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Calcio

Inzaghi, la testa era già in Arabia: l’Al-Hilal lo smaschera dopo la debacle di Monaco

Esteve Calzada, amministratore delegato dell’Al-Hilal, racconta alla BBC che l’arrivo di Simone Inzaghi era già deciso prima della finale di Champions. Il tecnico avrebbe chiesto di rimandare l’annuncio per non destabilizzare la squadra. Intanto l’Inter incassava cinque gol dal Paris Saint-Germain. E ora i tifosi si sentono traditi

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    Altro che scelta maturata dopo la sconfitta. Simone Inzaghi era già dell’Al-Hilal prima ancora di scendere in campo a Monaco. E mentre i tifosi dell’Inter cercavano consolazione dopo il pesantissimo 5-1 inflitto dal Paris Saint-Germain in finale di Champions League, dalla BBC arriva la conferma che brucia: il tecnico piacentino aveva la testa già tra i petrodollari.

    A far esplodere la notizia è Esteve Calzada, amministratore delegato del club saudita, che con dichiarazioni tutt’altro che ambigue mette fine a ogni alibi: «Era già tutto deciso. Simone ci ha solo chiesto di aspettare a firmare, per rispetto della partita e della squadra. Non voleva influenzare l’ambiente prima della finale».

    Una richiesta di stile? Forse. Un’ammissione di colpa? Sicuramente. Perché quella frase – “era già tutto deciso” – vale più di mille comunicati stampa. E smentisce apertamente la versione fornita dallo stesso Inzaghi, che solo pochi giorni fa aveva sostenuto di aver accettato l’offerta saudita “dopo la finale”, quando il suo ciclo con l’Inter poteva dirsi concluso.

    I dubbi, in realtà, c’erano da settimane. L’insistenza con cui il suo entourage glissava sulle voci dall’Arabia, la lentezza sospetta nel definire il suo futuro con i nerazzurri, e poi quel silenzio post-finale. La sconfitta bruciante contro Mbappé e compagni sembrava aver segnato la fine di un percorso, non solo sportivo ma anche emotivo. Ora, però, i conti non tornano. Perché se il tecnico aveva già deciso di voltare pagina, quanto ha influito questa scelta sull’umore, la tensione e la prestazione della squadra a Monaco?

    I tifosi se lo chiedono, e le risposte – amarissime – iniziano ad arrivare. In campo, l’Inter è apparsa stanca, disunita, spenta in modo inspiegabile per una finale di Champions. Una squadra smarrita, con la testa altrove. Ora si scopre che non era l’unica testa altrove: anche quella dell’allenatore era già proiettata a Riyad, verso un contratto plurimilionario, una nuova vita e, per qualcuno, un addio senza onore.

    «Potrebbe sembrare qualcosa di improvviso – ha detto ancora Calzada – ma è il frutto di un lungo lavoro». Parole che lasciano poco spazio all’interpretazione. Inzaghi era già stato scelto da settimane, probabilmente mentre l’Inter affrontava le semifinali con grinta e speranza. Eppure, per correttezza apparente, ha chiesto che tutto venisse messo in pausa. Non cancellato, solo messo in pausa.

    Ora il puzzle si compone. L’Al-Hilal cercava un profilo internazionale, un tecnico europeo con curriculum solido e temperamento pacato. Inzaghi, da finalista di Champions e vincitore di Supercoppe e Coppa Italia, rappresentava il nome perfetto. Meno ingombrante di un Mourinho, meno costoso di un Klopp, ma con sufficiente esperienza da gestire uno spogliatoio di stelle, da Neymar a Koulibaly.

    Il futuro del tecnico, intanto, è già scritto. Un triennale sontuoso e la promessa di un ruolo centrale nella crescita del calcio saudita. Ma il suo passato, quello interista, ora si scolora sotto una luce meno romantica. Le lacrime a fine gara, le mani giunte verso la curva, la panchina vuota e il saluto accennato: tutto rischia di sembrare una messinscena. Anche se fosse stato solo un tentativo di tenere tutto insieme fino all’ultimo.

    Nel frattempo, i tifosi dell’Inter si interrogano. Sapevano che Inzaghi se ne sarebbe andato, ma speravano almeno che fosse fino in fondo “uno di loro”. Invece no. Era già altrove. E a Monaco, forse, si è giocato qualcosa di più di una semplice finale persa. Si è perso un legame. Si è spezzata un’illusione.

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      Calcio

      Francesco Totti celebra tre anni con Noemi Bocchi tra lusso sfrenato e regali da capogiro e una Birkin Hermès da collezione

      Totti e Noemi Bocchi hanno festeggiato il loro terzo anniversario tra sfarzo e romanticismo. Intanto, mentre il divorzio con Ilary Blasi è alle battute finali, la coppia mostra sui social tutta la propria complicità.

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        Tre anni d’amore e una festa che sembra uscita da un film. Francesco Totti e Noemi Bocchi hanno celebrato il loro terzo anniversario di coppia con una sorpresa che ha lasciato senza fiato la stessa Noemi, che non ha resistito alla tentazione di condividere il momento con i suoi follower. L’ex capitano della Roma, oggi lontano dai riflettori del campo ma sempre al centro del gossip, ha organizzato per la compagna una ricorrenza da mille e una notte.

        Per l’occasione Totti ha scelto un hotel esclusivo, affittando una suite di lusso trasformata in un piccolo paradiso privato. Rose, palloncini e dettagli romantici hanno fatto da cornice a una serata che ha suggellato un amore solido, nato tra mille chiacchiere e che resiste nonostante i riflettori e le polemiche. Ma il vero colpo di scena è arrivato con il regalo: una Birkin di Hermès, la borsa più ambita dalle fashion addicted e tra le più costose al mondo.

        Il prezzo? Da capogiro. A seconda del modello, una Birkin può valere dai 30 ai 200mila euro. Un dono che non solo dimostra l’affetto di Totti per Noemi, ma anche la volontà di celebrare un legame importante senza badare a cifre o critiche. Nelle sue Stories Instagram, Noemi ha mostrato il regalo con un sorriso eloquente, lasciando intendere che la sorpresa è stata più che gradita.

        Il gesto arriva mentre le cronache continuano a seguire il divorzio di Totti da Ilary Blasi. La separazione, ufficializzata tre anni fa con un comunicato che scosse l’Italia intera, non è ancora completamente archiviata. Le battaglie in tribunale proseguono, ma le vite dei due ex sembrano ormai ben definite. Se Totti si gode la sua nuova storia con Noemi, Ilary ha trovato accanto a sé l’imprenditore tedesco Bastian Muller, conosciuto per caso in aeroporto e oggi presenza fissa al suo fianco.

        Insomma, quella che un tempo era la coppia d’oro del calcio e dello spettacolo italiano si è divisa senza possibilità di ritorno. E mentre Ilary racconta nel suo documentario su Netflix le ferite della fine del matrimonio, Francesco sceglie il lusso e il romanticismo per raccontare la sua nuova vita accanto a Noemi Bocchi.

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          Calcio

          La Triestina rinasce grazie a Dogecoin: la memecoin nata per scherzo diventa azionista di maggioranza e salva il club

          Dopo la fuga del fondo LBK Capital e i 25 milioni bruciati, la squadra di Serie C trova nuova linfa in un’operazione senza precedenti: «Oltre il calcio, vogliamo generare cultura e passione».

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            Un club storico italiano, la Triestina, si affida a una moneta virtuale nata per scherzo. Da oggi il nuovo azionista di maggioranza della società che milita in Serie C è infatti House of Doge, il braccio operativo della Doge Foundation. Un’operazione che, come sottolineato nella nota ufficiale della Us Triestina Calcio 1918, rappresenta «la prima integrazione diretta nella struttura di un club europeo di un veicolo di commercializzazione legato alle criptovalute».

            La mossa arriva dopo mesi di difficoltà. L’uscita di scena del gruppo americano LBK Capital LLC, guidato da Ben Rosenzweig, ha lasciato il club sull’orlo del baratro. In un anno e mezzo gli investitori statunitensi hanno “bruciato” 25 milioni di euro, tra stipendi non pagati, penalizzazioni e rischi di prefallimento. Ora la speranza è affidata a un’entità nata nell’universo digitale ma con ambizioni concrete: «Il nostro investimento nella Triestina va ben oltre il calcio – ha spiegato Marco Margiotta, Ceo di House of Doge –. Si tratta di connettere la comunità globale di Dogecoin con uno dei club più storici d’Europa e dimostrare che gli asset digitali possono generare valore, cultura e passione nel mondo reale».

            Dogecoin, lanciata nel 2013 dagli ingegneri Billy Markus e Jackson Palmer, è una valuta open-source e decentralizzata. Nata come una memecoin, senza reali fondamenta tecnologiche, deve gran parte della sua popolarità a Elon Musk. Il patron di Tesla e SpaceX, dal 2020 in poi, ha spesso twittato a favore della moneta, spingendone in alto il valore ma mostrando al tempo stesso la sua estrema volatilità. Nel 2021, dopo averla definita una truffa, bastò un suo commento per farla precipitare del 30% in poche ore.

            Nonostante le oscillazioni, Dogecoin continua ad avere una comunità globale numerosa e molto attiva. Ora la scommessa è portarla dentro un club calcistico di lunga tradizione come la Triestina, fondata nel 1918 e con un passato importante in Serie A. Un progetto che, almeno sulla carta, vuole unire tecnologia, finanza e sport.

            Non mancano i precedenti nel mondo del calcio, ma spesso con esiti controversi. Basti ricordare la quota del 10,1% della Juventus in mano a Tether, la principale stablecoin, o il flop di DigitalBits, che non ha mai onorato i 85 milioni promessi a Roma e Inter per la sponsorizzazione. In questo scenario, l’operazione Dogecoin-Triestina resta un unicum che incuriosisce osservatori e tifosi.

            Intanto, in attesa del nuovo consiglio di amministrazione e della nomina del presidente, incombono le scadenze fiscali: martedì dovranno essere versati Inps e Irpef per circa 1,5 milioni di euro. La partita, insomma, non è solo in campo ma anche nei conti, e sarà il tempo a dire se la moneta del cane giapponese diventerà davvero la chiave della rinascita alabardata.

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              Calcio

              “Fui indagato ingiustamente, quell’episodio mi ha segnato”: Ciccio Cozza tra la Reggina, le ombre del passato e il futuro da allenatore

              Dalle pagine di sport a quelle di cronaca, fino alla fine del matrimonio con Manila Nazzaro: Cozza oggi guarda avanti, accanto alla nuova compagna e al figlio, senza rinnegare nulla ma con la ferita di quelle vicende.

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                Francesco “Ciccio” Cozza, 51 anni, a Reggio Calabria resta una leggenda. Durante l’evento “Operazione Nostalgia”, al Granillo, è stato accolto come un figlio tornato a casa. “Il Ciccio bambino sognava di giocare in Serie A e di diventare capitano della Reggina. Ho avuto la fortuna di realizzare entrambi i desideri. Mi sono divertito, quei sogni che avevo li ho realizzati”, racconta.

                Ma se il campo gli ha regalato la gloria, la vita extra sportiva gli ha imposto prove dure. In un’intervista alla Gazzetta dello Sport, Cozza ha parlato a cuore aperto dell’inchiesta giudiziaria che anni fa lo vide indagato per associazione a delinquere aggravata dal favoreggiamento alla ’ndrangheta. Un’accusa pesante, che lo segnò profondamente.

                “Quell’episodio mi ha fatto male – spiega – perché chi non ti conosce ti inquadra subito in una certa maniera. Purtroppo è stata una vicenda che mi ha segnato nel mondo dello sport: essere indagato, nonostante nelle carte non ci fosse mai nulla su di me, ti lascia un marchio. E non solo su di me, ma anche sulla mia famiglia. Sono esperienze che fanno soffrire”.

                Una ferita che, a distanza di anni, resta. Ma Cozza preferisce considerarla un capitolo chiuso. “Fa parte del passato – dice – e mi auguro che non succeda mai più nulla di simile. Perché sono cose che ti tolgono il sonno, che ti fanno male dentro e intorno. Però vado avanti, oggi sono felice e sereno”.

                La cronaca lo ha travolto anche sul fronte privato. La fine del matrimonio con Manila Nazzaro fece molto rumore, tra accuse reciproche e dichiarazioni avvelenate. “Con la mia ex moglie non ho più un rapporto – chiarisce – anche perché in passato ha detto cose assurde. Erano cose fuori luogo. C’erano tante bugie in quei racconti, ma ora è tutto chiuso. Lei si è fatta la sua vita e io la mia. L’importante era far crescere bene e tutelare i figli”.

                Una chiusura netta, anche se non priva di amarezze. “Ci siamo chiariti tramite gli avvocati – prosegue Cozza –. Non è stato semplice, ma adesso non se ne parla più. Io oggi sono un uomo felicissimo: ho una compagna, Celestina, che amo, e abbiamo un figlio insieme. Siamo innamorati e la mia vita è piena”.

                Alla Gazzetta Cozza ha voluto anche ribadire il legame con la città che lo ha consacrato: “Reggio per me è tutto. Lo spiego in due parole: Cozza è la Reggina e la Reggina è Cozza. Sono arrivato a dodici anni, poi il Milan mi prese a quindici, ma il cuore è rimasto sempre qui”.

                Sul futuro non ha dubbi: vuole allenare, magari lontano dall’Italia. “Vorrei trovare una squadra all’estero – spiega –. Per conoscere altri campionati, altre realtà. Il calcio italiano mi ha dato tanto e io ho dato tanto. Però da anni mi sembra che tutto si sia un po’ fermato: è più difficile scoprire talenti e portarli a grandi livelli. Lo abbiamo visto anche con le difficoltà della Nazionale. Ora confidiamo in Gattuso”.

                Intanto, l’ex regista amaranto si dedica alla crescita dei giovani. “Il mio obiettivo è divertirmi e far divertire i ragazzi che alleno. Il calcio è stato la mia vita e ora voglio restituire qualcosa. Non rinnego nulla di ciò che ho vissuto, nemmeno i momenti più duri. Ma oggi voglio guardare avanti”.

                Un passato da idolo, un presente segnato da resilienza e voglia di riscatto, un futuro che parla ancora di calcio. Cozza non smette di crederci: “Sono un uomo che ha sofferto, ma che non ha mai smesso di lottare”.

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