Calcio
Grazie Inter, grazie Barcellona: la notte di San Siro che ha incantato il calcio europeo
Una partita leggendaria, da standing ovation planetario. L’Inter vince 4-3 e vola in finale, dopo due ore di dramma calcistico, emozioni surreali e un gol da centravanti di Acerbi al 93’. Una semifinale che resterà negli annali.

Se il calcio fosse una disciplina olimpica dell’anima, Inter-Barcellona sarebbe la finale dei sogni. Ma a volte i sogni diventano veri, e lo stadio diventa teatro, tempio, arena, incubo e redenzione insieme. Nella notte di San Siro, la Champions League ha vissuto una delle sue partite più belle di sempre, e non sono solo i tifosi interisti a dirlo. Lo dice la BBC, che ha rilanciato le parole di Alan Shearer: “Forse la semifinale più epica della storia”. Lo dice The Telegraph, che ne elenca sei motivi. E lo dice Le Figaro, parlando di “sfida leggendaria”. Il calcio europeo si è fermato per assistere a una battaglia campale, un 4-3 da brividi, il seguito perfetto del 3-3 dell’andata al Camp Nou. Tredici gol in due partite. Tredici lampi che resteranno impressi nella memoria.
E se c’è una richiesta unanime, è questa: UEFA, non fateci aspettare altri 15 anni per rivedere Inter-Barcellona in semifinale. Perché da Mourinho contro Guardiola nel 2010 a Inzaghi contro Xavi oggi, ogni volta che queste due squadre si incrociano in Europa, succede qualcosa che travolge schemi e statistiche. Succede il calcio allo stato puro. Succede la follia.
San Siro, pieno come non mai, ha trattenuto il respiro fino all’ultimo minuto. Al 93′, quando tutto sembrava perduto, è arrivato l’uomo inatteso: Francesco Acerbi, 37 anni, difensore di mestiere, bomber per un attimo. Si è ritrovato in area come un attaccante navigato, ha controllato di destro e ha segnato di sinistro, con l’eleganza di chi non dovrebbe trovarsi lì e invece ci sta benissimo. Un gol da volpe, come lo ha definito L’Équipe, che ha rimandato tutto ai supplementari. Da lì, altri trenta minuti di apnea collettiva, un’altalena emotiva in cui è successo tutto, e il contrario di tutto.
Nel delirio, c’è spazio anche per un paradosso: l’uomo partita è un portiere che ha subito tre gol. Yann Sommer, 35 anni, svizzero, è stato semplicemente magico. Le sue parate su Lamine Yamal al 76’ e al 116’, quella su Eric Garcia al 57’, il riflesso su Raphinha al 119’: interventi da poster. Più che un portiere, un portale antipanico, l’ultimo baluardo in una difesa spesso lasciata scoperta. Eppure Sommer non ha tremato. Ha tenuto. E ha permesso all’Inter di restare viva.
Sul versante opposto, resta il rimpianto di un Barcellona meraviglioso e incompiuto, capace di dominare a tratti, ma punito da un’Inter che si rifiuta di morire. Lamine Yamal, a 16 anni, ha fatto impazzire la fascia, è stato “il divino maranza” come lo ha battezzato qualcuno, ma è uscito con le cuffie rosa in testa e la delusione sulle spalle. Marca titola: “Mancava solo un minuto”, con la foto del prodigio catalano stremato a terra. El Mundo Deportivo saluta con un “Addio epico”, mentre Sport si spacca tra le lacrime e l’orgoglio.
Ma il pathos non ha confini. Persino la CNN parla di “puro dramma”, The Athletic di “sensazionale”, Olé celebra Lautaro Martinez, sempre decisivo nelle notti pesanti. E A Bola, giornale portoghese, azzarda: “Se il calcio fosse esistito nel Cinquecento, questa partita l’avrebbe dipinta Leonardo da Vinci”. Improbabile, forse. Ma quanto ci piacerebbe crederlo.
L’Inter, nel suo spirito più autentico, quello della “pazzia” trasformata in identità, conquista così una finale di Champions che mancava dal 2010, anno dell’ultima cavalcata vincente. Ma questa è un’altra storia, scritta da altri uomini. Quella di oggi è la storia di una squadra che non si arrende mai. Che va sotto. Che pareggia. Che trema. Che segna. Che prende gol. Che si rialza. E che alla fine vince.
E se oggi in Europa si parla dell’Inter come del miglior spot per il calcio, non è solo per il risultato. È per lo spettacolo puro, per il ritmo forsennato, per l’adrenalina collettiva. È per aver riportato tutti a quello stato d’animo primordiale in cui la partita è più grande del torneo, del business, della tattica. Dove conta solo correre, segnare, crederci.
La finale ora aspetta. Ma intanto, una cosa è certa: questa semifinale resterà. Nei ricordi, nei video, nei titoli dei giornali, nei bar di tutta Europa. Perché Inter-Barcellona, 4-3, è stato calcio allo stato selvaggio. E ogni tanto, il calcio deve ricordarsi di essere anche questo.
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Calcio
La pizzeria di Cristiano Ronaldo a Madrid: il verdetto dei blogger tra gusto e lusso
Il food blogger Jose Vives visita il Planta 9 by Pestana CR7 a Madrid: atmosfera esclusiva, prezzi elevati e pizza di qualità. Ma vale davvero la pena?

Cristiano Ronaldo non è solo un campione in campo, ma anche un imprenditore di successo. Almeno così sembra. La sua catena di hotel Pestana CR7 si espande nel settore della ristorazione con il Planta 9, la pizzeria situata all’ultimo piano dell’hotel di Madrid. Con una vista spettacolare sulla Gran Vía, il locale di Ronaldo combina pizzeria, sports bar e rooftop, creando un’atmosfera esclusiva e di tendenza. Il food blogger spagnolo Jose Vives, conosciuto sui social come josefoodvibes, ha recensito il locale, condividendo la sua esperienza tra TikTok e Instagram. Nel suo reel, Vives ha assaggiato la pizza Leonesa, la 5 Quesos (versione spagnola della quattro formaggi) e un piatto di cannelloni con coda bovina. Il verdetto? Gusto soddisfacente e piatti ben presentati.
Prezzi e menù: lusso a caro prezzo. Ma nemmeno così esagerato…
Il menù del Planta 9 è essenziale ma curato, con sette varianti di pizza, alcune proposte di antipasti, piatti di carne e pesce, e dolci. Il prezzo di una pizza margherita parte da 17 euro, mentre le pizze più elaborate raggiungono i 20 euro. Le bevande non sono da meno: un litro d’acqua costa 6 euro, con cifre che superano quelle di alcuni ristoranti stellati. Jose Vives ha concluso la sua cena con un conto di 54 euro, cifra che include le due pizze e le bevande, mentre i cannelloni gli sono stati offerti. Nonostante i costi, Vives ha definito l’esperienza “costosa, ma che per una volta ne vale la pena“, complice l’atmosfera esclusiva e la qualità del cibo.
Ne vale davvero la pena? Solo se c’è Ronaldo…
Secondo il food blogger, il Planta 9 by Pestana CR7 offre un’esperienza complessiva positiva. La location, certamente panoramica vista anche la zona centralissima in cui si trova l’hotel e, inoltre, l’ambiente elegante giustificano in parte i prezzi sopra la media. “Tuttavia, non è un locale per tutti i giorni, ma un posto da provare almeno una volta per chi cerca un mix di lusso e buona cucina“.
Calcio
Cassano e il conto stellare: “475 dollari per una pizza? Neanche fosse Cannavacciuolo!”
L’ex fantasista racconta la sua disavventura gastronomica a New York, tra antipasti, una pizza e una mancia che ha fatto infuriare il campione.

Durante un recente soggiorno a New York con la famiglia, Antonio Cassano è tornato a far parlare di sé, ma questa volta non per il calcio. Ospite della diretta streaming Viva el Futbol insieme a Lele Adani e Nicola Ventola, l’ex attaccante ha raccontato un episodio che lo ha visto protagonista in un ristorante della Grande Mela. Il racconto, come sempre colorito e pieno di ironia, ha fatto il giro del web, diventando virale.
Cassano e un conto salato
Cassano ha spiegato di aver ordinato un pasto semplice quattro antipasti e una pizza da condividere con la moglie Carolina e i due figli. Un pranzo veloce, considerando che con i bambini non si riesce a stare seduti più di dieci minuti. Ma il conto, arrivato a ben 475 dollari, lo ha lasciato senza parole. “Se pago 500 euro da Cannavacciuolo, che è un fuoriclasse, lo faccio volentieri. Ma lì non ne valeva nemmeno la metà,” ha commentato, sottolineando che l’esperienza culinaria non era affatto memorabile.
“Gallagher’s è il ristorante giusto!!!” Parole sue…
Il momento di tensione è arrivato quando il cameriere gli ha fatto notare la mancia suggerita del 20%, pari a circa 80 euro, indicata in basso sullo scontrino. Cassano, già infastidito dal conto, ha risposto senza mezzi termini: “Col c**o che te li lascio, decido io!”. Alla fine, ha raccontato di non aver lasciato neppure i 25 dollari inizialmente previsti come mancia, ribadendo che non si sentiva obbligato a farlo. Nonostante l’episodio spiacevole, Cassano ha trovato un ristorante che lo ha conquistato durante il suo soggiorno a New York: Gallagher’s. “Carne spettacolare, lì paghi e ti alzi soddisfatto,” ha dichiarato, facendo un netto confronto con il locale “misterioso” che, a suo dire, voleva approfittarsi del suo conto. Insomma il Cassano di sempre…
Calcio
Messa, bandiere e applausi: il saluto del San Lorenzo al suo tifoso più illustre, Papa Francesco
Tra le maglie rossoblù e gli striscioni con il volto di Bergoglio, il San Lorenzo ha celebrato una messa in memoria del suo tifoso più celebre. “Ci ha insegnato che nessuna partita si vince da soli”, ha detto il sacerdote, commuovendo un oratorio gremito di emozione e gratitudine.

“Un grande che ha saputo essere piccolo”, così don Juan Pablo Sclippa ha definito Papa Francesco durante la messa organizzata dal San Lorenzo de Almagro, la squadra di cui Jorge Mario Bergoglio è stato tifoso per tutta la vita. Una celebrazione intima, carica di affetto, che si è tenuta nell’oratorio di San Antonio a Buenos Aires, il cuore spirituale della squadra, lo stesso luogo dove oltre un secolo fa don Lorenzo Massa fondò il club.
L’oratorio, piccolo e semplice, si è riempito mercoledì sera di maglie rossoblù, bandiere e fotografie del Papa argentino. Tifosi di ogni età si sono stretti attorno alla memoria di “il nostro tifoso più celebre”, come lo chiamano qui con orgoglio e tenerezza. Fra le panche, visi segnati dalla commozione, mani che stringono sciarpe e immagini, voci spezzate dall’emozione che cercano di ricordare l’esempio di un uomo che, anche da Pontefice, non ha mai dimenticato la sua squadra né i valori popolari che l’hanno cresciuto.
Andrea, 50 anni, tifosa da sempre, trattiene a stento le lacrime: «Sono di questo quartiere, ho sempre tifato San Lorenzo come tutta la mia famiglia. La morte del Papa mi ha toccato profondamente. Salutarlo qui, nella chiesa della nostra squadra, era il modo più intimo per dirgli addio. Per me lui era un vero esempio di fede vissuta».
Accanto a lei, Celia, 77 anni, si fa portavoce di un sentimento diffuso: «Il Papa ci ha rappresentato, è stato un grande uomo. L’Argentina non ha saputo capirlo abbastanza». Per molti, infatti, pesa ancora la scelta di Bergoglio di non tornare mai più nel suo Paese dopo l’elezione a Roma. Una decisione che ha sollevato polemiche e teorie, ma che in tanti leggono come la volontà di non farsi strumentalizzare politicamente.
Durante l’omelia, don Juan Pablo ha chiesto ai presenti quale fosse l’insegnamento più forte lasciato da Papa Francesco. Le risposte sono arrivate sincere e spontanee: «Prendersi cura degli altri», «rispetto», «mettersi in azione». Un coro semplice e potente, proprio come l’eredità di Francesco.
Il sacerdote ha ricordato il Papa come un uomo che ha raggiunto la vetta senza mai dimenticare le radici, capace di vivere la grandezza con l’umiltà dei piccoli. E ha citato una delle frasi che più raccontano Bergoglio: «Nessuna partita si vince da soli, e così anche nella vita: nessuno si salva da solo». A queste parole, l’oratorio si è sciolto in un lunghissimo applauso.
Oscar, 62 anni, storico “hincha” del San Lorenzo, sintetizza il sentimento della serata: «Era necessario omaggiare il nostro Bergoglio. Già da sacerdote si preoccupava per gli umili, per i deboli. Noi tifosi lo abbiamo sempre amato».
E Florencia, 33 anni, socia del club, conclude con un sorriso tra le lacrime: «Il Papa era tifoso come me, come la mia famiglia. Per noi ha significato tanto. E volevo salutarlo in un posto che ci unisce. Perché in fondo, anche nei sogni, si resta sempre parte della stessa squadra».
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