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Calcio

Dopo la sfuriata c’è poco da stare… Allegri

In sintesi, c’è poco da stare Allegri. La Juventus deve fare i conti con le conseguenze di una stagione tumultuosa e le cicatrici lasciate dalle tensioni interne. Tuttavia, come sempre, il calcio offre un palcoscenico imprevedibile, dove ogni partita può ribaltare le sorti e riscrivere la storia

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    Con il campionato ormai alle battute finali, la Juventus si prepara ad affrontare l’ultimo turno del campionato contro il Monza, puntando al terzo posto in classifica. Tuttavia, l’attenzione mediatica continua a concentrarsi sulla clamorosa sfuriata dell’ormai ex tecnico bianconero Massimiliano Allegri. A prendere le redini della squadra è stato l’ex difensore Paolo Montero, ma inevitabilmente, tutti parlano ancora di quanto accaduto nella finale di Coppa Italia.

    Allegri e la sfuriata in diretta TV

    Massimiliano Allegri ha scosso il mondo del calcio italiano con la sua reazione furiosa in diretta televisiva. Raggiunto telefonicamente da Ivan Zazzaroni il giorno dopo lo sfogo, Allegri si è detto molto dispiaciuto, soprattutto per l’attacco a Guido Vaciago, direttore di Tuttosport. “Con Vaciago ha sbagliato nettamente,” ha spiegato il direttore del Corriere dello Sport durante il suo intervento a Pressing. “Io l’ho sentito il giorno dopo ed era veramente dispiaciuto. L’ho sentito alle 8 del mattino e mi ha detto ‘mi sono vergognato’, ed effettivamente ha ecceduto,” ha considerato Zazzaroni.

    Le scuse di Allegri

    “Non lo so, bisogna fidarsi di quello che ha detto Vaciago anche se c’è una versione di Allegri, ma ha sbagliato e lo sa perfettamente,” ha precisato il giornalista. “Non a caso è andato nella redazione di Tuttosport e ha chiesto scusa.” Con la sua reazione, l’ex allenatore bianconero è passato dalla parte del torto, ma a onor del vero, aveva una lunga serie di motivi per essere ferito e deluso dalla dirigenza della Juventus.

    Le frustrazioni di Max

    Scaricato da tempo, proprio nel momento migliore della stagione, Allegri aveva chiesto invano rinforzi di qualità nel mercato di gennaio per tentare l’impresa. “Io mi aspettavo queste reazioni conoscendo quello che aveva accumulato,” ha raccontato Zazzaroni. “Questi mesi sono stati molto duri, questi tre anni sono stati molto difficili. Quando si è spogliato lo ha fatto in modo strategico, ne sono sicuro. In quel momento doveva fermare la partita,” ha spiegato. “Sono strategie che Ulivieri insegnava a Coverciano. Non è la prima volta che si spoglia, ma chiaro che non è una bella scena.”

    Il futuro della Juventus

    Mentre la Juventus si avvia alla conclusione della stagione con Paolo Montero al timone, i tifosi e i media si interrogano sul futuro della squadra e sulla capacità di Montero di portare la Vecchia Signora al terzo posto in classifica. Ma una cosa è certa: la sfuriata di Allegri rimarrà impressa nella memoria collettiva come uno degli episodi più clamorosi della stagione.

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      Calcio

      Guardiola a Palermo con la maglietta di Falcone e Borsellino: «Le loro idee corrono sulle nostre gambe»

      In Sicilia per l’amichevole contro il Palermo di Inzaghi, Pep Guardiola si presenta con una t-shirt dedicata a Falcone e Borsellino. L’immagine diventa virale.

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        Non è arrivato in punta di piedi, ma con un gesto che a Palermo non passa inosservato. Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, ha dedicato la sua mattinata al santuario di Santa Rosalia, patrona del capoluogo siciliano, indossando una maglietta che raffigurava i volti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sotto, la frase: «Le loro idee corrono sulle nostre gambe».

        Un omaggio chiaro, diretto, senza fronzoli, che ha immediatamente catturato l’attenzione di chi lo ha visto salire fino al Monte Pellegrino. Le immagini, condivise dalla pagina ufficiale del santuario, hanno fatto rapidamente il giro dei social, accompagnate da centinaia di commenti di apprezzamento.

        L’allenatore catalano, da sempre sensibile ai temi civili e sociali, non è nuovo a prese di posizione simboliche. Stavolta, però, il contesto è speciale: Guardiola si trova a Palermo per guidare i campioni d’Inghilterra in un’amichevole di lusso contro la squadra di Filippo Inzaghi. Un match estivo, certo, ma con in palio l’“Anglo-Palermitan Trophy” e soprattutto l’occasione di portare in città un pezzo di calcio mondiale.

        Il City, atteso in serata allo stadio Renzo Barbera, si è concesso qualche ora di relax prima della partita. Per Guardiola, la scelta è caduta sulla visita a un luogo che unisce fede, storia e memoria collettiva. Il santuario, incastonato sulla roccia, è meta di pellegrinaggi e simbolo di resistenza morale: il posto ideale per rendere omaggio a due figure che hanno segnato la lotta alla mafia.

        Un dettaglio, la t-shirt, che diventa messaggio politico e culturale. Non un vezzo turistico, ma un segnale che il calcio, quando vuole, sa ricordare che fuori dal campo esistono battaglie che contano più di un trofeo.

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          Calcio

          Villa Totti, il Consiglio di Stato rimanda tutto al Tar: la depandance del “Pupone” torna in bilico

          Francesco Totti sperava di aver chiuso il contenzioso sul ripostiglio accanto alla piscina della sua villa romana, ma il Consiglio di Stato ha rimandato la causa al Tar. Tutto nasce dalla richiesta di sanatoria presentata dall’ex capitano giallorosso nel 2016 e bocciata dall’architetto municipale. In primo grado il Tar gli aveva dato ragione, ma l’assenza di Roma Capitale al processo ha spinto i giudici di secondo grado a far ripartire la partita legale, rimettendo in discussione la legittimità del manufatto.

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            La depandance di Francesco Totti, 63 metri quadri di ripostiglio affacciato sulla piscina della villa all’Axa, torna sotto processo. Il Consiglio di Stato ha rimandato al Tar il braccio di ferro tra l’ex numero 10 della Roma e il Campidoglio, azzerando di fatto il vantaggio che il “Pupone” si era conquistato in primo grado.

            La vicenda parte nel 2016, quando Totti presenta domanda di sanatoria per regolarizzare il manufatto. In allegato deposita i titoli edilizi che, a suo dire, dimostrerebbero la legittimità del deposito. Ma l’architetto municipale incaricato della verifica, «in qualità di ausiliario di polizia giudiziaria», boccia la richiesta senza esitazioni: «Il titolo presentato non è idoneo».

            Il contenzioso approda al Tar nel 2023 e, sorprendentemente, il tribunale amministrativo regionale si schiera con Totti. Per i giudici, i documenti depositati dall’ex capitano bastano a legittimare il manufatto, soprattutto perché Roma Capitale non si costituisce in giudizio. Un’assenza pesante, che il Tar interpreta come un punto a favore del calciatore.

            Ma è proprio quell’assenza a rovesciare la partita in appello. Il Consiglio di Stato, infatti, ha stabilito che l’amministrazione capitolina non si è costituita perché non era stata informata correttamente dell’avvio del processo. Di conseguenza, la sentenza di primo grado viene annullata e la palla torna al Tar, dove il Comune potrà finalmente esporre le proprie ragioni.

            Secondo l’interpretazione di Roma Capitale, il problema non è solo l’istruttoria iniziale, ma la mancata dimostrazione della “legittimità delle preesistenze edilizie e dell’intero immobile”. In altre parole, per il Campidoglio il deposito non doveva esistere.

            Ora si riparte da zero. Totti dovrà tornare davanti al Tar e il rischio, almeno teorico, è che quel ripostiglio con vista piscina finisca abbattuto. Nel frattempo, la battaglia legale prosegue come una partita ai supplementari, e per il Pupone la vittoria è ancora tutta da conquistare.

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              Calcio

              Cristian Totti dice addio al calcio a soli 19 anni: «Essere figlio di Francesco è stato un peso insostenibile»

              Dopo una breve carriera tra Roma, Frosinone, Spagna e Olbia, Cristian Totti ha detto basta: non reggeva più il confronto con papà Francesco. Ma resta nel calcio, lavorando nell’accademia di famiglia.

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                La sua ultima apparizione è stata con l’Olbia, in Serie D. Sei partite, una sola ammonizione e pochi minuti per lasciare il segno. Eppure, gli occhi erano sempre tutti su di lui. Cristian Totti, 19 anni, figlio del mitico numero 10 della Roma, ha deciso di dire basta con il calcio giocato. Un addio silenzioso, sussurrato alla stampa locale e confermato senza giri di parole: «Sì, smetto. Ho preso questa scelta».

                Una scelta sofferta, ma lucida. Cristian non ce la faceva più a convivere con l’etichetta di “figlio di”. Ogni gesto, ogni tocco, ogni mancata convocazione diventavano materia di paragoni, giudizi, aspettative. Cresciuto tra i vivai di Roma e Frosinone, con una parentesi anche in Spagna nel settore giovanile del Rayo Vallecano, non è mai riuscito a scrollarsi di dosso il fantasma del padre.

                Nel 2024 era approdato all’Olbia, dopo una breve firma con l’Avezzano. A portarlo in Sardegna era stato Marco Amelia, ex portiere della Nazionale e suo allenatore ai tempi del Frosinone. «Cristian aveva qualità, visione, intelligenza tattica», ha spiegato Amelia. Ma il contesto – a detta del tecnico – era difficile. Amelia è stato esonerato dopo poche settimane, e Totti jr ha rescisso il contratto a dicembre.

                Ora Cristian cambia campo ma non abbandona il pallone. Lavorerà nell’accademia fondata da suo padre, oggi gestita dallo zio Riccardo. Si occuperà di scouting e formazione, cercando giovani talenti che magari, come lui, amano il calcio senza dover portare il peso di un’eredità impossibile.

                Nel frattempo, resta l’amaro per una carriera mai davvero cominciata. E il paradosso di un cognome che doveva aprire porte e invece, spesso, le ha chiuse.

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