ritrovarsi. Ora pubblica due brani vintage e rivela: “Non rincorro più classifiche né radio. Voglio solo sentirmi libera”

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        “Non sono sparita. Sono solo fuggita da un meccanismo che stava diventando tossico”.
        Ditonellapiaga, al secolo Margherita Carducci, classe 1997, è una che le parole le pesa. E anche quando veste l’ironia di un nome d’arte provocatorio — come le ha fatto notare pure Morgan, in uno dei suoi soliti sproloqui — sa bene che dietro ogni scelta c’è qualcosa da raccontare. Ma oggi, nel raccontarsi, non cerca più la rima giusta o la copertina perfetta. Cerca una cosa molto più difficile: la sincerità.

        La cantautrice romana è tornata sulla scena musicale con due brani dance in chiave vintage, “Cerco un uomo”, cover di Sandra Mondaini, e “Forma d’amore”, pezzo di Marcella Bella. Canzoni che odorano di vinile e balera, di teatralità e libertà espressiva, in controtendenza con l’algida omologazione da algoritmo delle nuove hit. Ma non è nostalgia, né revival. È una scelta artistica precisa: “Mi sono trovata a fare scouting sulle figure femminili della musica italiana. Da Mia Martini a Ornella Vanoni, passando per Patty Pravo: c’erano cose che valeva la pena riscoprire”.

        Anche la collaborazione con Donatella Rettore, che nel 2022 l’ha portata sul palco di Sanremo con Chimica, non fu casuale. Una miccia esplosa inaspettatamente, che però l’ha fatta sentire fuori posto. “Con ‘Chimica’ sono stata sbattuta in un mondo che non era il mio. Ero ingenua, incosciente. Non avevo tempo per farmi domande”. Oggi, quelle domande se le è fatte tutte. E le risposte non sono quelle che ci si aspetta da un’artista giovane, lanciata, pop.

        L’ambizione, se è eccessiva, ti frega. Ti porta a inseguire qualcosa che non ti soddisferà mai. Ora voglio solo concentrarmi su ciò che mi piace fare. Non credo che questi nuovi singoli finiranno in classifica, ma non mi interessa: li ho incisi per essere presente per chi mi segue”.

        Il successo può uccidere la creatività, dice. E Ditonellapiaga ha deciso di reagire con ironia. I suoi concerti li definisce “Pride alternativi”, e il suo stile — un mix di dance, sensualità e teatralità — diventa travestimento, maschera consapevole. “È come a Carnevale: puoi essere Zorro per una sera. Io uso la dance per dire cose che non aderiscono perfettamente alla mia persona. È un modo per mettersi in scena ma con uno strato di distanza”. Una forma d’arte, più che una performance musicale.

        La sua formazione al Dams ha avuto un peso importante in questo approccio. “Il mio primo disco era molto vicino all’esperienza teatrale. Anche il prossimo, in uscita forse a dicembre, si riavvicinerà a quel mondo”. Non c’è voglia di rientrare nei radar, ma di riprendersi il controllo della propria narrazione. “Non voglio essere un personaggio predefinito. Scrivendo canzoni posso decidere io cosa essere”.

        Eppure, il rischio è sempre quello: scomparire dai riflettori mentre la giostra della musica gira impietosa. Lei lo sa, lo ha vissuto. Ma oggi ha imparato a convivere con quel silenzio. “A settembre ho avuto un momento difficile, non sapevo più cosa fare della mia vita. Ma è stato utile. Mettersi in discussione è importante”.

        Nel frattempo, coltiva altri sogni. “Mi piacerebbe fare radio. E anche recitare: un ruolo adatto a me sarebbe divertente”. Con la voce, o con il corpo, Ditonellapiaga non smette mai di raccontare. Anche quando gioca con le metafore più esplicite, come quando parlava di “vagina liberale”. Oggi però, spiega, “quella era una rivendicazione metaforica sulla libertà sessuale. Ora cerco un linguaggio più ironico e ambiguo. Le grandi artiste italiane lo facevano con eleganza. E io cerco di imparare da loro”.

        Forse non finirà in radio. Forse non salirà di nuovo su un palco di Sanremo. Ma in un panorama sempre più standardizzato, una voce come la sua — fuori dal coro e consapevole — è più necessaria che mai.

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          Musica

          Abbiamo perso il tormentone! L’estate 2025 fatica a trovare la sua hit regina (e nessuno sembra disperarsi)

          Dalla nostalgia di Manu Chao con Alfa alle fughe marine di Mengoni, passando per le sirene Amoroso-Brancale: tante canzoni, poche vere hit. I numeri calano, i tormentoni latitano e persino Fedez sembra fuori tempo. È finita l’epoca dei ritornelli da ombrellone?

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            Ci si guarda intorno, spaesati. Come John Travolta in quel celebre meme di Pulp Fiction. Ma invece del cappotto, qui manca il tormentone estivo. Nessuno che ci faccia ballare sotto l’ombrellone, nessuna strofa da cantare a squarciagola in auto con i finestrini abbassati. Siamo a luglio inoltrato e ancora non si è capito quale canzone, quest’anno, si guadagnerà lo scettro di hit dell’estate 2025. Sempre che qualcuno voglia ancora quel trono.

            Funziona — almeno un po’ — “A me mi piace” di Alfa, che ripesca “Me gustas tú” di Manu Chao e la rilancia in chiave pop con quell’effetto nostalgia che manda in tilt i Millennial. È prima nelle radio (dati EarOne), seconda nella classifica singoli Fimi. Bene, ma non benissimo: la scintilla è tiepida, il fuoco non divampa.

            Qualche brivido lo regalano anche Alessandra Amoroso e Serena Brancale con “Serenata”, un sirtaki pop che profuma di Grecia e tramonti nel Sud. La base c’è, ma manca l’urgenza di riascoltarla all’infinito. E poi c’è Marco Mengoni, che insieme a Rkomi e Sayf canta “Sto bene al mare”: ottimo titolo, ottimi intenti, ma se la crema solare fa rima con “una terra che scompare”, non si capisce bene se dobbiamo ballare o piangere.

            La vera regina dello streaming è Anna con “Desolée”, prima su Spotify. Ma per essere un tormentone serve di più: una viralità trasversale, generazioni unite, radio in loop, spiagge in delirio. E invece quest’anno, i dati parlano chiaro: -43% di ascolti sulla top 20 di Spotify rispetto all’estate 2024. Una frenata che brucia.

            E i protagonisti delle scorse estati? Tony Effe, che nel 2024 con Gaia e “Sesso e samba” aveva fatto faville, dopo Sanremo si è trasformato nel re Mida al contrario. Fedez con Clara ci prova, ma non decolla. I The Kolors resistono con “Pronto come va”, Annalisa risponde con “Maschio”, ma il tempo di “Questa non è Ibiza” e “Mon Amour” sembra lontano anni luce.

            Cos’è successo? Si è rotto qualcosa o semplicemente siamo cambiati noi? Secondo Enzo Mazza, CEO di Fimi, non è la musica a mancare, ma il concetto di tormentone ad essersi sgretolato. “Non c’è più una monocultura musicale”, spiega. “Gli algoritmi hanno personalizzato le playlist. Ognuno ascolta la sua estate”.

            Il fenomeno ha un nome: destagionalizzazione musicale. Le hit possono nascere in ogni mese dell’anno, non servono più le canzoni in modalità mojito. E anche i programmi tv che puntano tutto sull’atmosfera estiva arrancano: “Battiti Live” perde il 3% di share rispetto al 2024, “Summer Hits” su Rai1 scende al 17,2%.

            Chi osserva il fenomeno da anni, come Lorenzo Suraci, presidente di RTL 102.5, punta il dito su un altro eccesso: “Troppa musica, troppi eventi. Se devo trovare una tendenza, vedo un ritorno alla melodia”. In un oceano di canzoni, nessuna riesce a emergere davvero.

            Anche Baby K, che nel 2015 con “Roma-Bangkok” riscrisse le regole del gioco, oggi la pensa così: “Un tormentone non si costruisce a tavolino. È la conseguenza di un successo spontaneo”. Con “Follia Mediterranea” non promette nulla, e forse fa bene.

            E quindi? Ci mancano i tormentoni? Forse sì, forse no. C’è addirittura chi dice di sentirsi sollevato. Nessun ritornello ossessivo a perforare i timpani, nessuna hit imposta a forza. Magari è l’inizio di una nuova epoca. Oppure è solo un’estate di passaggio, una stagione senza regina, ma piena di principesse in attesa.

            Intanto, sotto l’ombrellone, il tormentone più ascoltato è il silenzio. E, sorprendentemente, non è poi così male.

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              Musica

              Max Pezzali si confessa: «Se Repetto fosse rimasto, avremmo lasciato la musica per costruire altro insieme»

              Dai primi passi nella musica heavy metal alla causa legale sul marchio degli 883, fino al racconto di un’amicizia con Mauro Repetto che avrebbe potuto cambiare tutto. Max Pezzali si racconta senza filtri a Vanity Fair

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                Max Pezzali apre il cuore in un’intervista ripercorrendo le tappe fondamentali della sua carriera, il legame con Mauro Repetto, il rapporto con la musica e la sfida di essere genitore. Tra ricordi del passato e riflessioni sul presente, l’ex leader degli 883 condivide spunti inediti sulla sua vita personale e artistica.

                Un’amicizia che avrebbe potuto cambiare tutto

                «Se Mauro Repetto non fosse partito, sono abbastanza sicuro che a un certo punto avremmo abbandonato la musica, con tutti i rischi contrattuali del caso. Avremmo trovato altro da costruire insieme», confessa Pezzali. Un’amicizia, quella con Repetto, che è stata il pilastro degli 883 e che ha definito i primi anni di una carriera ormai leggendaria.

                Max ricorda gli inizi, quando si avvicinò alla musica per sentirsi parte di qualcosa: «Ero uno sfigato di proporzioni abbastanza monumentali fino al 1982-1983. Poi mi sono rifugiato nella musica heavy metal, negli Iron Maiden e nei Saxon, per cercare una mia identità culturale».

                Successi e sfide

                Gli ultimi due anni sono stati intensi per Pezzali. Dalla prima tournée negli stadi, alla pubblicazione dell’album Max Forever Vol. 1, fino al successo della serie Sky Hanno ucciso l’uomo ragno, diretta da Sidney Sibilia.

                Ma non sono mancati gli ostacoli. Al tribunale di Milano è in corso una causa legale sull’utilizzo del marchio degli 883, con il produttore Claudio Cecchetto che rivendica la titolarità del nome della band. «Non tutto si può rimettere insieme come nell’arte giapponese del kintsugi. A volte, le rotture servono per crescere», ha dichiarato l’artista.

                Sanremo e l’ansia da palcoscenico

                Pezzali si esprime anche sul Festival di Sanremo. «Non c’è nessuno in quella platea che è lì per te: vogliono vedere che cosa sbagli, non che cosa fai bene», spiega. Un’esperienza che, per chi soffre d’ansia, può essere devastante.

                Il rapporto con il figlio Hilo

                Nella sfera privata, Max parla del suo ruolo di padre. «Sono un genitore poco autorevole, faccio l’amico. Per fortuna mio figlio mi compensa: è ligio, preciso e osserva le regole». Pezzali vuole trasmettere al figlio valori importanti, come il rispetto per gli altri: «Gli ho spiegato che non esiste il possesso, che nessuno è di nessuno. Voglio tenerlo lontano dalle espressioni assolute, dagli atteggiamenti che non lasciano spazio alla comprensione».

                Uno sguardo al futuro

                Tra palchi gremiti, nuove produzioni e il suo legame con i fan, Max Pezzali continua a reinventarsi. Ma una cosa è certa: quella con Mauro Repetto rimane una delle amicizie più profonde e decisive della sua vita. E, come sottolinea nell’intervista, «se non fosse partita la musica, avremmo trovato insieme qualcos’altro da costruire. Perché è sempre stato questo il cuore del nostro legame: creare qualcosa che ci facesse sentire vivi».

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