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Speciale Festival di Sanremo 2025

Sanremo 2025, i cachet di Carlo Conti, co-conduttori e cantanti: chi è il più pagato?

Carlo Conti, direttore artistico e conduttore, è il più pagato con un cachet da 500.000 euro. I co-conduttori riceveranno circa 25.000 euro a testa, mentre ai cantanti spetta un rimborso spese di 53.000 euro per l’intero progetto artistico.

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    Curiosità e cifre da capogiro si intrecciano dietro le quinte del Festival di Sanremo 2025. Con il cast ormai definito, l’attenzione si sposta sui compensi dei protagonisti della kermesse musicale più seguita d’Italia. Il più pagato, ovviamente, sarà Carlo Conti, che torna sul palco dell’Ariston non solo come conduttore, ma anche come direttore artistico. Il suo cachet si aggira intorno ai 500.000 euro, una cifra che comprende il lavoro svolto nei mesi precedenti al Festival. Un compenso in linea con quelli percepiti nelle edizioni da lui condotte tra il 2015 e il 2017, quando i suoi guadagni variarono dai 500.000 ai 650.000 euro, con una parte donata in beneficenza.

    Più contenuti i compensi dei co-conduttori, scelti per affiancarlo nelle cinque serate. Secondo indiscrezioni, ognuno riceverà circa 25.000 euro, anche se alcuni nomi potrebbero incassare cifre più alte. Tra loro spiccano Gerry Scotti e Antonella Clerici, scelti per la serata inaugurale, seguiti da volti noti dello spettacolo come Bianca Balti, Nino Frassica, Cristiano Malgioglio, Miriam Leone, Elettra Lamborghini, Katia Follesa, Mahmood e Geppi Cucciari. L’ultima serata vedrà invece protagonisti Alessandro Cattelan e Alessia Marcuzzi.

    Per i cantanti in gara, il Festival prevede il solito indennizzo, fissato a 53.000 euro, una cifra che copre l’intero progetto artistico e non il singolo artista. Il cantante riceve infatti un compenso fisso di 3.000 euro, mentre una parte dei fondi è destinata alla serata dei duetti. Non è previsto un premio in denaro per il vincitore, ma la visibilità offerta dalla competizione si traduce spesso in un successo immediato, con un incremento nelle vendite, negli streaming e nei concerti.

    Sanremo, oltre a essere il più importante evento musicale italiano, resta anche un incredibile motore economico. L’indotto pubblicitario di questa edizione potrebbe superare i 50 milioni di euro, con spot da 30 secondi venduti a cifre che toccano i 300.000 euro. Un giro d’affari che, anno dopo anno, conferma il Festival come una macchina perfetta, capace di generare numeri impressionanti tanto nel mondo della musica quanto in quello della pubblicità.

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      Speciale Festival di Sanremo 2025

      Tony Effe: «Le polemiche sui miei testi? Mi hanno ferito. Ho pianto davanti a mia madre»

      Tony Effe si confessa: «Le accuse di violenza mi hanno fatto male, sono crollato. Ho una fidanzata, esco poco e prendo lezioni di italiano. Leggo anche Saba: mi ha insegnato a vedere Roma come una persona. Sanremo? Una nuova sfida con Damme ’na mano».

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        Un’intervista a cuore aperto, quella di Tony Effe in cui il rapper romano si racconta senza filtri. Nicolò Rapisarda, 33 anni, conosciuto al grande pubblico come Tony Effe, è reduce da un anno di successi e polemiche. Dalla pubblicazione del suo secondo album solista, certificato quadruplo disco di platino, al record di ascolti tra tutti gli artisti italiani, fino alla bufera per il concerto di Capodanno a Roma, Tony Effe ha attraversato un periodo intenso, segnato anche da momenti di fragilità. «Mi ha ferito leggere che i miei testi istigassero all’odio di genere. Non mi riconosco in quell’immagine», confessa l’artista, che oggi si definisce più maturo e riflessivo, distante dagli eccessi del passato.

        Non mancano però i nuovi progetti: una canzone autobiografica per il prossimo Festival di Sanremo, lezioni settimanali di italiano per affinare la scrittura e una crescente consapevolezza artistica. «Non si può confondere l’immaginario con la realtà. Stephen King allora cos’è, un serial killer?».

        Come hai vissuto le critiche ricevute per il Capodanno a Roma?
        «Malissimo, non lo nego. Mi ha ferito leggere che i miei testi istigassero all’odio di genere. Durante il concerto al PalaEur l’ho detto al pubblico: ci sono stato male. Ho organizzato quella serata in fretta e furia dopo che il Comune aveva deciso di escludermi dall’evento ufficiale. Tutti si aspettavano che reagissi da duro, ma non ce l’ho fatta. Un giorno, mentre stavo traslocando, sono crollato. C’era mia madre ad aiutarmi con gli scatoloni, e all’improvviso mi sono messo a piangere. Mi sono vergognato, perché non sono abituato a mostrare le mie debolezze. Ma in quel momento stavo esplodendo. Quelle accuse mi hanno fatto davvero male. Una cosa è raccontare, un’altra è vivere. È importante capire questa differenza».

        Parli dei tuoi testi come di uno sguardo sulla realtà. Ti riconosci nella polemica sui contenuti violenti?
        «Il rap ha un suo linguaggio, un suo codice. Raccontiamo ciò che vediamo, è sempre stato così. Mai confondere l’immaginario con la persona. Stephen King allora sarebbe un serial killer? Io parlo di esperienze, di cose vissute o viste. Poi certo, cresci, cambi, e cerchi di affinare il modo in cui racconti queste cose. Ma se vuoi fare un pezzo realistico, non puoi edulcorarlo troppo, altrimenti perde di senso. Questo però non vuol dire che io sia quella persona che descrivo nei miei pezzi».

        Prima del rap c’era la carriera d’attore. Ci racconti quel periodo?
        «Da piccolo ero convinto che sarei diventato un attore. A quattro anni sono stato preso in Viaggi di nozze di Carlo Verdone, e da lì è iniziato tutto. Ero richiesto, facevo un provino al giorno. Mio padre mi portava in giro per Roma, e spesso avrei preferito giocare con i miei amici. Ma capivo che era un modo per aiutare economicamente la famiglia. Andava così: uscivo da scuola alle quattro e andavo subito a fare i provini. Era una vita strana per un bambino».

        Come sei cambiato rispetto agli anni con la Dark Polo Gang?
        «Tantissimo. Ho una fidanzata con cui convivo e ho imparato ad apprezzare la tranquillità. Esco poco, mentre prima avevo bisogno di stare sempre fuori, tra locali e feste. Ora preferisco restare a casa a guardare La carica dei 101. Mi piace questa nuova dimensione più calma. Mi sento più centrato, anche artisticamente. Per questo ho iniziato a prendere lezioni di italiano una volta a settimana. Mi aiuta a scrivere meglio e a capire più a fondo i testi».

        Lezioni di italiano? Un rapper che legge Umberto Saba suona curioso…
        «Sì, e mi sta piacendo un sacco! Nell’ultima lezione abbiamo letto una poesia di Saba in cui impersonifica la città come un ragazzaccio biondo. Mi ha colpito, perché è un po’ quello che ho cercato di fare anch’io con Roma nella mia canzone Damme ’na mano. Roma per me è come una persona, è un rapporto d’amore e odio, ma soprattutto è casa. Scrivere quel brano per Sanremo è stato terapeutico. Mi ha aiutato a ritrovare un po’ di quella magia che avevo perso».

        A Sanremo sarà un nuovo inizio per te?
        «Non so se sarà un nuovo inizio, ma di sicuro sarà un’occasione per mostrarmi in modo diverso. Damme ’na mano è un pezzo che mi rappresenta al 100%. L’ho scritto io, ogni singola parola. È il brano che amo di più della mia discografia. Lo sento vero, diretto, senza filtri. Credo che anche il pubblico se ne accorgerà».

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          Speciale Festival di Sanremo 2025

          Rose Villain: «Trump? Non potrei crescere un figlio negli USA. In Italia con Meloni non mi sento tutelata»

          Vive a New York da 14 anni ma ora pensa di andarsene: «Ho già sofferto la prima amministrazione Trump, ora è anche peggio. Qui in Italia, con Meloni, non mi sento tutelata. Sanremo? Ci torno per vendetta. Click boom! lo definirono “Frankenstein”, ma è stato il pezzo più ascoltato dell’anno».

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            Rose Villain, tra i big della 75ª edizione del Festival di Sanremo, non usa mezzi termini per descrivere il suo disagio verso il clima politico degli Stati Uniti, dopo l’elezione di Donald Trump: «Mi viene da piangere, ma capisco che in un momento come questo si scelgano i bulli, perché fa meno paura stare con loro», dichiara, parlando della sua esperienza negli USA, dove vive ormai da 14 anni.

            All’anagrafe Rosa Luini, 35 anni, figlia dell’imprenditore milanese Franco Luini (fondatore del marchio Tucano), Rose Villain ha trascorso buona parte della sua vita a New York, compreso tutto il primo mandato del tycoon. Ed è proprio lì che ha scritto il nuovo disco, in uscita dopo Sanremo, che comprende anche Fuorilegge, il brano con cui gareggia quest’anno. «Quattordici anni di vita vissuti a New York non sono passati invano – racconta –. Ho già sofferto la prima amministrazione Trump, ma questa volta ho l’impressione che sia molto peggio. Quando fu eletto Biden, tutti scendemmo in strada a festeggiare. Oggi non c’è nulla da festeggiare. Se mai diventerò mamma, non riesco a immaginare come si possa crescere un figlio in quella società».

            Ma il malessere non si ferma agli Stati Uniti. Anche in Italia, Rose Villain non si sente al sicuro. «Qui non è che con Meloni vada benissimo. Sento molto scontento fra i miei coetanei. Sono una donna che tiene tantissimo ai diritti umani, e con questo governo non mi sento tutelata».

            Il ritorno a Sanremo per “vendetta”

            Nonostante le sue riserve sul clima politico, Rose Villain torna all’Ariston per il secondo anno consecutivo. Nel 2024 si era presentata con il brano Click boom!, che nei mesi successivi ha conquistato tre dischi di platino, nonostante si fosse classificato solo 23° a Sanremo.

            Molti giornalisti hanno definito Fuorilegge una sorta di sequel di Click boom! per la somiglianza nella struttura del brano, una definizione che Rose Villain non smentisce, anzi: «È la conferma di uno stile, un sequel del pezzo precedente, anche se è nato prima. E l’ho scritto io, ogni singola parola. Guarda Dua Lipa: spesso fa canzoni che richiamano quelle precedenti, creando un marchio di fabbrica. Questo pezzo sono io al 100%».

            E se proprio deve scegliere una metafora cinematografica, più che un sequel, Rose Villain preferisce definirlo una «vendetta» (detto con il sorriso). «Quando presentai Click boom! nel 2024, molti lo etichettarono come un pezzo “Frankenstein”, non lo capirono. Poi però è rimasto in classifica per un anno intero ed è stato uno dei più ascoltati di quella edizione».

            Di certo, Click boom! è uno di quei brani che hanno “vinto Sanremo senza vincerlo”, dimostrando che partecipare al Festival è il trampolino ideale per lanciare un disco o un tour. Ora, Rose Villain spera che Fuorilegge compia lo stesso percorso, confermandola come uno dei volti più luminosi della musica italiana contemporanea.

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              Speciale Festival di Sanremo 2025

              Sanremo 2025, polemica sul voto: «Un podio maschilista? Le donne devono fare le capriole per essere considerate»

              Elodie non ci sta: «Le donne devono fare le capriole per essere rispettate». Giorgia: «Quando non faremo più questa distinzione, sarà un giorno migliore». La polemica sui voti di Sanremo infiamma il salotto di Mara Venier, tra applausi e accuse al pubblico e alla sala stampa.

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                Il Festival di Sanremo 2025 si è appena concluso, ma le polemiche non si placano. Questa volta, il tema è l’assenza totale di donne tra i primi cinque classificati. È un caso, oppure il pubblico che vota è un po’ maschilista? La domanda circola nel salotto di Domenica In, il tradizionale spazio di riflessione post-Festival condotto da Mara Venier.

                Proprio la conduttrice solleva la questione, sottolineando l’esclusione di Giorgia, data tra le favorite della vigilia. La cantante non si tira indietro: «C’è qualcosa nella nostra mentalità che è sedimentato da millenni… Il giorno in cui non faremo più questa distinzione sarà un giorno migliore», commenta, accolta dagli applausi del pubblico in studio.

                A farle eco, con ancora più decisione, arriva Elodie: «Sembra sempre che noi donne dobbiamo fare le capriole per avere successo. Siamo sempre in minoranza, e questo fa arrabbiare, perché non siamo artisticamente inferiori».

                Poi la cantante lancia una stilettata ai giornalisti presenti: «Ci sono rimasta male per Giorgia. È irrispettoso per il suo talento e la sua carriera. Ci vuole rispetto per le carriere, soprattutto quando sono importanti. Non si può sentire».

                Una giornalista prova a smorzare la polemica: «Ma anche Massimo Ranieri è arrivato ventitreesimo, e parliamo di un gigante della musica italiana». Elodie però non si ferma: «L’abbiamo osannata tutta la settimana, “la canzone vincitrice, la canzone vincitrice”… e poi? Ci siamo dimenticati di votare perché “tanto è Giorgia”? Dov’era il sostegno della radio? Quello della sala stampa? Vi siete dimenticati di votare?», incalza, visibilmente delusa.

                Un dibattito acceso, che mette in luce una realtà difficile da ignorare: essere donna, anche sul palco di Sanremo, sembra ancora un’impresa più complicata. Ma la risposta, probabilmente, è già scritta nelle parole di Giorgia: «Il giorno in cui non parleremo più di queste cose, sarà davvero un giorno migliore».

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