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Sport

Salvatore Bagni: dal trionfo con il Napoli alla tragedia del figlio, dalla bara rubata al legame indissolubile con Maradona…

Bagni è un uomo che ha vissuto la gloria calcistica, ma ha anche affrontato il dolore più profondo.

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    Salvatore Bagni, 68 anni, oggi gira il mondo alla ricerca di nuovi talenti del calcio, ma la sua vita è stata segnata non solo dai successi sportivi, ma anche da vicende personali strazianti e incredibili. Ex centrocampista di Napoli, Inter e della Nazionale italiana, Bagni ha conquistato uno scudetto storico con il Napoli e stretto un’amicizia indimenticabile con Diego Armando Maradona. Tuttavia, dietro i riflettori del calcio, si nasconde una storia fatta di lutti, drammi e atti di straordinario coraggio.

    La tragedia del figlio Raffaele: una ferita mai guarita

    Nel 1992, la vita di Bagni fu sconvolta dalla perdita del figlio Raffaele, morto a soli 3 anni in un incidente d’auto. «Eravamo tutti in macchina, guidava mia moglie. Stavamo andando pianissimo, a 38 km/h, quando un’auto non rispettò lo stop. L’airbag si aprì e fu fatale. In quel momento avevo mio figlio in braccio, non era seduto dietro perché era stato appena allattato e temevamo che potesse vomitare», racconta con dolore. Ma il dramma non finì lì.

    La bara del piccolo fu trafugata da alcuni criminali che chiesero un riscatto di 300 milioni di lire. Bagni affrontò in prima persona i sequestratori, rispondendo alle loro telefonate nel tentativo di aiutare i ROS a intercettarli. «Mi accordai con loro per un incontro a Predappio, portai con me una valigetta di soldi falsi e indossai un giubbotto antiproiettile. Ma nessuno si presentò. Quel giorno c’era una nebbia fittissima, forse avevano capito che non ero solo o non mi videro». Nonostante gli sforzi, la bara del figlio non fu mai ritrovata. Dopo quella tragedia, Bagni decise di non avere più figli: «Non esiste la copia di un figlio. Ne avevo già avuti tre, avevo la mia famiglia. Decisi di farmi sterilizzare».

    La madre, lo tsunami e un destino beffardo

    Anche la morte della madre, avvenuta il 16 dicembre 2004, segnò profondamente Bagni. «Io e mia moglie avevamo prenotato un viaggio in Sri Lanka, ma decidemmo di ritardare e optammo per le Maldive. Dieci giorni dopo, uno dei più devastanti tsunami della storia colpì il Paese, uccidendo oltre 200mila persone». Alle Maldive, lo tsunami colpì con meno violenza, ma Bagni ricorda quei momenti drammatici: «Eravamo in spiaggia, non nei bungalow. Ricordo l’enorme massa d’acqua e un rumore che non si può dimenticare. Mia figlia era paralizzata dalla paura, la presi in braccio e la legai a un albero per salvarla».

    Il legame unico con Diego Armando Maradona

    Fra i ricordi più luminosi della vita di Salvatore Bagni c’è l’amicizia profonda con Diego Armando Maradona, nata a Napoli nel 1984. «Arrivammo insieme, alloggiavamo nello stesso hotel. Io ero con mia moglie, lui con 10 o 15 persone. Eravamo agli opposti: a me non piaceva uscire la sera, ma tra noi la stima fu immediata. Lo trattavo da Diego, non da Maradona, e questo lo apprezzava. Se avevo qualcosa da dirgli, glielo dicevo». La loro amicizia non si limitava al campo di gioco: «Abbiamo passato nottate intere a discutere di cose che gli stavano a cuore. Era un uomo pieno di problemi, ma anche di un’umanità straordinaria».

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      Calcio

      Francesco Totti rivela il retroscena del pugno a Colonnese: «Mi disse che Cristian non era mio figlio»

      Durante una chiacchierata con Luca Toni su Prime Video, Totti ripercorre gli episodi più controversi della sua carriera e svela per la prima volta la provocazione che nel 2005 lo spinse a colpire Ciccio Colonnese: «Mi ha detto una cosa che non dimenticherò mai».

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        Francesco Totti ha deciso di raccontare tutto. In un dialogo a cuore aperto con Luca Toni, suo compagno di squadra ai tempi del Mondiale vinto nel 2006, l’ex capitano della Roma ha ricordato alcuni momenti difficili della sua carriera, tra cui lo sputo a Poulsen, il calcione a Balotelli e, soprattutto, il pugno rifilato a Ciccio Colonnese durante un Roma-Siena del 2005.

        «È la prima volta che ho dato un cazzotto in faccia a qualcuno», confessa Totti. «Con Colonnese avevo un buon rapporto, avevamo giocato insieme da ragazzi. Ma quella volta mi ha detto una cosa che non si dice». L’ex numero 10 ricorda tutto nei minimi dettagli: «Mi ha gonfiato di botte e poi mi fa: “Tanto Cristian non è tuo figlio”. E lì mi è partita la testa».

        Era il 17 aprile 2005, pochi mesi prima della nascita di Cristian, il primogenito avuto da Ilary Blasi. In quel periodo la gravidanza non era ancora pubblica, ma nell’ambiente calcistico le voci correvano. La frase, sussurrata in campo, colpì Totti nel punto più sensibile. «Non ci ho visto più», spiega oggi. «Mi sono girato e gli ho tirato un pugno. Non pensavo di prenderlo così bene, invece… cinque giornate di squalifica, e me la sono meritata».

        Quella reazione gli costò cara: squalifica pesante e un duro richiamo dal club, che lo costrinse a scusarsi pubblicamente. Ma la ferita, quella personale, restò. Già allora Totti aveva accennato a un’offesa «vergognosa e irripetibile» ricevuta durante la partita, senza però rivelarne il contenuto. Ora, a distanza di vent’anni, svela il peso di quelle parole.

        «È stato come ricevere una pugnalata», aveva detto all’epoca. «Ho reagito male, ma sono stato colpito come uomo, come padre, come marito».

        Oggi, con il tono pacato di chi ha fatto pace col passato, Totti riconosce l’errore ma non rinnega la reazione umana: «Quando toccano la tua famiglia, perdi la testa. Colonnese lo sa bene, e anche lui poi ha capito di aver esagerato».

        Un episodio che, ancora oggi, racconta non solo la fragilità dell’uomo dietro al campione, ma anche il lato più vero e istintivo di Francesco Totti, simbolo eterno della Roma e di un calcio che sapeva ancora essere profondamente umano.

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          Calcio

          Francesco Totti riscrive la storia del “Sei unica”: “Era per la curva della Roma, non per Ilary”

          Un tempo, Totti raccontava che quella dedica fosse per Ilary Blasi, quando la showgirl era appena entrata nella sua vita. Oggi la verità cambia: il simbolo di uno degli amori più celebri del calcio italiano torna ad appartenere solo alla Roma.

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            Il tempo cambia tutto, anche il significato di una maglietta. Francesco Totti, ospite di Luca Toni in un’intervista per Prime Video Sport, ha riscritto una delle pagine più romantiche — e più ricordate — della sua carriera: quella della celebre maglia con la scritta “Sei unica”, mostrata dopo un gol all’Olimpico nel 2002.

            Quando Toni gli mostra l’immagine, Totti sorride ma poi spiazza tutti: «Pensavo a come potermi esprimere dopo un gol. A chi era riferito quel “sei unica”? Alla curva, ai tifosi della Roma, ma la curva in particolare». Una frase che suona come una dichiarazione d’amore alla sua città e al suo popolo, ma che ribalta anni di versioni precedenti.

            Già, perché ai tempi Totti aveva raccontato un’altra verità. In un’intervista del 2003, l’ex capitano aveva svelato che quella dedica era nata per Ilary Blasi, allora giovanissima conduttrice delle “Letterine” di Passaparola, che per la prima volta era andata a vederlo giocare allo stadio. «Con i miei amici decisi di scrivere la frase “Sei unica” — aveva detto — anche se non eravamo mai usciti insieme e non c’era ancora stato un bacio».

            Quell’episodio era diventato l’emblema del loro amore, la scena d’apertura di una storia durata vent’anni e finita nel 2022 tra silenzi, accuse e ferite mediatiche. Ora, invece, Totti sposta il baricentro del ricordo, riportandolo su un terreno più neutro, più calcistico.

            «Era un pensiero per chi mi ha sempre sostenuto — ha aggiunto il numero 10 — la curva è stata la mia seconda famiglia». Parole che i tifosi romanisti hanno accolto con affetto, interpretandole come un ritorno alle origini, al legame viscerale tra Totti e la sua Roma.

            Ilary, intanto, non ha commentato. Ma in molti hanno letto nelle parole di Totti una presa di distanza definitiva dal passato sentimentale e un nuovo messaggio, stavolta senza sottotitoli: il vero amore del Capitano è sempre stato giallorosso.

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              Tennis

              Sinner re dei re: batte ancora Alcaraz e conquista il Six Kings Slam di Riad, secondo trionfo consecutivo e assegno da 6 milioni di dollari

              Un’altra lezione di tennis firmata Jannik Sinner. Nella finale del Six Kings Slam a Riad, l’azzurro travolge Carlos Alcaraz con un gioco perfetto e un servizio devastante. Sorrisi, abbracci e un premio da 6 milioni: il re dell’indoor non abdica.

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                Non sarà un torneo ufficiale, ma battere Carlos Alcaraz resta sempre una piccola goduria. Jannik Sinner si conferma il re del Six Kings Slam di Riad per il secondo anno consecutivo, replicando il successo del 2024 e dominando ancora una volta il numero uno del mondo. Il punteggio, 6-2 6-4, racconta di una finale a senso unico, giocata con la consueta freddezza e con la potenza controllata che ormai è il marchio di fabbrica del campione altoatesino.

                In appena due ore e quattordici minuti complessivi di gioco – tanto sono durate le due partite disputate in Arabia Saudita – Sinner si è messo in tasca un assegno da sei milioni di dollari, ma soprattutto la certezza di essere il più forte di tutti quando la superficie è indoor. Da quella finale persa alle Finals 2023 contro Novak Djokovic, nessuno è più riuscito a batterlo al chiuso.

                Il match è stato un assolo fin dal primo set, chiuso 6-2 in ventisette minuti di dominio assoluto. Sinner ha servito come un metronomo, concedendo appena le briciole, mentre Alcaraz, apparso contratto e leggermente condizionato da un fastidio alla caviglia, non è mai riuscito a imporre il suo ritmo. Break immediato, poi un doppio vantaggio costruito con risposte fulminee e un dritto che pare telecomandato: per lo spagnolo non c’è stata partita.

                Nel secondo parziale Alcaraz ha provato a reagire, allungando gli scambi e annullando cinque palle break in un game infinito sul 2-2. Ma la differenza, sotto la cupola della Kingdom Arena, resta abissale: Sinner anticipa tutto, gioca colpo su colpo come fosse un videogame e, sul 3-3, piazza il break decisivo. Da lì in poi è pura accademia, chiusa con un rovescio lungolinea da manuale.

                A fine match, i due si abbracciano sorridendo, tra rispetto e ironia, consapevoli che la rivalità tra loro è ormai la più bella del tennis moderno. Sinner, però, continua a guardare tutti dall’alto, re dei re anche senza corona ufficiale. E con sei milioni di motivi per sorridere, può permettersi di farlo davvero.

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