Personaggi e interviste
Levante, storia di una rinascita: musica, maternità e un ego da tenere a bada
Claudia Lagona, in arte Levante, ripercorre la sua vita dall’infanzia segnata dalla perdita del padre all’esordio musicale in Inghilterra, fino al trionfo sul palco e al nuovo ruolo di mamma di Alma Futura. Parlando anche del nuovo singolo Maimai, del suo chiacchierato rapporto con il collega Diodato, la lotta contro l’ego e l’equilibrio tra vita privata e professionale.

Claudia Lagona, in arte Levante, cresce in Sicilia fino a quando, all’età di nove anni, perde il padre. Un lutto precoce che segnerà profondamente la sua vita e la sua arte. Trasferitasi a Torino a quattordici anni, scopre la disciplina e la compostezza di una grande città, imparando a gestire l’impulsività di cui è naturalmente dotata. Il ricordo del papà è sempre vivo nei suoi testi, nei romanzi che ha scritto e nelle sue esibizioni: un tributo costante a chi non c’è più.
La prima svolta in Inghilterra
Adolescente ribelle e determinata, Levante prova a sfondare nel Regno Unito. Lì, tra pub e piccoli club, si confronta con un mercato musicale competitivo e lontano dalle sue radici. Senza trovare la consacrazione desiderata, decide di tornare in Italia, dove lavora in un bar: è proprio in questo contesto che nasce Alfonso, il suo primo successo, sprigionando quella voce originale che conquista il pubblico e la critica.
Maimai: vendetta e nostalgia
Dopo anni di successi, Levante presenta Maimai, un brano che racconta la vendetta sentimentale. Le strofe descrivono il ritorno di un ex pentito, inginocchiato davanti a una ragazza ormai più forte. «Ti piacerà la torta al mio livore» è il ritornello che richiama il ricordo del giovane cuore infranto poco prima del diciottesimo compleanno: un flashback di un’adolescenza che sale in superficie in chiave pop.
L’origine del suo nome artistico
Il nome d’arte Levante deriva da uno scherzo. Racconta l’artista: “Ero in Sicilia, in provincia di Catania, era agosto, mi annoiavo tantissimo. Avevo dodici anni e un’amichetta iniziò a chiamarmi Levante. All’inizio non ci feci caso, le chiesi il motivo e lei mi risposte che Levante era il protagonista del film Il ciclone di Pieraccioni. Da lì mi è rimasto”.
Storie d’amore e collaborazioni
Tra i capitoli più discussi della sua vita privata, Levante svela la relazione con Diodato, vincitore del Festival di Sanremo con Fai rumore. Pur non nutrendo risentimenti verso la canzone, rimprovera l’effetto gossip nato intorno alla loro love story. «La verità la sappiamo solo noi due», afferma, sottolineando il diritto alla privacy in un mondo ossessionato dal pettegolezzo.
Il nuovo ruolo di mamma e la sfida all’ego
Oggi Levante è mamma di Alma Futura, una bimba di tre anni che ha trasformato il suo universo emotivo. Il bilanciamento tra concerti, promozioni e pappe quotidiane è faticoso: «Mi sento fatta di tanti pezzettini», confessa. In questa fase, l’artista combatte l’ego, considera l’umiltà come antidoto ai turbamenti interiori e cerca serenità in ogni nota e in ogni abbraccio familiare.
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Personaggi e interviste
Dal rap nostrano al cinepanettone, passando per l’Ariston: l’ascesa trash di Tony Effe
Tony Effe diventerà padre. E come lo annuncia? Con una sobria e raffinata battuta in perfetto stile gangsta pop: “Appena nasce, entro in carcere. Scherzo.” La futura mamma è naturalmente Giulia De Lellis, influencer professionista e ormai icona delle timeline italiane.

La frase, ovviamente ironica, ha fatto il giro del web e ha generato l’inevitabile mix di risate nervose e commenti pseudo-indignati. In fondo, chi non sogna un papà così premuroso da finire in prigione a scopo affettivo?!?
Sanremo? Sì, ma senza troppe illusioni
Intervistato da Repubblica, Tony ha parlato anche della sua partecipazione a Sanremo 2025 con il brano “Damme ‘na mano”: “Mi sono messo in gioco, mi sono divertito”. Poi la confessione da manuale: “Da quando ho capito che non potevo vincere per chi sono – e non per la canzone – mi sono girato male”. Tradotto: l’Italia non è pronta per un Sanremo vinto da un trapper con il cuore tenero e il Rolex al polso. Ma tranquilli, perché lui ha già un’altra casa: “Io sto con Mediaset, non con la Rai. Mi sento a casa lì”. Canale 5 per lui è la nuova Via Asiago…
Il cinepanettone è realtà: Tony Effe con De Sica nel freddo della comicità natalizia
L’altra notizia bomba? Tony recita nel prossimo cinepanettone Delitto sulle nevi con Christian De Sica. Sì, proprio lui. Un ruolo che, parole sue, lo sta facendo lavorare “più di quanto abbia mai lavorato in vita mia”. Forse perché memorizzare le battute non è semplice quando sei abituato ai freestyle, ma l’impegno c’è. E in fondo, l’Italia ama vedere il trash che si reinventa in pellicola.
Soldi, mamma e orologi: la gestione finanziaria secondo il rapper
E i soldi? Tony Effe rivela con candore che sì, ha un conto in banca. Anzi, più di uno. E cointestati con la mamma, per sicurezza. Gli investimenti veri? Uno studio “molto costoso”, qualche orologio d’oro (“li tengo per me”) e i classici fondi gestiti dalla genitrice. Perché anche il bad boy del pop italiano, quando si tratta di soldi veri, chiama mamma.
Gangster all’apparenza, ma col cuore a casa
Tony continua a essere l’antieroe pop che l’Italia, volente o nolente, si merita: un mix di tatuaggi, paternità ironica, cinepanettoni e conti in ordine. Un artista che si prende poco sul serio, ma fa notizia come pochi. E se tra un Rolex e un set natalizio riuscirà anche a cambiare qualche pannolino… allora sì, potremmo gridare al nuovo stereotipo d’italiano contemporaneo. Con mamma a gestire il patrimonio, ovviamente…
Personaggi e interviste
La dolcezza della “nonnitudine”: Diego Abatantuono va pazzo per i suoi nipoti
Con la sua inconfondibile ironia e quella disincantata lucidità che lo ha sempre contraddistinto, Diego Abatantuono si prepara a compiere 70 anni il prossimo 20 maggio. Un traguardo importante che però l’attore non celebra con entusiasmo, anzi, lo guarda con il sorriso amaro di chi ha vissuto molto, ma non ha perso la capacità di dire le cose come stanno: «Invecchiare è uno schifo».

“Invecchiare è uno schifo, ma essere nonno è una meraviglia”. A dirlo non è un uomo qualsiasi, ma uno dei volti più amati del cinema italiano, capace di attraversare mezzo secolo di spettacolo tra commedia, dramma e teatro. Abatantuono lo confessa in un’intervista a Oggi: «Io mica lo sapevo che si diventa vecchi. Finché un giorno ti svegli e capisci che non puoi più farci niente». Nessuna voglia di festeggiare con fanfare o torta scenica: se ci sarà una cena, sarà per affetto, “con quelli sopravvissuti”. Perché con gli anni, spiega, uno dei dolori più grandi è proprio vedere andarsene chi si ama.
Che bello fare il nonno
Eppure, in mezzo al disincanto, c’è qualcosa che brilla: la felicità di essere nonno. «Una cosa bellissima esiste, perbacco: la nonnitudine. Ho tre nipoti fantastici». Una gioia profonda, meno faticosa rispetto al ruolo di genitore: «Sei più distaccato, ma anche più vecchio», ha dichiarato tempo fa a Vanity Fair. È la dolcezza di un legame nuovo, più libero, più tenero, e forse anche più sincero.
Un rimpianto chiamato Troisi
Nel bilancio di una vita così ricca non poteva mancare un rimpianto. Abatantuono ne ha solo uno, ma pesa molto: non aver girato un film con Massimo Troisi. I due avevano in mente una commedia brillante ambientata a New York, con protagonisti due camerieri coinvolti in una rapina. «Adoravo Massimo», racconta. «Ci eravamo conosciuti quando vinsi l’Oscar con Mediterraneo. Mi dispiace molto che non siamo riusciti a realizzarlo».
Una collaborazione mancata
Come sarebbe stato un film con loro due come interprewti? Un’ipotesi che oggi appare ancora più preziosa, perché avrebbe unito due sensibilità diversissime ma affini: quella malinconica e poetica di Troisi e quella umana e schietta di Abatantuono. Due maestri della parola che avrebbero potuto regalarci un piccolo capolavoro.
La vecchiaia vista da dentro
Nel panorama delle celebrazioni finte e delle maschere social, le parole di Abatantuono sono un atto di verità. Parlano di un’età che spesso si finge di accettare con leggerezza, ma che in realtà spaventa. Eppure, non c’è autocommiserazione, solo un’analisi onesta e ruvida, come lui. Perché forse il suo modo di affrontare il tempo che passa, senza retorica né filtri, è proprio il segreto per invecchiare con dignità.
Personaggi e interviste
Enzo Iacchetti: “Vorrei che Giorgia Meloni piangesse per i bambini uccisi a Gaza”
Durante “È sempre Cartabianca”, Enzo Iacchetti si commuove parlando dei civili massacrati a Gaza e invoca un segnale umano da parte della presidente del Consiglio: “Sono una madre, sono cristiana, e provo dolore per quei bambini. Vorrei sentirglielo dire”.

Martedì 10 giugno 2025, durante l’ultima puntata di È sempre Cartabianca, Enzo Iacchetti si è collegato da casa con lo studio di Bianca Berlinguer e Mauro Corona per un intervento che ha rapidamente fatto il giro dei social. Il tono, inizialmente pacato, si è fatto via via più coinvolto, fino a diventare un appello esplicito e toccante rivolto a Giorgia Meloni.
Il comico e conduttore televisivo ha aperto il suo intervento parlando delle immagini provenienti dalla Striscia di Gaza, dove il numero di vittime civili continua a salire, colpendo soprattutto donne e bambini. “Spero che qualcuno si svegli, anche dall’altra parte, e trovi il coraggio di esprimere almeno un sentimento di pietà per ciò che sta accadendo. È inutile continuare a definirci cristiani se poi restiamo indifferenti”, ha detto con voce rotta.
Poi, rivolgendosi direttamente alla presidente del Consiglio, ha dichiarato: “Ho un sogno: vorrei sentire il capo del nostro governo dire ‘sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana e provo un dolore immenso per tutti i bambini trucidati senza pietà’.”
Un invito semplice ma potentissimo, che ha scosso il pubblico e gli ospiti in studio. Nessuna polemica diretta, nessun attacco politico, ma una richiesta accorata di umanità, di empatia, di riconoscimento del dolore. E soprattutto, di pietà cristiana. Un concetto che, secondo Iacchetti, sembra svuotato di significato quando non si traduce in parole, gesti e prese di posizione.
“Non ci tocca sapere che ci sono ventimila bambini morti? Davvero non ci smuove niente?”, ha aggiunto. “Io non riesco ad andare a letto sereno pensando al caldo o al sole di domani. Quando vedo quelle scene, penso che tutti quelli che si professano cristiani e poi tacciono, stanno solo nascondendo la testa sotto la sabbia”.
Ha poi evocato un’immagine forte: “I bambini con il grano turco in mano mi fanno pena. Non riesco a non pensarci. E mi chiedo perché nessuno dica semplicemente: ‘mi fanno pietà’.”
Il suo intervento si è chiuso con una riflessione amara, ma chiarissima: “Mi basterebbe questo. Sentire quelle parole dalla premier. Per capire che vivo in una Nazione che ha ancora un senso.”
Parole che non vogliono dividere, ma chiedere. Che non accusano, ma implorano. Una voce, quella di Iacchetti, che in mezzo a un panorama mediatico sempre più rumoroso, ha scelto il silenzio della coscienza e la semplicità della pietà.
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