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Personaggi e interviste

Roberto Ciufoli e la sfida con il tumore: «Ho ignorato i segnali. Ma non mi sono mai arreso»

L’attore comico racconta la malattia che lo ha colpito a marzo: un tumore al rene sinistro scoperto troppo tardi, nascosto dietro un semplice calcolo. Operato, ora è in ripresa: «La malattia deve faticare per fermarmi»

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    Roberto Ciufoli non ha mai fatto della sua vita un dramma. Nemmeno quando, lo scorso marzo, ha scoperto di avere un tumore al rene. Una diagnosi arrivata per caso, dopo mesi passati a sottovalutare i segnali. Oggi, a distanza di settimane dall’intervento, racconta tutto con quella sua solita leggerezza che ha sempre portato in scena. Ma dietro le risate, stavolta, c’è molto di più.

    «Ho rimandato la visita, ho ignorato i campanelli d’allarme. Pensavo fosse solo un fastidio passeggero», confessa l’attore 65enne al mensile Benessere Magazine. Il responso è arrivato come una doccia gelata: un calcolo al rene sinistro che in realtà nascondeva un carcinoma avanzato. «Fortunatamente era circoscritto, senza metastasi. Abbiamo deciso per un intervento radicale: via rene, uretere e linfonodi».

    Non proprio una passeggiata. Eppure, Ciufoli ha affrontato tutto con uno spirito quasi disarmante. «Pochi giorni dopo l’operazione ho ricominciato a lavorare. Ne avevo bisogno. Non solo per distrarmi, ma per avere una spinta psicologica. La malattia deve faticare per fermarmi, non ha campo facile».

    In tv è tornato con Facci ridere, in coppia con l’amico di sempre, Pino Insegno. Ma anche nella vita privata ha scelto di indossare il sorriso come armatura. «Mi sentivo responsabile verso i miei cari. Dovevo essere forte per loro. E alla fine, ero io il meno preoccupato. Ho avuto un tumore, sì, ma senza metastasi: ho preferito vedere il bicchiere mezzo pieno».

    Eppure, la consapevolezza è arrivata in modo brutale. «Non mi ero mai posto il problema. Sì, ho parenti che hanno avuto il cancro, ma non pensavo potesse succedere a me. Quando ti dicono che hai un tumore, è come se un estraneo si fosse introdotto nel tuo corpo. Cambia tutto. La testa, il modo di vedere la vita, le priorità».

    Oggi Roberto sta meglio, anche se qualche dolore ogni tanto si fa sentire. Ma la battaglia l’ha già trasformato. E, come sempre, ha scelto di combatterla col sorriso.

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      Stefano De Martino: «Voi, undici maschi tutti sudati sotto la stessa doccia… e sarei io il gay?»

      Il ballerino ricorda gli insulti da ragazzo per la sua passione per la danza: «Andavo in sala con trenta ragazze, ma a me davano del gay. Non capivo la logica».

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      Stefano De Martino

        Sul palco del suo Meglio Stasera Summer Tour, Stefano De Martino ha deciso di raccontare con ironia uno dei capitoli più delicati della sua adolescenza: i pregiudizi affrontati quando scelse la danza invece del calcio.

        «Il calcio non faceva per me, la danza sì» ha spiegato al pubblico. Ma ogni volta che arrivava a lezione con il borsone rosa su cui campeggiava la scritta “Arte Danza”, le reazioni non mancavano: battute, insulti, prese in giro. «Mi davano del gay, e con termini anche peggiori» ricorda.

        Col tempo, però, ha imparato a rovesciare lo stigma con la stessa leggerezza che lo accompagna oggi in tv. «A sentire il mio avvocato, era meglio. Avrei risolto metà dei problemi» ha scherzato, strappando risate e applausi.

        E poi il paradosso: «Non capivo la logica. Io tutti i pomeriggi in sala con trenta ragazze, e loro, i “maschi veri”, undici sotto la stessa doccia… sudati. E il gay sarei io?»

        Un modo diretto e autoironico per ribadire quanto certi cliché su virilità e orientamento sessuale siano ancora oggi privi di senso.

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          Per Meghan Markle, un sold out che non corrisponde al successo dei suoi prodotti

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            Meghan ha fatto di nuovo centro. O forse no. Il secondo lancio del suo marchio As Ever è andato sold out nel giro di poche ore, nonostante lei stessa avesse garantito scorte abbondanti. Dai vasetti di marmellata di albicocche al miele ai fiori d’arancio, fino ai fiori commestibili, tutto è sparito dagli scaffali online. Ma se il pubblico ha comprato a occhi chiusi, le papille gustative degli esperti si sono già ampiamente ribellate.

            Prezzi da principessa, sapori da… rivedere

            Certo, l’estetica c’è: confezioni eleganti, nomi evocativi, e un’operazione social da manuale. Meghan esulta su Instagram, ringrazia i fan e annuncia con fierezza: “Sold out… di nuovo!”. Peccato che una celebre esperta americana, Donna Collins – conosciuta negli Stati Uniti come la “regina delle conserve” – abbia demolito con eleganza british il cuore della proposta: la marmellata alle albicocche. Secondo la Collins, è troppo liquida (nonostante la pectina, che dovrebbe solidificarla) e, peggio ancora, non è nemmeno biologica: le albicocche usate da Meghan sarebbero trattate con pesticidi. Non proprio l’ideale per un brand che si propone come chic e totalmente naturale.

            Il mistero del “tutto esaurito”

            Molti iniziano a farsi una domanda fastidiosa: il sold out è reale o è solo marketing? I più maliziosi sospettano che le quantità messe in vendita siano minime, utili più per far notizia che per soddisfare la domanda. Ma se c’è una cosa che Meghan ha imparato bene, è creare hype. E in questo, va detto, è imbattibile.

            Dalla marmellata al vino: il gusto della duchessa si fa alcolico

            Come se non bastassero confetture e tè, ora arriva anche il vino. Il primo luglio debutta un rosé dalla Napa Valley selezionato personalmente da Meghan e dai suoi esperti enologici. L’obiettivo? Accompagnare con stile i barbecue estivi americani. E ovviamente, sarà disponibile in quantità esclusiva solo sul sito As Ever.

            “As Ever” o “As If”?

            Insomma, il marchio lifestyle di Meghan Markle continua a far parlare di sé: mix perfetto tra storytelling emotivo e packaging da Instagram, ma ancora con qualche inciampo sul contenuto. Sarà pure tutto esaurito, ma i giudizi degli esperti iniziano a pesare. E no, non basta un vasetto da 12 euro con l’etichetta beige per convincere chi mastica marmellate da una vita.

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              Elio Finocchio è il “gay più bello d’Italia”: «Il mio cognome? Me lo tengo. Cambiarlo sarebbe stato una sconfitta»

              Dipendente dell’Hard Rock Café, due volte volto delle campagne contro il bullismo, Finocchio spiega perché non ha mai pensato di rinunciare al cognome. «Mio padre mi propose di cambiarlo, ma significava non essere più parte della famiglia». E sulle app di incontri: «Tutto ridotto all’osso, come un fast food».

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                Una fascia, un cognome e una storia che si porta dietro da sempre. Elio Finocchio, 37 anni, romano, dipendente dell’Hard Rock Café, è stato incoronato “gay più bello d’Italia”. Un titolo che accoglie con orgoglio e ironia, consapevole che il suo nome – da sempre facile bersaglio di battute – è diventato parte integrante della sua identità. «È una cosa che nasce con me, me la porto da quando ero piccolo e mi ha fatto crescere immediatamente. Se non avessi reagito allora, oggi non sarei qui», racconta.

                La vittoria ha riportato la corona nel Lazio dopo tredici anni. Per lui è soprattutto il simbolo di un percorso di resilienza iniziato quando il padre gli propose, a diciott’anni, di cambiare cognome per evitargli prese in giro. «Gli dissi: “Papà, io non toccherò mai il mio cognome, perché cambiarlo significherebbe non essere più parte della famiglia. Sarebbe stata una sconfitta”». Una scelta che, col tempo, si è trasformata in forza. «Quando qualcuno mi prende in giro oggi è come se mi dicesse: buongiorno, come stai».

                La sua prima settimana da “reggente” l’ha definita «una tranvata». Catapultato in interviste, social e riflettori, Finocchio avverte già il peso della responsabilità. «Sento di essere portavoce di una comunità che è sempre nell’occhio del ciclone per i diritti. Ci sta, e si va avanti a testa alta».

                Il suo impegno non è nuovo: nel 2007 prestò il volto alle campagne della Gay Help Line e di Diritti Ora, diventando simbolo contro bullismo e discriminazioni. Ma dietro la fascia c’è anche un uomo che sogna una famiglia. «In Italia non mi sento discriminato, ma neanche tutelato appieno. Non mi sento al sicuro: c’è ancora troppa disinformazione, ignoranza e bigottismo».

                Sulle app di incontri è netto: «Rispetto chi le usa, ma si è perso l’approccio umano. È tutto ridotto all’osso, come un fast food: voglio questo, me lo prendo. Io preferisco la vita reale, ridere, scherzare, parlare. Lo schermo riduce l’umanità».

                Il suo nome oggi corre sui social, tra sfottò e sostegno. Lui sorride, abituato da sempre a convivere con quell’ironia. «Me lo tengo – dice – perché la vera vittoria è non darla mai vinta a chi ti prende in giro».

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