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Musica

Tiziano Ferro e il bodyshaming: “Quando ero ciccione”

Il suo soprannome da ragazzo era “cicciabomba”, un nomignolo che è rimasto impresso nei ricordi del popolare cantante, in una vita fatta non solo di successi discografici. . Oggi non è solo un cantante di fama ma anche una persona che ha imparato a convivere con le proprie vulnerabilità, confrontandosi a viso aperto con le proprie ombre e trasformandole in punti di forza.

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    Attraverso la sua musica, ma anche con il suo impegno nel sociale e la sua generosità caratteriale, Tiziano Ferro ha saputo farsi voler bene. E tanto. Oggi il suo viaggio prosegue sulle ali del successo, con nuovi traguardi da raggiungere e una carriera che, oltre ai riconoscimenti, è segnata da una consapevolezza maturata nel tempo: la vittoria più grande è sempre quella si riuscire a rimanere fedeli ai propri principi.

    Cercare sempre di superarsi: questo è il segreto

    In questi vent’anni di carriera, il bambino inizialmente grasso e con le gambe a X ha imparato una lezione che lo accompagna ancora oggi: le conquiste fondamentali sono quelle ottenute quando si supera se stessi.

    Celebrando il suo rpimo singolo di successo

    E’ trascorso oramai del tempo da quando l’artista, all’epoca 41enne, fresco di nomina come membro votante della giuria dei Grammy Awards, festeggiava un’importante tappa nella sua carriera: i vent’anni dal lancio del suo primo album Rosso Relativo. Una carriera iniziata con un brano diventato una grande hit, Xdono, che ha segnato la sua crescita sia musicale che come uomo. Per celebrare quel ricordo, oggi Tiziano pubblica un post che suona come un ritorno al passato, di quel un bambino “cicciottello e con le gambe a X”.

    Grazie a tutti, anche a chi non c’è più

    In occasione del ventennale di Xdono, ha voluto ringraziare le persone che gli sono state vicino: Victor, quello he oggi è il suo ex marito, il suo cane Beau (scomparso nell’agosto 2020), la sua città natale e tutti coloro che lo hanno sostenuto nel corso degli anni. Ma non ha mancato di fare riferimento anche ai momenti più bui, quelli in cui si è sentito perso o tradito. Ringraziando anche i suoi detrattori per le critiche che l’hanno visto protagonista e che hanno contribuito, in un certo senso, alla sua crescita.

    La sua fanbase lo adora

    Gli estimatori di Tiziano, in un mondo dove la fama è spesso volatile e l’esposizione mediatica può essere spietata, rappresentano una comunità di persone che lo ha sostenuto e amato incondizionatamente. «Non mi sono mai sentito giudicato, ferito o tradito da chi mi segue», ha scritto Tiziano.

    Una vittoria inattesa contro tutti i pregiudizi

    Nel post condivide anche un aneddoto che risale a una gara di pattinaggio a rotelle, quando da bambino si ritrovò a competere contro il pregiudizio e la derisione altrui. «Ricordo bene quel giorno», scrive Ferro, «due mamme che, prima della gara di velocità, dissero ad alta voce: ‘Guarda il ciccione poverello, con quelle gambe a X‘». Nonostante tutto, il piccolo Tiziano si lanciò nella gara senza esitare, fino a trionfare arrivando primo al traguardo. Un risultato che suscitò una reazione maligna dalle stesse mamme che, gelose, coniarono uno nuovo soprannome: “Cicciabomba”. Eppure, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, Tiziano vinse.

    Ha vinto anche contro la dipendenza dall’alcol

    Certe esperienze non si dimenticano, anzi… ti forgiano. Tiziano ha fatto tesoro di quella sua infanzia fatta di insicurezze e sfide continue. «Conservo ancora le gambe a X», scherza, «e quel passo da disagiato». Ma è chiaro che, oltre alle caratteristiche fisiche, ha mantenuto intatta la sua determinazione e la sua capacità di superare le difficoltà, un aspetto che lo ha accompagnato fino a oggi e gli ha permesso di essere l’artista che è. Nel corso degli anni, il cantante ha affrontato periodi di grande difficoltà, che lo hanno visto lottare anche contro la dipendenza da alcol, un problema che ha raccontato apertamente, ringraziando pubblicamente l’aiuto ricevuto dall’orgnizzazione Alcolisti Anonimi.

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      Musica

      Levante si definisce “sapiosessuale” e presenta il compagno Pietro Palumbo: «È un bonazzo, ma soprattutto un genio»

      Levante parla senza filtri del compagno Pietro Palumbo, avvocato, definendosi “sapiosessuale”. Ospite di Say Waaad?!? su Radio Deejay, la cantante spiega di essere attratta dall’intelligenza e dalla conoscenza: «Parliamo di filosofia e io rimango appesa come una babba». Intanto si prepara a tornare protagonista al Festival di Sanremo.

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        Levante ha deciso di dirlo chiaramente, con quella naturalezza ironica che le è sempre appartenuta: «Sono sapiosessuale». La frase, lanciata quasi con nonchalance durante un intervento a Say Waaad?!?, il programma di Radio Deejay, è bastata a far scattare il riflettore sul suo presente sentimentale. Accanto a lei c’è Pietro Palumbo, avvocato, compagno e – parole sue – «un bonazzo, ma anche un genio».

        La definizione che accende la curiosità
        Quando in studio le chiedono di spiegare cosa significhi davvero “sapiosessuale”, Levante non si sottrae. «Sapiosessuale è colui o colei che è attratto dalla conoscenza», chiarisce, togliendo subito ogni ambiguità. Non una posa, non una parola da dizionario sfoggiata per darsi un tono, ma una descrizione che sembra cucita addosso al suo modo di vivere le relazioni.

        E poi arriva la frase che sintetizza tutto con autoironia disarmante: «Parliamo di filosofia e io rimango appesa come una babba». Un’immagine che fa sorridere e che restituisce una Levante lontana da qualsiasi atteggiamento costruito, più interessata allo scambio mentale che all’apparenza.

        Pietro Palumbo tra fascino e cervello
        Il nome del compagno non è nuovo, ma è la prima volta che la cantante ne parla in modo così diretto e affettuoso. Pietro Palumbo, avvocato, viene descritto come una combinazione perfetta di fascino e intelligenza. «È un bonazzo», ammette senza troppi giri di parole, «ma anche un genio». Un mix che, a quanto pare, per lei fa decisamente la differenza.

        Non è solo una questione estetica, ma di stimoli, dialogo, curiosità. Un tipo di attrazione che Levante racconta come qualcosa di naturale, quasi inevitabile, soprattutto per chi vive di parole, pensiero e creatività.

        L’amore raccontato senza pose
        Il tono con cui Levante parla del suo compagno è leggero, mai compiaciuto. Nessuna dichiarazione roboante, nessuna retorica da copertina patinata. Piuttosto battute, autoironia e una sincerità che spiazza. Anche quando scherza su se stessa, lo fa per abbassare i toni e riportare tutto su un piano umano, quotidiano.

        La sua idea di coppia sembra passare più dalle conversazioni notturne che dai red carpet, più dai libri che dalle foto social. E questo, nel racconto, diventa quasi un manifesto personale.

        Verso Sanremo, con la testa (e il cuore) altrove
        Intanto Levante si prepara a tornare protagonista anche sul fronte musicale. La vedremo al Festival di Sanremo, palcoscenico che conosce bene e che negli anni l’ha vista crescere e trasformarsi. Ma, mentre il pubblico si interroga sulle canzoni e sulle performance, lei sembra vivere un momento di equilibrio privato, raccontato senza difese e senza filtri.

        Tra una battuta e l’altra, tra una riflessione filosofica e un sorriso, Levante consegna al pubblico un frammento della sua vita così com’è: imperfetta, ironica, colta e profondamente personale. E alla fine, con quella chiusura un po’ surreale, quasi sospesa, lascia tutto lì: sì, Natale…

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          Musica

          Eurovision 2026, il caso Israele divide l’Europa: cinque Paesi si ritirano, Nemo restituisce il trofeo

          Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Irlanda e Islanda annunciano il forfait in segno di protesta. L’Italia conferma la partecipazione, mentre il vincitore 2024 Nemo restituisce la statuetta come gesto simbolico contro la scelta dell’Unione radiotelevisiva europea.

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          Nemo restituisce il trofeo

            Il motto ufficiale è da anni “United by Music”, un invito all’unità attraverso le note. Eppure, la realtà che si presenta alla vigilia dell’Eurovision Song Contest 2026 è tutt’altro che unitaria. La decisione dell’European Broadcasting Union (EBU) di non escludere Israele dalla competizione, nonostante le richieste di diversi Paesi membri, ha spaccato l’organizzazione come raramente era accaduto nella sua lunga storia.

            Secondo fonti confermate dalla stessa EBU, la maggioranza degli Stati partecipanti ha votato a favore della permanenza di Israele in gara. Una scelta che ha scatenato immediatamente una reazione a catena: cinque Paesi – Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Irlanda e, per ultima, l’Islanda – hanno annunciato il loro ritiro dalla 70ª edizione del contest.

            L’Italia, invece, ha confermato ufficialmente la propria partecipazione nei giorni scorsi.

            Pioggia di forfait: le ragioni dei Paesi usciti

            Le motivazioni dei Paesi che hanno scelto di non presentarsi a Eurovision 2026 non sono identiche, ma seguono una linea comune: in un momento geopoliticamente teso, sostengono che la partecipazione di Israele rappresenti una presa di posizione incompatibile con lo spirito della manifestazione.

            Molti broadcaster pubblici coinvolti nei ritiri hanno sottolineato come l’evento musicale rischi di trasformarsi in un terreno di scontro politico, snaturandone la funzione originaria. Un tema già emerso in passato, ma che quest’anno esplode con forza nuova.

            Nemo, un gesto senza precedenti

            A dare ulteriore peso al dibattito è intervenuto anche Nemo, vincitore dell’Eurovision 2024 con il brano The Code. In un video diffuso sui social, l’artista svizzero ha annunciato la restituzione del trofeo conquistato a Malmö, una decisione dal forte valore simbolico, soprattutto perché la sede dell’EBU è proprio a Ginevra, nella sua Svizzera.

            In un messaggio pacato ma fermo, Nemo ha spiegato:
            «Sarò sempre grato alla comunità dell’Eurovision, ai fan che hanno votato e agli artisti con cui ho condiviso il palco. Ma sento il dovere di agire in nome dei valori che questa competizione dovrebbe rappresentare. La musica deve unire, non dividere».

            Un gesto che ha rimbalzato in tutta Europa, alimentando ulteriormente il dibattito sull’opportunità o meno di mantenere Israele in gara.

            Un contest sempre più politico?

            Eurovision Song Contest ha sempre dichiarato di voler rimanere un evento apolitico. Tuttavia, la sua dimensione internazionale e la visibilità globale lo rendono inevitabilmente al centro di tensioni geopolitiche. È già accaduto in passato con altri Paesi, dall’Ucraina alla Russia, ma raramente si era arrivati a un numero così elevato di ritiri.

            La stessa EBU, in un comunicato diffuso nei giorni scorsi, ha ribadito che la partecipazione di un Paese non implica una posizione politica da parte dell’organizzazione. Una linea già seguita in altre edizioni, ma che quest’anno sembra convincere sempre meno membri.

            Italia in bilico? Per ora no

            Mentre alcuni Paesi hanno scelto il boicottaggio, l’Italia – storico protagonista della competizione – ha confermato la propria presenza. La Rai ha dichiarato che continuerà a monitorare la situazione, allineandosi comunque alle decisioni prese a livello europeo.

            Per ora, dunque, l’Italia resta tra i partecipanti, ma il contesto resta fluido e potrebbe evolversi nelle prossime settimane.

            Un futuro incerto per il contest

            A pochi mesi dall’evento, l’Eurovision 2026 appare già segnato da tensioni e strappi. L’immagine di cinque Paesi ritirati e di un vincitore che restituisce il trofeo non è certo quella che la manifestazione avrebbe voluto dare nell’anno del suo 70° anniversario.

            Resta da capire se altri Stati sceglieranno di unirsi al boicottaggio o se, al contrario, la crisi si ricomporrà. Una cosa è certa: l’edizione del 2026 sarà ricordata non solo per la musica, ma soprattutto per il dibattito politico e morale che ha acceso l’Europa.

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              Musica

              Noa richiama tutti alla pace da Castel Gandolfo: “Ascoltate il Papa, ognuno deve impegnarsi in ogni modo possibile”

              A Castel Gandolfo Noa ha ricevuto il Peace Award nell’ambito della prima edizione dell’Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace. Dal palco l’artista israeliana ha rilanciato con forza l’appello del Papa, invitando tutti a impegnarsi concretamente per la pace. Un messaggio netto, pronunciato in un contesto simbolico e carico di significato.

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                Un palco simbolico, un riconoscimento dal forte valore etico e parole che non lasciano spazio a interpretazioni. A Castel Gandolfo, Noa ha scelto la via della chiarezza. «Ascoltate il Papa. Tutti dobbiamo impegnarci per la pace, in ogni modo possibile». Un appello pronunciato con voce ferma dall’artista israeliana, ospite d’onore del nuovo Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace.

                Il Peace Award e il significato del riconoscimento
                Noa ha ricevuto il Peace Award, un premio dedicato all’impegno nella promozione della pace, assegnato nell’ambito della prima edizione del festival. Non un semplice riconoscimento artistico, ma un attestato che tiene insieme musica, testimonianza civile e responsabilità pubblica.

                Per Noa, da anni impegnata su questi temi, il premio rappresenta la conferma di un percorso coerente. La sua voce, da sempre ponte tra culture, diventa qui strumento esplicito di dialogo, in un momento storico segnato da conflitti, polarizzazioni e tensioni che superano i confini geografici.

                Castel Gandolfo, luogo e simbolo
                La scelta di Castel Gandolfo non è casuale. Un luogo carico di spiritualità, legato alla figura del Papa, che rafforza il senso dell’appello lanciato dall’artista. Richiamare le parole del Pontefice in questo contesto significa dare continuità a un messaggio che supera le appartenenze politiche e religiose.

                Noa non entra nel merito delle singole crisi, ma punta al cuore del problema: la responsabilità individuale e collettiva. Il suo invito non è astratto, ma diretto: la pace non è una delega, è un impegno che riguarda tutti.

                L’Hallelujah Film Festival e il Simposio della Pace
                Il riconoscimento è stato consegnato nell’ambito dell’Hallelujah Film Festival – Simposio Internazionale della Pace, evento alla sua prima edizione. Il festival è stato fondato da Pascal Vicedomini e promosso dall’associazione senza scopo di lucro The Artists Club Italia.

                L’iniziativa ha preso il via sabato 6 dicembre, con l’obiettivo dichiarato di unire cinema, arte e riflessione sui grandi temi contemporanei. Un format che ambisce a creare uno spazio di confronto internazionale, dove la cultura diventa strumento di mediazione e consapevolezza.

                La voce di Noa tra arte e impegno civile
                Nel suo intervento, Noa ha scelto un registro sobrio ma incisivo. Nessuna retorica, nessuna concessione allo slogan facile. L’artista ha parlato da cittadina prima ancora che da musicista, ribadendo la necessità di ascoltare chi, come il Papa, continua a richiamare il mondo alla responsabilità morale.

                Il suo messaggio si inserisce in una linea chiara: l’arte non può essere neutra di fronte alla sofferenza e alla guerra. Senza trasformarsi in propaganda, può e deve diventare spazio di dialogo e presa di coscienza.

                Un appello che va oltre il palco
                Le parole pronunciate a Castel Gandolfo non sono destinate a restare confinate all’evento. L’invito a impegnarsi “in ogni modo possibile” chiama in causa istituzioni, artisti, cittadini comuni. È un messaggio che chiede azione, non consenso passivo.

                In un’epoca in cui le prese di posizione vengono spesso filtrate, annacquate o strumentalizzate, Noa sceglie una strada lineare. Ascoltare il Papa, lavorare per la pace, assumersi una responsabilità personale.

                Cultura come spazio di dialogo
                Il debutto dell’Hallelujah Film Festival e il conferimento del Peace Award a Noa segnano un tentativo chiaro di rimettere la cultura al centro del discorso pubblico. Non come intrattenimento, ma come luogo di confronto e costruzione.

                Il messaggio lanciato da Castel Gandolfo arriva forte e diretto: la pace non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana. E chi ha una voce pubblica, come Noa, sceglie di usarla senza ambiguità.

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