Benessere
I funghi Shitake, un superfood dall’oriente che è un elisir di lunga vita
Esplora i benefici nascosti dei funghi shitake, semi di canapa e clorofilla, e scopri come integrarli nella tua dieta per una salute ottimale. Attenzione però ai rischi nascosti nei germogli
Il mondo dei superfood è in costante evoluzione e tra le novità più interessanti spiccano i funghi shitake. Originari dell’Asia, questi funghi sono conosciuti da secoli per le loro proprietà benefiche e sono considerati un vero e proprio “elisir di lunga vita”.
Benefici dei funghi Shitake
I funghi shitake sono apprezzati per le loro straordinarie proprietà anti-infiammatorie, anti-tumorali e anti-batteriche. Ecco alcuni dei principali benefici:
- Colesterolo: aiutano a mantenere livelli sani di colesterolo nel sangue.
- Disintossicazione del fegato: supportano la funzione epatica.
- Prevenzione dei tumori: studi suggeriscono che possono ridurre il rischio di alcuni tipi di tumori.
- Arteriosclerosi: contribuiscono alla prevenzione di questa patologia.
- Alzheimer: possono essere benefici per chi soffre di Alzheimer.
Come Includerli nella dieta
I funghi shitake possono essere un’aggiunta deliziosa e salutare alla tua dieta. Ecco alcuni modi per gustarli:
- Saltati in padella: una cottura veloce per esaltare il loro sapore.
- Arrostiti: perfetti come contorno croccante.
- In zuppa: aggiungono un tocco di umami.
- Abbinati al riso: un classico della cucina asiatica.
Chi dovrebbe evitarli?
Nonostante i numerosi benefici, i funghi shitake non sono adatti a tutti. Il loro consumo è sconsigliato per:
- Persone con patologie autoimmuni: possono interferire con il sistema immunitario.
- Chi ha subìto trapianti d’organo: potrebbero influenzare l’efficacia dei farmaci immunosoppressori.
Altri superfood: semi di canapa e clorofilla
Semi di Canapa
I semi di canapa sono un altro superfood degno di nota. Ecco perché dovresti considerarli:
- Alto contenuto di nutrienti: ricchi di proteine, fibre e grassi insaturi.
- Omega-3 e Omega-6: benefici per il cuore e la salute generale.
- Minerali essenziali: includono magnesio, potassio, fosforo, ferro, zinco e calcio.
Clorofilla
La clorofilla, il pigmento verde presente in tutti i vegetali, offre numerosi benefici:
- Proprietà antinfiammatorie: combatte le infiammazioni.
- Antiossidanti: protegge le cellule dai danni ossidativi.
- Sindrome metabolica: può aiutare a ridurre l’accumulo di peso e migliorare i sintomi.
Attenzione ai germogli: benefici e rischi
I germogli sono tra i cibi più in voga nel 2023, grazie alla crescente attenzione verso un’alimentazione sana e a base vegetale. Sono ricchi di nutrienti benefici e facili da assimilare. Tuttavia, possono comportare rischi per la salute:
- Contaminazione da microrganismi: possono essere un terreno fertile per batteri patogeni.
- Epidemie passate: diverse epidemie sono state causate dal consumo di germogli contaminati.
Prevenzione e controllo
L’OMS e la FAO sottolineano l’importanza di adottare misure preventive e di controllo lungo tutte le fasi della produzione e commercializzazione dei germogli. Un controllo igienico adeguato è essenziale per garantire la sicurezza alimentare.
Includere superfood come i funghi shitake, i semi di canapa e la clorofilla nella tua dieta può offrire numerosi benefici per la salute, ma è fondamentale essere consapevoli dei potenziali rischi e seguire pratiche di consumo sicure
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Benessere
Formaggi e intolleranza al lattosio: cosa si può davvero mangiare
La stagionatura riduce naturalmente il lattosio, rendendo molti formaggi adatti a chi ha difficoltà a digerirlo. Ecco quali scegliere, cosa evitare e perché.
Per molte persone scoprire di essere intolleranti al lattosio significa eliminare latte e derivati in blocco. Ma non sempre è necessario. L’intolleranza, dovuta a una ridotta produzione dell’enzima lattasi, provoca disturbi gastrointestinali solo quando la quantità di lattosio supera la soglia tollerata dal singolo individuo. E la buona notizia è che alcuni formaggi, grazie ai processi di produzione e stagionatura, contengono quantità molto basse di zucchero del latte, spesso inferiori allo 0,1%.
Perché alcuni formaggi sono naturalmente “lactose free”
Durante la trasformazione del latte in formaggio, i batteri lattici presenti negli starter consumano il lattosio come fonte di energia, trasformandolo in acido lattico. Più lunga è la stagionatura, più completo è questo processo. È per questo che i formaggi a pasta dura e molto stagionati sono generalmente sicuri per la maggior parte degli intolleranti.
Non si tratta di prodotti artificialmente modificati: è il metabolismo naturale dei microrganismi a far scomparire quasi del tutto il lattosio.
I formaggi che si possono mangiare senza problemi
Gli enti di ricerca alimentare e le associazioni internazionali dedicate alle intolleranze concordano: molti formaggi stagionati contengono tracce trascurabili di lattosio. Tra i più indicati:
- Parmigiano Reggiano: dopo 12 mesi di stagionatura il lattosio è assente; i consorzi garantiscono ufficialmente che il prodotto è naturalmente privo di lattosio già dal nono mese.
- Grana Padano: anche qui il lattosio viene completamente metabolizzato dai batteri durante la maturazione; il formaggio stagionato oltre 12 mesi è considerato sicuro.
- Pecorino stagionato: le versioni oltre i 6-8 mesi hanno contenuti di lattosio praticamente nulli.
- Gorgonzola piccante e altri erborinati maturi: la lunga fermentazione riduce drasticamente il lattosio.
- Provolone stagionato: più è vecchio, meno lattosio contiene.
- Emmental, Gruyère, Comté: tutti caratterizzati da lunghi tempi di stagionatura.
- Cheddar stagionato: nelle versioni mature il lattosio è molto basso.
Tutti questi formaggi sono normalmente tollerati dalla maggior parte dei soggetti intolleranti, poiché il contenuto di lattosio è inferiore allo 0,1%—quantità che rientra nella soglia “lactose free” riconosciuta a livello europeo.
E quelli da evitare?
I formaggi freschi o a breve stagionatura mantengono una quota più elevata di lattosio. Tra quelli più problematici:
- Mozzarella (soprattutto vaccina): contiene lattosio residuo, anche se in quantità moderate.
- Ricotta: non è un formaggio in senso stretto ma un latticino ottenuto dal siero, più ricco di lattosio.
- Mascarpone: molto ricco di lattosio.
- Fiocchi di latte e formaggi spalmabili: crema di formaggi freschi dove il lattosio è presente in quantità rilevanti.
- Stracchino, crescenza, robiola fresca: la stagionatura brevissima non permette ai batteri di consumare il lattosio.
Per chi è molto sensibile, esistono comunque versioni delattosate di quasi tutti i prodotti, ottenute tramite aggiunta di lattasi o processi enzimatici specifici.
Il consiglio degli esperti: ascoltare la propria soglia
L’intolleranza al lattosio non è uguale per tutti. Alcune persone digeriscono bene piccole quantità, altre devono evitarlo quasi del tutto. Le linee guida dei nutrizionisti suggeriscono di:
- introdurre i formaggi stagionati gradualmente;
- osservare la risposta del proprio organismo;
- preferire piccole porzioni distribuite nella giornata;
- evitare di consumare più prodotti freschi nello stesso pasto.
Un’alimentazione più varia, senza rinunce
Sapere che molti formaggi sono naturalmente privi di lattosio significa poter tornare a gustarli senza timori. La soluzione sta nell’informarsi, leggere le etichette e conoscere le differenze tra un prodotto fresco e uno stagionato.
Per chi convive con l’intolleranza, è una libertà in più a tavola: un modo per non rinunciare al gusto, rispettando allo stesso tempo il proprio benessere.
Benessere
Insonnia, l’alleato silenzioso: mindfulness e meditazione per addormentarsi meglio
Gli studi mostrano che la meditazione riduce stress, ansia e iperattività mentale, tra le principali cause dei disturbi del sonno. Ecco come applicarla a casa con esercizi semplici e sicuri.
Difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni, pensieri che corrono come un treno in piena notte: l’insonnia è un problema in aumento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi un terzo degli adulti sperimenta disturbi del sonno significativi almeno una volta nella vita. In Italia, le stime parlano di uno su cinque con insonnia cronica o ricorrente. A risentirne non è solo l’energia al mattino: dormire poco indebolisce memoria, umore, capacità di concentrazione e persino il sistema immunitario.
Non sorprende, quindi, che si cerchino soluzioni non farmacologiche, soprattutto quando lo stress è il motore principale del problema. Tra queste, la mindfulness — una forma di meditazione basata sulla consapevolezza del momento presente — sta dimostrando efficacia clinica crescente. Studi pubblicati su riviste come JAMA Internal Medicine e Sleep hanno rilevato che programmi di Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) migliorano la qualità del sonno in persone con insonnia lieve o moderata, riducendo i sintomi dell’ansia e diminuendo la latenza dell’addormentamento.
Perché funziona
Il meccanismo è semplice nella teoria, meno nella pratica: la mindfulness smonta l’iperattivazione mentale, la stessa che porta a girarsi nel letto per ore.
Quando si medita, il sistema nervoso riduce l’attività della risposta “lotta o fuggi” e aumenta quella del sistema parasimpatico, collegato al rilassamento. Si abbassano i livelli di cortisolo e rallenta il flusso dei pensieri intrusivi, quelli che iniziano con “domani devo…”.
Non si tratta di “spegnere” il cervello, ma di spostare l’attenzione: dal rimuginio al respiro, dalle preoccupazioni alle sensazioni del corpo, dal futuro al presente.
Le tecniche da provare subito
Ecco alcuni esercizi semplici da fare a casa, senza attrezzature e senza competenze particolari:
1) Respirazione 4-4-6
Indicata per rallentare il battito e sciogliere la tensione.
- inspira dal naso per 4 secondi
- trattieni l’aria 4 secondi
- espira lentamente 6 secondi
Ripetere 4-6 volte.
2) Body scan
Distesi, occhi chiusi: si passa mentalmente una “torcia” su ogni parte del corpo, dai piedi alla testa.
Osserva tensioni e lascia andare senza giudizio.
Utile per spegnere la ruminazione mentale.
3) Mindfulness dei suoni
Attenzione ai rumori circostanti: respiro, silenzio, rumore lontano.
Accettarli invece di combatterli aiuta a ridurre la reattività allo stress.
4) Il pensiero-ancora
Quando arriva un pensiero molesto (“E se domani…?”), invece di inseguirlo:
- riconoscilo
- etichettalo: «Ecco un pensiero di preoccupazione»
- torna al respiro
È un metodo clinicamente validato per gestire l’ansia notturna.
Quando praticarla
La mindfulness non agisce come un interruttore immediato, ma come una palestra mentale: più si allena il cervello, più si abitua a rilassarsi. Bastano 10-15 minuti al giorno, meglio se la sera, in un rituale privo di schermi e luci forti.
Consigli pratici:
- Smartphone lontano dal letto
- Luci calde e ambiente fresco
- Niente notifiche o contenuti stimolanti prima di dormire
- Routine regolare: stesso orario per addormentarsi e svegliarsi
Una cura senza controindicazioni
Mentre i farmaci per dormire possono generare dipendenza o tolleranza, la mindfulness non ha effetti collaterali rilevanti ed è raccomandata da specialisti del sonno come supporto alle terapie tradizionali. In molti casi, può essere il primo passo prima di ricorrere a cure farmacologiche.
Quando il disturbo persiste per settimane, però, è importante chiedere aiuto a un medico o a uno specialista del sonno: insonnia, ansia e depressione sono strettamente correlate e non vanno sottovalutate.
Dormire bene è un’abitudine
Ascoltare il proprio corpo, imparare a fare spazio alla calma, riconoscere che spegnere il mondo esterno è possibile: sono piccoli gesti che, ripetuti ogni sera, trasformano il sonno da nemico a complice.
L’insonnia non è una colpa né una condanna.
È un segnale — e la consapevolezza può diventare la via per spegnerlo dolcemente.
Benessere
Craving, il desiderio che accende il cervello: capire e gestire la spinta alla dipendenza
Dalle sostanze ai comportamenti compulsivi, il craving è un bisogno improvviso e intenso che può riaccendere la dipendenza anche dopo anni di astinenza. Le neuroscienze spiegano perché nasce e come affrontarlo con strategie terapeutiche mirate.
Un impulso che parte dal cervello
In psicologia clinica, il termine craving indica un desiderio intenso, quasi irresistibile, di assumere una sostanza o di ripetere un comportamento che in passato ha generato piacere o sollievo. È un’esperienza comune nei disturbi da uso di sostanze — come alcol, nicotina, cocaina o oppiacei — ma anche nelle dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo, il cibo o l’uso compulsivo di internet.
A livello biologico, il craving è una risposta del cervello ai sistemi di ricompensa, governati da neurotrasmettitori come dopamina e serotonina. Queste sostanze chimiche regolano la motivazione, il piacere e la memoria emotiva: quando vengono alterate da un’esperienza di forte gratificazione, il cervello “impara” ad associare quella sensazione a un segnale di benessere immediato, creando una traccia difficile da cancellare.
Perché si manifesta anche dopo molto tempo
Uno degli aspetti più insidiosi del craving è la sua capacità di riemergere anche dopo anni di astinenza. Gli stimoli che lo innescano — un odore, una canzone, un luogo o un’emozione — riattivano la memoria della gratificazione passata. Gli esperti parlano di “memoria del piacere”, una sorta di scorciatoia che il cervello utilizza nei momenti di stress o vulnerabilità emotiva.
Secondo il National Institute on Drug Abuse (NIDA), questa riattivazione può avvenire per via di cambiamenti duraturi nei circuiti neuronali, in particolare nell’amigdala e nella corteccia prefrontale, aree coinvolte nel controllo delle emozioni e nelle decisioni razionali.
Il craving, dunque, non è un segno di debolezza o mancanza di volontà, ma una reazione fisiologica di adattamento. Comprenderlo in questa chiave è essenziale per ridurre il senso di colpa e favorire un approccio terapeutico più realistico e compassionevole.
Come si affronta: strategie e terapie
Gestire il craving richiede un lavoro su più livelli. Le tecniche cognitivo-comportamentali aiutano a riconoscere i pensieri automatici e a sostituirli con risposte più consapevoli. Il mindfulness training — ossia la consapevolezza del momento presente — si è dimostrato efficace nel ridurre l’intensità dell’impulso, così come l’esercizio fisico regolare, che stimola la produzione naturale di dopamina e endorfine.
Ma da solo, il controllo mentale non basta. Nelle fasi iniziali dell’astinenza, è fondamentale il supporto di professionisti e di una rete terapeutica integrata, che includa psicologi, psichiatri e gruppi di sostegno. Gli interventi farmacologici — come quelli che modulano i recettori dopaminergici o serotoninergici — possono ridurre l’urgenza del desiderio e migliorare l’aderenza ai percorsi di disintossicazione.
Dal controllo alla consapevolezza
Superare il craving non significa eliminarlo del tutto, ma imparare a riconoscerlo e gestirlo. Gli specialisti dell’Istituto Europeo delle Dipendenze (IEuD) sottolineano che monitorare gli episodi, annotare i fattori scatenanti e parlarne apertamente aiuta a “ridurre il potere” dell’impulso. Con il tempo, la persona costruisce una nuova relazione con sé stessa e con le proprie emozioni, trasformando il bisogno in conoscenza di sé.
La chiave, quindi, non è reprimere il desiderio, ma comprenderlo: solo così si può spezzare il legame tra impulso e azione. In questa prospettiva, la libertà non coincide con l’assenza di craving, ma con la capacità di scegliere consapevolmente come rispondere a esso.
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