Lifestyle
I sandali da uomo per ogni occasione
E possibile trovare il sandalo perfetto per ogni occasione, che sia una giornata in spiaggia o una serata in città. Scegliete il modello che più si adatta al vostro stile e alle vostre esigenze, per affrontare l’estate con comfort e stile.

Sdoganati da alcuni decenni sono finiti i tempi in cui parlare di sandali faceva subito venire in mente il piede di un turista un po’ sciatto e trasandato. Che sia al mare, al lago o in città, che sia sera o giorno, i sandali da uomo sono ormai tra le calzature estive più quotate. Piacciono sempre di più anche alle passerelle, con modelli visti nelle collezioni di diversi marchi di lusso e non solo. Loro Piana, Bottega Veneta, Hermès e Fendi. Con le temperature che continuano a superare i 30°C, il sandalo è diventato una scelta di sopravvivenza oltre che di stile.
Ma come nasce il sandalo
I sandali hanno una lunga storia, risalente all’Antico Egitto, dove erano simbolo di ricchezza. Nel Medioevo, erano la calzatura dei poveri, spesso indossati da frati e sacerdoti. Oggi, i sandali da uomo sono tornati a essere una scelta popolare, più curati e stilisticamente vari rispetto alle ciabatte e alle infradito più comodi per la spiaggia. Alcuni modelli storici, come i ‘francescani’ e i ‘gladiatore’, continuano a essere riconosciuti e apprezzati.
Gli Arizona da uomo
Se c’è un modello che si è imposto su tutti gli altri e non da oggi, è l’Arizona di Birkenstock. Questo sandalo versatile è il più venduto su Amazon, adattandosi a qualsiasi stile: camicia, t-shirt, canotta, pantaloni corti o lunghi. Con una soletta in sughero, è pensato per mantenere il piede stabile. Unico accorgimento cercare di evitare l’acqua, pulendolo solo con una spugna o un panno umido.

Sandali Milano con cinturino regolabile
Il modello Milano dell’azienda tedesca, con cinturino posteriore regolabile, chiusura con fibbia e soletta sagomata in sughero, è un’altra scelta popolare. Anche questo modello va pulito con un panno umido.

Sabot Boston al posto del tradizionale
Tra i modelli dell’azienda di Neustadt, il Boston, è uno dei più controversi. Perché non è un sandalo ma un sabot, disponibile in pelle, scamosciato o in fibra sintetica. Divide le opinioni tra chi lo ama e chi lo detesta.

Le scarpe sandalo Satorisan
Il marchio Satorisan, ispirato alla figura mitologica giapponese del Satori, offre le scarpe-sandalo Benirras. Caratterizzate da punta tonda, fibbia laterale, tomaia morbida e suola in spugna di gomma, combinano filosofia orientale e design mediterraneo.

Gli americani Teva Original
Il marchio Teva è famoso per il modello Original Sport, nato nel 1984 sulle rive del Grand Canyon. Con fascette sottili, chiusura con adesivo regolabile e suola bassa antiscivolo in schiuma EVA, questi sandali sono sinonimo di funzionalità.

I Teva Hurricane XLT 2
L’Hurricane XLT 2 è un’evoluzione del modello Original, con fascia imbottita sul tallone e base più spessa. Le chiusure in velcro in tessuto PET riciclato sono resistenti all’acqua e ad asciugatura rapida. La suola interna EVA è accompagnata da un gambo in nylon per stabilizzare il piede sui terreni irregolari, mentre quella esterna è in gomma Durabrasion.

Per chi ama quelli colorati
C’è chi li preferisce colorati, Teva offre vari modelli, tra cui l’Hurricane XLT 2 in diverse combinazioni di colori.

Il Made in Italy
LAMARINA propone sandali Made in Italy in cuoio e pelle, con suola in gomma microporosa. Tutti i modelli combinano design fantasioso ed economicità.

INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Lifestyle
Da luogo per famiglie a esperienza luxury: Disney ridisegna a Abu Dhabi i suoi resort
La magia Disney cambia latitudine e approda negli Emirati Arabi con un nuovo parco a tema a Yas Island, Abu Dhabi. Tra promesse futuristiche, resort da sogno e attrazioni mai viste, il colosso dell’intrattenimento punta al cuore (e al portafogli) del turismo globale. Niente castelli medievali, ma piscine da sceicco e cene con vista sulle dune.

Dimenticatevi le file sudate a Disneyland Paris e il sole cocente di Orlando: il futuro della magia ha l’aria condizionata a 24 gradi e profuma di oud. Disney, che evidentemente non ama farsi trovare impreparata, ha annunciato la nascita di un nuovo parco a tema proprio nel cuore dorato di Abu Dhabi, sull’isola di Yas. E no, non sarà il solito castello con Minnie che firma autografi. Qui si parla di “esperienze acquatiche immersive”, resort di lusso e design da Mille e una Notte versione futuristica.
Secondo Bob Iger, il boss di casa Disney, sarà un parco “autenticamente Disney e distintamente emiratino”. Che tradotto suona più o meno così: aspettatevi Elsa che fa surf sulle dune e Aladdin che parcheggia il tappeto all’eliporto.
Un parco, mille selfie: benvenuti nel Disney Resort Deluxe Edition
La costruzione sarà curata da Miral (già noti per trasformare ogni cosa in un’attrazione da Instagram), insieme agli immancabili Imagineer Disney. La timeline? Una cosetta sobria: dai 4 ai 6 anni di attesa. Giusto il tempo di risparmiare per il biglietto d’ingresso – che, immaginiamo, costerà quanto una rata del mutuo. Nel pacchetto: ristoranti a tema, esperienze acquatiche “inedite” (nuotare con Nemo è plausibile), e stanze d’albergo dove ci si addormenta sotto un cielo stellato… proiettato in 8K. Se questo non è vivere la magia, allora cos’è?
Topolino veste Prada (e guida una Bugatti)
L’obiettivo è chiaro: attrarre il turismo mondiale con una versione glamour deluxe del parco giochi per eccellenza. Non più solo bambini con le orecchie da topo, ma anche influencer in abiti da sera pronti a fare brunch nel castello di Jasmine. Perché qui il sogno non è volare con Peter Pan, ma prenotare la suite con piscina privata e vista sulle torri in acciaio.
Siamo ad una svolta epocale
Mohamed Khalifa Al Mubarak, presidente di Miral, ha parlato di “un mondo di immaginazione completamente nuovo”. Ma diciamoci la verità: a chi non è mai capitato di sognare Paperino mentre fa yoga su un rooftop nel deserto?
Disney riscrive le regole del parco a tema
Con questo nuovo progetto, Disney spariglia la tradizione del parco a tema. Da luogo incantato per famiglie a esperienza di lusso intercontinentale, la magia si evolve… e si firma con l’oro. Il settimo parco Disney sarà forse il primo dove il vero personaggio da favola… sei tu (purché tu possieda la carta di credito giusta).
Cucina
Il cuoco dei tre Papi: «Ratzinger amava la Sacher, Wojtyła le zuppe. E Francesco? I suoi sorrisi e la millefoglie»
Il veneto Sergio Dussin ha cucinato per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Ora sogna di servire anche il prossimo Pontefice.

Nel cuore del Veneto, a Romano d’Ezzelino, tra i profumi degli asparagi bianchi e delle trote del Brenta, vive Sergio Dussin, un uomo che può vantare un primato raro: essere stato lo chef personale di ben tre Pontefici. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno tutti assaggiato i suoi piatti, gustato le sue ricette, condiviso con lui momenti privati e solenni della loro vita in Vaticano.
«Se avessi il grande onore di essere riconfermato — racconta con un sorriso —, sarei il primo nella storia moderna a servire quattro Papi. Bisogna tornare al Medioevo per trovare due cuochi che abbiano seguito tre Pontefici diversi». Dussin, 67 anni, anima dei ristoranti “Al Pioppeto” di Romano d’Ezzelino e “Villa Razzolini Loredan” di Asolo, è un testimone privilegiato della vita a tavola dei Papi.
Tutto iniziò il 6 maggio 2002, quando venne convocato in Vaticano per cucinare in occasione del giuramento annuale delle Guardie Svizzere Pontificie. «Avevo stabilito alcuni contatti durante il Giubileo del 2000», ricorda, «e mi chiamarono per preparare il pranzo del giuramento, una cerimonia solenne che commemora il sacrificio delle Guardie Svizzere durante il Sacco di Roma. Fu un grande onore, e a conquistare tutti fu l’asparago bianco di Bassano, un prodotto della mia terra. Da lì, tutto ha avuto inizio».
Il primo Pontefice che ebbe l’onore di servire fu Giovanni Paolo II, in un periodo molto delicato per la salute del Santo Padre. «Negli ultimi tre anni del suo pontificato — racconta Dussin — preparavo per lui piatti semplici, adatti alla sua condizione: zuppe leggere, brodi nutrienti e frullati. Aveva bisogno di pietanze che fossero al tempo stesso confortanti e facilmente digeribili. Ricordo il suo sguardo grato, anche quando le forze sembravano venir meno».
Con Benedetto XVI, invece, il rapporto si fece diverso, più articolato, più legato ai sapori della tradizione. «Ratzinger amava la buona cucina», confida Dussin. «Apprezzava particolarmente i piatti veneti: riso con asparagi bianchi, broccoli di Bassano, carni bianche come la basaninaa e, durante la Quaresima, preferiva pesce, soprattutto trote del Brenta o seppie in umido». Niente funghi, però, e pochissimo vino. «A tavola beveva solo acqua naturale e, ogni tanto, una spremuta d’arancia. Durante i pranzi ufficiali, come dolce, gli servivo un bicchiere di moscato fiori d’arancio dei Colli Euganei, un vino leggero da sei gradi appena».
Ma il vero amore gastronomico di Benedetto XVI era per i dolci. «Amava la Sacher, quella vera, con la glassa spessa e il cuore morbido di albicocca. Gli preparavo anche millefoglie in monoporzione, gelati con fragole fresche d’estate e crostate di frutta nei pranzi ufficiali. Ho continuato a cucinare per lui anche dopo la sua rinuncia, quando si è ritirato nella quiete dei Giardini Vaticani».
Poi è arrivato Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo, e con lui una nuova sfida. «Con Francesco — racconta lo chef — l’approccio è stato ancora più semplice e familiare. Amava la cucina italiana, si affidava ai miei piatti con fiducia e curiosità. Gli servivo ravioli ripieni di asparagi bianchi, carni rosse come la basaninaa — tagliata, costata, brasato — che gradiva molto, nonostante la sua patria, l’Argentina, sia la terra della carne per eccellenza».
Francesco apprezzava le verdure: broccoli, carciofi, radicchio di Treviso, patate, asparagi. A tavola beveva poca acqua, gasata naturale, e poco vino. «Aveva un rapporto molto sobrio con il cibo», spiega Dussin, «semplice e genuino. Come dessert gli servivo spesso la millefoglie con crema Chantilly e scaglie di cioccolato, la meringata, le crostate. Ma più di tutto amava avere al centro del tavolo un vassoio con frutta fresca da assaporare durante il pasto, senza formalità».
Oltre ai pranzi privati, Dussin ha avuto il compito di organizzare anche i banchetti ufficiali per capi di Stato, ambasciatori e reali. «Quando si servono ospiti internazionali bisogna tener conto di tutto — spiega —: per esempio piatti kosher per gli ebrei, cucina senza maiale e senza alcol per gli ospiti musulmani. Io proponevo una bozza di menu, poi veniva adattata secondo le esigenze di ciascun commensale».
Ma i ricordi più intensi Dussin li conserva dei pranzi con i poveri, voluti da Papa Francesco. «Nel 2022, durante uno di questi incontri con millecinquecento persone, gli portai una grande torta millefoglie con scaglie di cioccolato. Lui la tagliò con un sorriso, tra gli applausi e la commozione generale. Era un pranzo vero, di famiglia, dove il Papa voleva sedersi accanto ai più semplici, scambiare parole, donare un sorriso».
Un sorriso che Dussin custodisce ancora oggi come il più prezioso degli ingredienti della sua lunga, straordinaria avventura ai fornelli della storia.
Tech
La casa (troppo) smart: quando Alexa ti spia, il frigo ti giudica e la bilancia ti umilia
Le case intelligenti dovevano semplificarci la vita. Invece ci ascoltano, ci misurano, ci ricordano quante calorie ingeriamo e ci segnalano che siamo ingrassati. E poi si chiedono perché sogniamo le caverne.

Benvenuti nella casa del futuro. Quella dove le luci si accendono da sole, il frigo ti suggerisce la dieta (senza pietà), la bilancia si collega al cloud per condividere i tuoi fallimenti e lo spazzolino ti segnala quando hai saltato un molare. Un sogno? No, un incubo domotico.
L’idea era semplice: rendere la vita più facile. Alexa, accendi la luce. Hey Google, metti la playlist triste da lunedì mattina. E all’inizio sembrava tutto bellissimo. Ma come ogni relazione, anche quella con la smart home ha preso una piega inquietante.
Perché Alexa non solo accende la luce: ascolta tutto. E se le capita di mandare per sbaglio una registrazione ai server centrali di Seattle, ti tocca anche ringraziarla. Il frigo connesso, quello che doveva aiutarti a non comprare l’ennesimo barattolo di senape, ora ti avverte che hai preso troppo spesso la cioccolata, e lo fa con quel tono passivo-aggressivo che ricorda tua suocera.
La bilancia smart? Geniale: misura grasso, massa muscolare, idratazione e autostima. E ogni lunedì ti manda una notifica: “C’è stato un lieve aumento”. In pratica ti bullizza. Ma nel cloud. Dove resta tutto, per sempre.
E poi ci sono le telecamere. Una volta servivano per la sicurezza, ora controllano se hai chiuso davvero il forno. Ma mentre sei fuori a cena con amici, ti arriva la notifica: “Movimento rilevato in soggiorno”. Panico. Era il gatto. Che vive peggio di te, perché il distributore automatico di croccantini si inceppa e lo punisce con l’intermittente: oggi sì, domani no.
In questo paradiso algoritmico, ci si muove a condizione di piacere al sistema. Hai alzato troppo la voce con Siri? Lei non risponde più. Hai dimenticato la password del Wi-Fi? Addio controllo luci, termostato e tapparelle. Il blackout, oggi, non è quando salta la corrente. È quando ti dimentichi di aggiornare il firmware.
E allora sì, sogniamo la caverna. O almeno un bagno con interruttore analogico e specchio che non ci dica quanti anni sembriamo oggi.
Perché una cosa è certa: l’unica “intelligenza” che non si spegne con un clic è quella di chi ha capito che smart non sempre vuol dire felice.
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