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Personaggi e interviste

Selvaggia Lucarelli e il giallo degli spot social: il passato da giornalista e la pubblicità sospetta sui gioielli

L’ombra del sospetto aleggia sulla giurata di Ballando con le stelle: secondo un’inchiesta de Il Giornale, una serie di contenuti pubblicati tra il 2021 e il 2023 non rispetterebbero i rigidi protocolli di trasparenza imposti agli influencer. E la questione potrebbe avere ripercussioni non solo per la Lucarelli, ma anche per la Rai.

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    Secondo un’inchiesta de Il Giornale, Selvaggia Lucarelli potrebbe aver ignorato le regole del Garante per la pubblicità trasparente, esponendo sé stessa e la Rai a conseguenze pesanti. Post sospetti dal 2021 al 2023 mostrano prodotti di lusso in primo piano senza le indicazioni obbligatorie, trasformando involontariamente Ballando con le stelle in una vetrina pubblicitaria.

    La vicenda riguarda una ventina di post pubblicati sul profilo Instagram di Selvaggia Lucarelli, in cui compaiono gioielli e abiti di brand come #DelfinaDelettrez e #MaisonMadameIlary. I prodotti, fotografati nei camerini o indossati durante le dirette Rai, sono stati presentati senza utilizzare diciture come #adv o #sponsorizzato, obbligatorie secondo il Garante dal 2018. Le regole impongono che ogni contenuto promozionale sia chiaramente identificato come tale, con hashtag ben visibili e dichiarazioni esplicite, per evitare di confondere i consumatori.

    La questione diventa ancora più spinosa per il legame con Ballando con le stelle. La trasmissione Rai rischia di essere percepita come un megafono involontario di pubblicità occulta, un problema già affrontato durante Sanremo 2023 con episodi simili che avevano portato a una multa per la rete. Non bastasse, alcuni post della Lucarelli includono simboli divisivi come la bandiera palestinese accanto a gioielli, un’associazione che solleva ulteriori dubbi sull’aderenza al codice etico Rai.

    Selvaggia Lucarelli, che fino a maggio 2023 era iscritta all’Ordine dei giornalisti, ha spesso criticato comportamenti simili nel mondo degli influencer, come nel celebre caso “Pandorogate” che coinvolse Chiara Ferragni. Eppure, proprio il codice deontologico giornalistico vietava fino a pochi mesi fa attività come quelle emerse nei suoi post. La sua uscita dall’Albo potrebbe essere stata una scelta consapevole per evitare conflitti tra le regole professionali e la sua attività di influencer.

    Il Garante potrebbe ora intervenire per verificare eventuali violazioni, mentre la Rai si troverebbe a dover giustificare contenuti che non rispettano le sue stesse linee guida sulla pubblicità. Milly Carlucci e i vertici della trasmissione erano consapevoli di quanto accaduto? L’Ordine dei giornalisti deciderà di approfondire eventuali comportamenti scorretti retroattivi?

    Selvaggia Lucarelli, nel frattempo, tace, lasciando che sia il pubblico a interrogarsi su quanto trasparente sia davvero il confine tra intrattenimento e promozione commerciale. Un caso che potrebbe avere strascichi pesanti, non solo per la giurata di Ballando con le stelle, ma anche per il suo ruolo di “influencer paladina” della trasparenza online.

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      Il figlio segreto di Toto Cutugno: “Per me era un ingegnere. Poi ho scoperto la verità su La Settimana Enigmistica”

      Niko Cutugno ha scoperto di essere figlio di Toto Cutugno a soli sette anni, sfogliando distrattamente La Settimana Enigmistica in un pomeriggio del 1996. In copertina c’era proprio lui, il celebre cantautore. Fu il nonno materno a rompere il silenzio: «Lo indicò e mi disse senza girarci intorno: “Quello è tuo padre”».

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        Una verità che fino ad allora era rimasta celata dietro un’apparenza costruita con cura. L’uomo che lo veniva a trovare a Roma, che diceva di essere un ingegnere sempre in trasferta, era in realtà uno degli artisti più popolari d’Italia.

        Due famiglie con un padre fuori dal comune

        La madre di Niko conobbe Toto su un volo nel 1989. Lui era già sposato, ma tra i due nacque una relazione che durò anni. “Per tutta la vita – racconta Niko – non ha mai rinunciato né a sua moglie né a noi. Ha coltivato due famiglie, con tutte le contraddizioni che questo comporta”. Contraddizioni che il figlio ha dovuto affrontare fin da piccolo, tra una normalità apparente e i segnali sempre più evidenti di un padre fuori dal comune. Come quella volta in macchina, quando alla radio passarono una delle sue canzoni. “Sembrava una voce familiare. Lui divenne improvvisamente serio, non disse nulla. Solo più tardi capii perché”.

        Il riconoscimento nel 1997

        Nel 1997 Toto Cutugno decise di riconoscerlo ufficialmente. Una scelta che, se da un lato dava finalmente un nome alla loro relazione, dall’altro apriva la porta a un’esposizione difficile da gestire per un ragazzo ancora in cerca di sé. “I compagni di scuola mi prendevano in giro. Le auto di lusso, gli autisti, Disneyland… erano elementi troppo vistosi in un contesto normale. Eppure per me era tutto confuso. Quando veniva a trovarmi era come Babbo Natale: portava regali, poi spariva”.

        Tutto in un libro autobiografico

        Quell’infanzia a metà, segnata da assenze e apparizioni luminose, Niko l’ha raccontata nell’autobiografia Fino all’ultimo respiro. Oggi ha 36 anni, una compagna e una professione che lo appassiona: è fondatore di un progetto di crescita personale legato alla respirazione. “Ho fatto pace con molte cose. Ma col tempo ho capito una verità amara: spesso ti manca di più chi nella tua vita c’è stato di meno. Non è logico, ma è sincero”.

        Fu lui a consegnare le ceneri dopo la cremazione

        Anche nel momento dell’addio, Niko ha voluto esserci: “Ha chiesto di essere cremato. Sono stato io a portare le sue ceneri a casa di sua moglie”. Un gesto silenzioso, carico di significato. Come la vita che ha vissuto: tra il clamore della musica e le ombre di un amore diviso.

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          Un piatto di carbonara a 70 euro… ma scherziamo?!? L’indignazione di Edoardo Raspelli

          Caviale, guanciale iberico, zafferano, tre foglie d’oro e un prezzo da capogiro: 70 euro. È la Carbondoro, ultima creazione di uno chef milanese. Ma Edoardo Raspelli, il più temuto dei critici gastronomici italiani, la demolisce senza appello: “Un piatto inutile, figlio di un’idea di cucina che non ha più rispetto per le persone e per la tradizione”. E denuncia: “L’Italia sta uccidendo la sua cultura gastronomica per accontentare i ‘riccastri’ e i gastrofighetti”.

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            Milano a tavola… ancora una volta fa notizia. Stavolta non per l’ennesimo ristorante stellato, ma per una provocazione che ha fatto discutere tutta Italia: la Carbondoro, una carbonara deluxe da 70 euro ideata dallo chef Emin Haziri del ristorante Procaccini. Fra gli ingredienti caviale, guanciale iberico Cinco Jotas, zafferano, pasta di Avellino e persino tre foglie d’oro.

            La sentenza senza appello del critico

            Haziri difende la sua creazione come “un’idea che rompe gli schemi”. Ma il giudizio del decano dei critici gastronomici, Edoardo Raspelli, è una condanna senza attenuanti: “Una trovata inutile, sterile e stupida. L’ennesima dimostrazione che la cucina italiana sta scegliendo l’autodistruzione”.

            “Gastrostupidaggini per ricchi”: il duro attacco

            Raspelli, con oltre cinquant’anni di carriera alle spalle, non ha peli sulla lingua: “Non conosco questo chef, non ho assaggiato il piatto, ma basta guardarlo per capire che siamo di fronte all’ennesimo tentativo di épater le bourgeois, scandalizzare i borghesi con scelte folli. Ma questa non è cultura gastronomica, è puro marketing vestito da arte”. E rincara la dose: “Questi piatti nascono solo per alimentare il narcisismo di pochi chef e per soddisfare la vanità di chi può permetterseli. Ma così si tradisce il senso vero della cucina italiana: quella fatta di semplicità, stagionalità, rispetto per le materie prime. Non di ‘gastrostupidaggini’ dorate per riccastri annoiati”.

            “La cucina italiana si sta suicidando”

            Secondo Raspelli, quella che era una delle cucine più amate e imitate al mondo sta attraversando una crisi identitaria profonda: “Non è più un tentato suicidio. È un suicidio annunciato. E, purtroppo, noi giornalisti siamo complici: ogni volta che diamo spazio a questi piatti assurdi, contribuiamo ad alimentare un modello elitario, lontanissimo dalla realtà quotidiana”. Il riferimento non è solo alla Carbondoro: “C’è chi fa pagare 70 euro un calice di champagne solo perché è servito in un ristorante di grido. Intanto, io vado al supermercato con mia moglie, faccio la spesa con 35 euro e mangio benissimo. Questo è il vero lusso oggi: mangiare bene, senza sprechi e senza spettacoli”.

            Oro, caviale e nostalgia per Marchesi

            Il riferimento all’oro commestibile fa scattare anche un confronto con il passato: “Gualtiero Marchesi lo usò, è vero. Ma era un gesto simbolico, legato alla tradizione rinascimentale, e non veniva fatto pagare una follia. Era un tocco poetico, non una scusa per gonfiare il conto”. Sulla scelta degli ingredienti, Raspelli è preciso: “Anche il caviale italiano di alta qualità costa tanto, ma si trova anche a 10 euro per 10 grammi. Non è quello il punto. Il vero problema è: ha senso proporre questi eccessi oggi, in un Paese dove la maggioranza delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese?”

            La provocazione che non serve a nessuno

            La Carbondoro, insomma, non convince. Né per gusto, né per visione. Secondo Raspelli, rappresenta una deriva della cucina italiana: “Ci stiamo dimenticando chi siamo. Abbiamo il miglior patrimonio gastronomico del mondo e lo stiamo rovinando per inseguire una clientela che non cerca sapore, ma Instagram”. E la conclusione non può che suonare amaramente lucida: “Chi può scegliere, scelga ristoranti dove si cucina per passione e non per provocazione. L’Italia ha bisogno di tornare alla verità dei suoi piatti. E meno oro, più amore”.

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              Fedez amaro: “Non voglio più essere un esempio, nemmeno per me stesso”

              Una partita di calcio a sette, un format che fonde sport e spettacolo, ma anche uno scontro dai toni accesi che ha superato i confini del campo. Durante i quarti di finale della Kings League Italia, andati in scena sabato 10 maggio, il rapper Fedez e lo streamer Blur si sono resi protagonisti di un acceso confronto, culminato in un quasi-scontro fisico. A placare gli animi, tra le due “presidenze infuocate”, è intervenuto l’ex juventino Leonardo Bonucci, convocato da Fedez come “wild card” per rafforzare i Boomers, la sua squadra.

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                Le immagini sono diventate virali nel giro di poche ore: Fedez si è diretto verso Blur visibilmente alterato, il tutto in diretta streaming e sotto gli occhi del pubblico. Il rapper ha giustificato il gesto come reazione a un “clima tossico e provocatorio” da parte dell’altra squadra. Un clima che, secondo lui, si era già manifestato sui social nei giorni precedenti e che sarebbe stato ignorato dagli organizzatori.

                Il Tapiro: «Ero in trance agonistica»

                Non poteva mancare il Tapiro d’Oro, il quindicesimo della carriera per Fedez, consegnato da Valerio Staffelli per l’accaduto. Nell’intervista, il cantante non si tira indietro: «Ero in trance agonistica», ammette. «So fare e dire di peggio, credimi». A calmare le acque, Bonucci, che ha fisicamente separato i due contendenti e salvato l’evento da una possibile rissa. Ma il momento più sorprendente arriva quando Staffelli gli ricorda il suo ruolo di personaggio pubblico: «Rappresenti un esempio per molti giovani». Fedez risponde in modo netto, quasi amaro:


                «Ho smesso di esserlo. Non voglio più esserlo, nemmeno per me stesso».

                Un torneo tra calcio e influencer, ma l’esempio?

                La Kings League Italia, figlia dell’originale spagnola ideata da Gerard Piqué, fonde influencer, ex professionisti e show. Dodici squadre, format virale, arene piene. Ma anche tanta tensione, egocentrismi e sfide di popolarità. Fedez e Blur non sono solo presidenti di squadra: sono simboli di due mondi digitali che si scontrano spesso fuori dal campo, tra streaming, tweet velenosi e provocazioni in diretta. Quello che dovrebbe essere puro intrattenimento si trasforma in uno scontro tra ego, dove la linea tra gioco e sfida personale si assottiglia pericolosamente.

                L’ombra del burnout e la disillusione

                Nella frase di Fedez — «Non voglio essere un esempio nemmeno per me stesso» — c’è tutta la fatica di chi è sempre al centro del mirino. Reduce da una lunga esposizione mediatica, da problemi personali e da un costante scrutinio pubblico, il rapper sembra voler alzare le mani: basta aspettative, basta modelli. Solo la libertà di sbagliare, anche davanti a milioni di follower. E se la Kings League vuole davvero fondere sport e spettacolo, forse il primo passo è ritrovare la misura. Perché senza rispetto, né sul campo né fuori, lo show rischia di diventare solo un’altra arena digitale dove a vincere è chi urla più forte.

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