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Calcio

Fininvest perde colpi: il Monza retrocesso pesa sui conti degli eredi Berlusconi

Il club biancorosso chiude il 2024 con 48 milioni di perdita e viene svalutato. L’utile della holding crolla da 101 a 3 milioni. Si tratta con fondi USA per la cessione

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    Altro che passione sportiva. Per la famiglia Berlusconi, il Monza sta diventando un problema economico serio. Il bilancio 2024 di Fininvest spa, la holding che custodisce le partecipazioni dei cinque fratelli eredi di Silvio, registra un crollo dell’utile netto a soli 3 milioni di euro, contro i 101 milioni dello scorso anno. E il colpevole ha una maglia biancorossa.

    Il club calcistico, acquisito da Berlusconi nel 2018, ha chiuso l’ultimo esercizio con 48 milioni di perdita e la retrocessione in Serie B. Un doppio colpo che ha portato la capogruppo a svalutare la partecipazione, precedentemente iscritta a bilancio per 100 milioni. La manovra contabile – una scelta prudenziale ma inevitabile – avrebbe inciso da sola per circa 120 milioni sui conti Fininvest.

    E dire che il gruppo nel suo complesso ha continuato a produrre dividendi: 59 milioni da Mfe-Mediaset, 17 da Mondadori, 177 da Banca Mediolanum. Il bilancio consolidato segna infatti oltre 260 milioni di utile. Ma il dato rilevante per gli azionisti – ovvero il risultato della sola Fininvest spa, da cui transitano i dividendi – è drasticamente in calo.

    La domanda ora è: che fare del Monza? Secondo indiscrezioni, sono in corso trattative con due fondi americani per la vendita della società calcistica. Un passo che segnerebbe la fine dell’era sportiva berlusconiana e che appare sempre più probabile, visto che senza la Serie A, il club perde attrattiva anche agli occhi degli eredi.

    Nel frattempo, i conti della cassaforte restano solidi: Fininvest ha a disposizione quasi 1,3 miliardi di riserve accantonate negli anni. Un capitale da cui pescare eventuali dividendi per le cinque holding personali dei fratelli Berlusconi. L’assemblea decisiva è attesa per fine giugno.

    Morale: il Monza è retrocesso non solo in classifica, ma anche nel cuore (e nel portafoglio) degli azionisti. E l’era delle passioni a fondo perduto sembra avviarsi verso la fine.

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      Calcio

      Antonio Conte e la solitudine del leader

      Il tecnico che ha portato il Napoli al tricolore si confessa: «Sono rassegnato a essere solo, ogni decisione tocca a me». Dall’ossessione per il lavoro ai sacrifici privati, fino al legame con la figlia Vittoria: un ritratto inedito del “sergente di ferro”.

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        Per una volta, Antonio Conte si lascia guardare senza corazza. Niente lavagne tattiche, niente sfuriate da spogliatoio. Solo lui, la sua storia, le sue crepe. Il libro Dare tutto, chiedere tutto, scritto con Mauro Berruto e edito da Mondadori, è molto più di una raccolta di ricordi sportivi: è un ritratto sincero, umano, persino vulnerabile di un uomo che ha fatto del rigore una religione.

        Il momento più toccante arriva quando parla della figlia: «La rinuncia più grande è stata non vedere tutte le fasi della sua crescita», confessa. Una frase che pesa più di una finale persa. Perché, come racconta nell’intervista a 7, il settimanale del Corriere della Sera, Conte ha barattato la vita privata con quella professionale. E non sempre ha vinto.

        La sua è la storia di un uomo abituato a prendere tutto sulle spalle. «Un allenatore deve essere solo», dice. «Ha uno staff, certo. Si confronta, ascolta. Ma alla fine le decisioni toccano solo a lui, nel bene e nel male». Una solitudine scelta, necessaria, forse anche amata. Ma pur sempre solitudine.

        Conte ripercorre gli anni alla Juventus, al Chelsea, all’Inter, alla guida della Nazionale. Ricorda l’inizio difficile, quell’articolo sulla Gazzetta che lo stroncò alla prima da titolare. E Trapattoni che, invece di mollare, lo incoraggiò. È lì che nasce il metodo Conte: fatica, disciplina, limiti da superare. Sempre.

        «Mi chiamano sergente di ferro», ammette. Ma la verità è che lui per primo si sottopone a regole durissime. Racconta anche l’episodio al Chelsea, l’unica volta in cui provò ad allentare la morsa per rispetto verso una cultura diversa. «Andò male», dice secco. Da lì, una decisione irrevocabile: «Mai più compromessi».

        E oggi, mentre il suo Napoli festeggia il tricolore, Conte guarda avanti. I rapporti con De Laurentiis, a tratti ruvidi ma schietti, hanno trovato un nuovo equilibrio. E il futuro, per ora, resta azzurro.

        Nel backstage delle foto con la figlia Vittoria per l’intervista a 7, c’è un Conte nuovo. Un padre, più che un allenatore. Un uomo che, per la prima volta, sembra davvero aver tolto la divisa da sergente.

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          Calcio

          Antonio Cassano contro Salt Bae: “880 euro per una bistecca? Mai più nel suo ristorante!”

          Da 4 antipasti e una bistecca a un conto da 880 euro. La disavventura di Cassano nel ristorante di Salt Bae in Grecia strappa risate in studio e diventa un cult online.

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            Antonio Cassano continua a essere il protagonista assoluto di Viva El Futbol, il programma streaming condotto insieme a Lele Adani e Nicola Ventola, dove il calcio si mescola spesso a episodi di vita quotidiana. Nella puntata di ieri, l’ex calciatore ha raccontato un episodio che ha fatto ridere fino alle lacrime i suoi compagni di trasmissione.

            Si parla di Nusret Gökçe, meglio noto come Salt Bae, celebre chef turco famoso per la teatralità con cui sparge il sale sulle sue pietanze. Cassano ha ricordato una visita nel ristorante di Salt Bae in Grecia, insieme alla sua famiglia: “Abbiamo preso quattro antipasti di carne e una bistecca grande da dividere in quattro”. Fin qui tutto normale, ma la sorpresa è arrivata con il conto.

            “Ci hanno portato un conto di 880 euro,” ha raccontato Cassano tra risate e stupore. “Chiamo il cameriere e gli dico: amico, mi sa che hai sbagliato.” Ma no, il conto era giusto: “220 euro a testa per quello che abbiamo mangiato.”

            Il racconto ha scatenato l’ilarità di Adani e Ventola, ma la battuta finale di Cassano ha rubato la scena: “Quando in inglese ci hanno chiesto come ci siamo trovati, ho risposto: benissimo, ma non ci verremo mai più!”

            Una storia che si aggiunge alla lunga lista di commenti spontanei e taglienti che hanno reso Cassano una delle voci più genuine e divertenti del panorama sportivo e non solo.

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              Calcio

              Carlos Cuesta, il baby allenatore che fa tremare la Serie A

              Ha 29 anni, un viso da studente modello e zero presenze in panchina da primo allenatore. Eppure sarà lui, Carlos Cuesta, a guidare il Parma nella prossima Serie A. Un azzardo? Forse. Ma anche un segnale forte: il calcio italiano, ogni tanto, sa sorprendere.

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                Cuesta sarà il più giovane tecnico della storia recente del campionato da quando esiste il girone unico. Un record che ha il sapore della rivoluzione, e che racconta una carriera cominciata in modo bizzarro: niente passato da professionista, solo tanta ostinazione e un tweet, quello che gli aprì le porte dell’Atlético Madrid. “Se hai bisogno di uno che ti sistemi i coni, io ci sono”, scrisse a un allenatore delle giovanili. Era il 2012. Fu chiamato.

                Da lì, una salita rapida: studi universitari in Scienze motorie a Madrid, uno stage alla Juve Under 17 (grazie all’intuito di Cherubini), poi l’incontro chiave con Mikel Arteta, vice di Guardiola al City e oggi tecnico dell’Arsenal. Proprio ai Gunners Cuesta è diventato uno dei collaboratori più ascoltati, curando lo sviluppo individuale dei giocatori. Non male per un ragazzo di Maiorca che sognava panchine mentre altri inseguivano gol.

                Il presidente del Parma Kyle Krause ha deciso di scommettere su di lui offrendogli un biennale da un milione a stagione. Una scelta che ha fatto alzare più di un sopracciglio, ma che Cuesta si è guadagnato con lavoro, metodo e quella che molti chiamano “ossessione per i dettagli”.

                In Spagna ha preso il patentino Uefa Pro nel 2023, grazie a un sistema più flessibile del nostro: in Italia, per accedere al corso, bisogna avere almeno 32 anni. Fosse stato italiano, paradossalmente, non avrebbe potuto sedersi su quella panchina.

                Le sue idee? Calcio propositivo, costruzione dal basso, dominio del possesso. Ma anche empatia e ascolto: “Ci capisce perché è giovane come noi”, raccontava Tavares, oggi alla Lazio. La sua forza sta anche lì.

                C’è chi lo paragona a Mourinho, anche lui senza passato da calciatore, ma con carisma e visione. Cuesta invece è il ragazzo educato, maniacale, che non alza mai la voce ma entra nella testa dei suoi giocatori. L’Italia lo guarda con curiosità, qualcuno con scetticismo. Ma intanto, a Parma, hanno già puntato tutto su di lui. E forse, per una volta, è bello che a fare notizia non sia un ritorno, ma un inizio.

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