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Televisione

Michelle Hunziker all’Eurovision 2025: neutrale come la Svizzera? Solo sulla carta…

Michelle Hunziker torna all’Eurovision Song Contest, stavolta da padrona di casa. Con ironia, energia e un pizzico di tifo tricolore per Lucio Corsi, sarà tra i conduttori della finale a Basilea il 17 maggio 2025. Ecco cosa ha raccontato tra prove, imitazioni, viaggi e… un tocco da nonna rock.

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    Che Michelle Hunziker fosse pronta a tutto, lo sapevamo. Ma ora è ufficiale: sarà tra le conduttrici della finale dell’Eurovision Song Contest 2025, in onda sabato 17 maggio su Rai 1 dalla St. Jakobshalle di Basilea. E no, non sarà la Michelle “che cazzeggia”: come ha raccontato lei stessa, sarà una presentatrice istituzionale e rigorosa, “al servizio di uno show che non lascia spazio all’improvvisazione”. Ma poi aggiunge: “Visto che la Svizzera ha vinto nel 2024, il mio augurio va all’Italia”. Neutrale? Sì, ma solo come può esserlo un’italo-svizzera davanti a Lucio Corsi in gara con Volevo essere un duro.

    Deroghe, viaggi e prove (senza mollare Striscia)

    Per essere sul palco dell’Eurovision, Michelle ha ottenuto una deroga da Mediaset: niente semifinali (che andranno in onda su Rai 2 il 13 e 15 maggio), ma via libera per la finale su Rai 1. E non pensate che sia una passeggiata: “Faccio Striscia la Notizia, poi quattro ore d’auto per arrivare a Basilea, prove e ritorno. È dura, ma lo sognavo da anni”, ha confessato. Insomma… Eurovision by day, tapirone by night!

    Eurovision 2025: Michelle conduce, ma… tifa?

    In teoria, non dovrebbe parteggiare per nessuno. Ma l’entusiasmo per Lucio Corsi, che ha preso il posto di Olly come rappresentante dell’Italia, è palpabile: “Porta qualcosa di originale. Mi piace molto”. E se l’Italia e la Svizzera finissero a giocarsi il podio? “Mi viene l’esaurimento solo a pensarci!”. Tradotto: tradizionale diplomazia svizzera, sfegatato cuore italiano.

    Tra GialappaShow, ciapèt e nonne superstar

    Sempre ironica, Michelle ha anche parlato della sua imitazione al GialappaShow: “Valentina Barbieri mi fa ridere come una pazza. È l’unica che riesce davvero a imitarmi”. E poi, inevitabile, uno spazio alla sua nuova vita da nonna: “È il senso della vita. Ho già preso i biglietti per il tour di Eros a ottobre”. Nonna sì, ma con il biglietto per la prima fila e gli stivali glitterati pronti.

    Tre donne

    Sul palco della finale non sarà sola: con lei Hazel Brugger e Sandra Studer, che condurranno anche le semifinali. “In Germania le donne vogliono solo ruoli seri, da noi invece portiamo a casa pure le ciapèt!”. Un’altra sua battaglia è quella con Giulia Bongiorno nell’associazione Doppia Difesa, per aiutare le donne vittime di violenza. Nell’immediato si prepara a conquistare l’Europa da un palco che conosce bene, con il sorriso di sempre e la determinazione di chi fa sul serio. Neutrale? Forse. Ma se Lucio Corsi dovesse spuntarla, difficile non vedere un guizzo d’orgoglio nei suoi occhi… anche sotto le luci super regolamentate dell’Eurovision.

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      Il reboot di Harry Potter: anche una serie tv riesce a dividere come se fosse politica estera

      La nuova serie televisiva di Harry Potter targata HBO è stato annunciata con un cast completamente rinnovato: Dominic McLaughlin sarà Harry, Arabella Stanton interpreterà Hermione e Alastair Stout vestirà i panni di Ron. Ma la magia si scontra con la realtà: l’annuncio ha scatenato un’ondata di odio social tale da costringere HBO a chiudere i commenti. Anche una serie tv fantasy diventa un aspro campo di battaglia.

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        Il mondo magico dei personaggi partoriti dalla fantasia di J.K. Rowling sta per riaprirsi, questa volta sotto forma di serie TV firmata HBO. Una produzione ambiziosa che punta a riportare in auge la saga più amata degli ultimi decenni, con una fedeltà mai vista prima ai libri della scrittrice inglese. Ma l’annuncio che avrebbe dovuto incantare i fan si è trasformato in una pioggia battente di polemiche.

        I piccoli attori al debutto nella serie

        I nuovi protagonisti sono giovanissimi: Dominic McLaughlin nel ruolo di Harry Potter, Arabella Stanton che impersonifica Hermione Granger e Alastair Stout nei panni di Ron Weasley. Tre volti nuovi per un racconto vecchio, ma sempre attuale.

        Una produzione colossale per un’eredità pesante

        La serie, scritta da Francesca Gardiner, sarà prodotta in collaborazione con Warner Bros. Television e Brontë Film and TV, con J.K. Rowling nel ruolo di produttore esecutivo. Ogni stagione coprirà un libro della saga, promettendo un approfondimento maggiore rispetto ai film originali. Il cast tecnico è di alto livello: alla regia Mark Mylod, supervisione casting di Lucy Bevan e Emily Brockmann. La sfida? Riuscire a ricreare la magia senza rimanere schiacciati dal peso dell’originale.

        Commenti chiusi per “proteggere i bambini”: il lato oscuro dei social

        Appena diffusa la notizia, HBO ha dovuto correre ai ripari: la sezione commenti su Instagram è stata disattivata per proteggere i giovani attori dalla valanga di odio online. Motivo? Scetticismo per la mancanza di esperienza del cast, nostalgia tossica verso i vecchi interpreti e l’immancabile guerra tra “puristi” e “progressisti” della fandom.

        Che amarezza…

        Una serie per ragazzi diventata campo di battaglia ideologico. Perché oggi, anche scegliere un attore è un atto divisivo. Viviamo tempi in cui nemmeno la magia di Hogwarts riesce a mettere tutti d’accordo. Una scelta di casting si trasforma in un bellicoso referendum culturale, nel quale un semplice reboot viene accolto come se fosse un attentato alla memoria collettiva. E così, mentre la serie si prepara a debuttare su HBO Max anche in Italia, il fandom è già spaccato in due. Come se non bastassero i Mangiamorte, ora ci sono anche i “commentatori seriali da tastiera”.

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          Televisione

          La Rai rompe con Sanremo: dal 2027 il Festival sarà altrove, forse anche itinerante

          La Rai non accetta i rincari proposti dall’amministrazione della città ligure e prepara un addio clamoroso: si valutano nuove sedi tra Costiera Amalfitana, Versilia e persino Torino. L’idea? Un Festival che cambia location ogni due anni

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            Il Festival di Sanremo, colonna sonora degli italiani da oltre settant’anni, potrebbe davvero lasciare la sua storica sede. L’ipotesi — di cui si vociferava da mesi — sembra ora concretizzarsi: dal 2027, la kermesse musicale più amata del Paese non si terrà più nella città dei fiori. A confermarlo è Il Messaggero, che racconta come la Rai stia preparando un clamoroso trasloco, dopo una serie di attriti insanabili con il Comune ligure.

            Il Festival resterà all’Ariston solo per l’edizione 2026, la numero 75. Poi, via libera a un nuovo progetto: quello di un Sanremo itinerante, che possa toccare ogni due anni una località diversa, preferibilmente marittima e dotata di strutture moderne. L’idea è quella di trasformare il Festival in un evento in grado di valorizzare tutto il patrimonio paesaggistico e culturale italiano — ma dietro le belle parole, il nodo resta uno: i soldi.

            Secondo quanto trapelato, il Comune di Sanremo avrebbe richiesto alla Rai un milione di euro in più per ospitare il Festival, oltre a una fetta degli introiti pubblicitari. Fondi che sarebbero serviti ad ammodernare le strutture cittadine, ma che la tv pubblica ha giudicato sproporzionati. Anche perché, ricordano da viale Mazzini, la Rai aveva già versato contributi importanti fino al 2008 proprio per la costruzione di un nuovo auditorium. Lavori che, però, non sono mai stati nemmeno avviati.

            Le parole dell’amministratore delegato Rai Giampaolo Rossi, pronunciate durante la recente presentazione dei palinsesti, non hanno lasciato spazio a dubbi: «Le strutture della città non sono all’altezza». Un giudizio netto, rafforzato anche dalla posizione delle case discografiche, che nei giorni scorsi hanno minacciato di fare un passo indietro se la Rai avesse accettato i rincari proposti da Sanremo.

            Così, a via Asiago si guarda oltre. Tra le prime opzioni ci sono la Costiera Amalfitana — con Sorrento in pole — la Versilia con Viareggio e persino Torino, forte del successo nell’organizzazione dell’Eurovision nel 2022. Ma anche Puglia e Riviera romagnola si sono affacciate con interesse. La discriminante? Le strutture e la disponibilità economica.

            Un altro scenario, sempre più probabile, è quello di un Festival itinerante: un Sanremo che si muove, ogni due anni, da una città all’altra. Un modo per accontentare territori diversi, distribuire i benefici economici dell’evento e dare una nuova veste al Festival.

            Nel frattempo, la frattura con Sanremo appare insanabile. Già a fine 2024, la sentenza del Tar della Liguria aveva annullato l’affidamento diretto alla Rai, costringendo il Comune a un nuovo bando. Alla fine, solo la tv pubblica si era fatta avanti. Ma ora anche la pazienza della Rai sembra esaurita.

            «La Rai farà il suo Festival, perché è in grado di produrre un evento di questa portata ovunque», ha ribadito Rossi. E per la prima volta, Sanremo sembra essere fuori dalla festa.

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              40 anni di Quelli della Notte: la meglio gioventù della televisione che fu

              Renzo Arbore racconta la genesi dello show che cambiò per sempre la TV italiana, debuttando il 29 aprile 1985. Un programma irripetibile, fatto di voci sovrapposte, nonsense, provocazioni e cultura pop. Capace di diventare cult in appena 32 puntate.

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                «L’idea di questo esperimento mi venne pensando al caos delle riunioni di condominio, ma anche alle conversazioni scombiccherate di noi nottambuli», confessa Arbore. Nessuna sceneggiatura, solo intuizione, ritmo e improvvisazione. Una jam session della parola, come le jam session del jazz, dove tutto è lecito e ogni voce trova il suo spazio. Un salotto volutamente disordinato, che ironizzava sulla forma e sul contenuto.

                Personaggi iconici: da Ferrini a Catalano, da Marchini a D’Agostino

                La forza dello show stava nei suoi protagonisti, caricature geniali nate da esperienze reali. Maurizio Ferrini era il “comunista romagnolo” che s’inventò il muro di Ancona, una satira ante litteram sulla divisione Nord-Sud. Simona Marchini, con i suoi gossip telefonici, fu la prima a portare il pettegolezzo in TV. Roberto D’Agostino, invece, introdusse il pubblico all’edonismo reaganiano e alle letture di Milan Kundera, anticipando il trionfo della tuttologia.

                Poi c’era Nino Frassica, alias frate Antonino da Scasazza, con la sua comicità surreale e “swingata”. Massimo Catalano, filosofo dell’ovvio, incarnava il trionfo dell’aforisma banale. Riccardo Pazzaglia, invece, recitava il ruolo dell’intellettuale sconfitto, in un perenne confronto con la banalità dilagante. Marisa Laurito cercava Scrapizza, l’amore assente: una moderna Penelope della commedia televisiva.

                Andy Luotto e la censura Andreottiana

                Tra le storie più emblematiche, quella di Andy Luotto, l’arabo ispirato da un viaggio in Giordania. La sua interpretazione, amata da molti ma criticata da alcuni ambienti arabi, portò persino a un intervento diplomatico. «Un vicedirettore Rai mi telefonò e disse che era stato chiamato da Andreotti a nome del re di Giordania». E così il personaggio fu cancellato.

                L’eredità di Quelli della Notte e la TV di oggi

                Arbore osserva la TV contemporanea con un certo disincanto. «Guardo la televisione improvvisata nella sua versione seria: i talk politici, dove ognuno dice la sua». Ma la magia di Quelli della Notte resta unica, irripetibile: un laboratorio creativo che ha trasformato il linguaggio televisivo, anticipando i meme, le dirette social, l’ibridazione dei generi.

                Dopo 4 decenni è ancora un cult

                Quelli della Notte non è stato solo un programma: è stato uno specchio deformante del Paese, un circo della parola che ha saputo raccontare l’Italia con ironia e lucidità. Quarant’anni dopo, la sua lezione di libertà espressiva e improvvisazione rimane intatta. Una rivoluzione notturna che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva.

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