Sonar: tra suoni e visioni
9 agosto1986, io c’ero: lo show dei misteri, l’ultimo dei Queen con Freddie
Oggi è l’anniversario dell’ultimo concerto dal vivo dei Quenn con Freddie Mercury. Riviviamolo nei ricordi di Luca Varani nel suo blog Sonar.

Oggi ricorre una data importante per gli amanti del rock, e, nella fattispecie, per i fan dei Queen. In Inghilterra, precisamente a Knebworth Park (nei pressi di Stevenage), si tiene I’ultimo concerto della storia dei Queen nella loro formazione originale, con Freddie Mercury alla voce. Ma non è questo l’unico motivo per il quale questo show passerà alla storia. Svariati motivi l’hanno portato ad essere definito il “concerto dei misteri”.
Un concerto intriso di domande
Dopo questo show, che mi vedeva fra il pubblico, passato alla storia per i suoi tanti misteri, la band inglese non ha più effettuato concerti dal vivo fino alla scomparsa di Mercury, avvenuta più di 5 anni dopo. Rappresentanto anche l’ultimo concerto per il bassista John Deacon che, come gli amanti dei Queen sanno, si è allontanato dalla band dopo la morte del leader.
Ricordi personali
Il biglietto d’ingresso costava 14,50 sterline, acquistato in prevendita dal mio amico William (morto due anni fa, pace all’anima sua) che me lo consegnò al mio arrivo a Londra il giorno prima del concerto. Apprezzai molto i supporter, gli scozzesi Big Country, che già conoscevo in Italia, possedendo qualche loro disco. Annoiandomi a morte con gli Status Quo, che non ho mai particolarmente amato. Quel giorno indossavo una maglietta dei Rolling Stones e una guardia all’entrata la squadrò, guardandomi poi negli occhi con un’espressione stupita: forse pensò che avevo sbagliato concerto. I Queen arrivarono a bordo di un elicottero, sorvolando la vasta area piena di pubblico da ore (i giornali poi parleranno di circa 125.000 persone). Per quanto riguarda la scaletta era la classica di quel tour, comprese diverse cover che già avevo sentito attraverso qualche registrazione illegale: su tutte… Tutti Frutti di Little Richard, uno dei capisaldi del rock’n’roll!
Silenzio assoluto sull’AIDS fino al giorno prima della morte di Mercury
Nel 1987 l’indimenticabile Mercury scopre di avere l’AIDS (e non come ci viene erroneamente mostrato nel biopic Bohemian Rhapsody, prima dello show del Live Aid nel 1985). D’accordo con i suoi compagni di sempre, decide di proseguire l’attività solo registrando in studio, lontano dai riflettori che avrebbero impietosamente messo a nudo la progressione del virus. Un desiderio, quello di non informare il pubblico della sua malattia che durò fino al giorno prima della sua morte.
Fitto lancio sul palco
Durante l’esibizione di Belouis Some, cantante poco conosciuto che aveva introdotto i Queen prima di Big Country e Status Quo, il nervosismo del pubblico impaziente era palpabile. Un tizio accanto a me, urlando qualcosa di incomprensibile in un inglese stretto (e ipotizzo piuttosto… gergale) scaglio qualcosa sul palco, che cominciò ad essere oggetto di lanci ripetuti di bottiglie rotte, rendendo il clima piuttosto pericoloso. Belouis Some non era affatto piaciuto all’audience che reagiva in questo modo, il caldo afoso e la birra che scorreva a fiumi rendeva tutto ancora più allarmante.
Viene ucciso uno spettatore
Durante il concerto un uomo morì per dissanguamento in seguito ad una coltellata. Infatti alla fine ci misi circa tre ore ad uscire dal parco perchè la polizia fermava i presenti per raccogliere testimonianze. Nella calca persi anche i miei occhiali da sole. Li avevo acquistati poco prima di entrare nella zona del concerto: ricordo che erano belli, sembravano quelli che indossava Elvis Presley a fine carriera…
Non esiste una registrazione ufficiale dello show
Le uniche registrazioni che ci sono pervenute rappresentano spezzoni realizzati dagli spettatori. In realtà una registrazione – peraltro video – esiste: si tratta di una ripresa amatoriale, piuttosto traballante ma preziosa dal punto di vista documentaristico, realizzata da uno spettatore, che registrò tutto lo show da uno schermo posizionato vicino allo stage. Questa:
Esiste anche un bootleg in vinile (un disco stampato illegalmente, senza l’autorizzazione da parte della band), chiamato Electric Magic. Un titolo non casuale, visto che durante quella serata vennero impiegate apparecchiature particolari in modo da evitare agli spettatori più lontani dallo stage palco di percepire il suono distorto o in ritardo. Purtroppo non fa parte della mia collezione, mannaggia…
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Sonar: tra suoni e visioni
I Duran Duran come il vino di pregio: invecchiato bene… ma addizionato coi glitter

Chi l’avrebbe mai detto? I Duran Duran, quelli del ciuffo perfetto e dei patinatissimi video targati MTV, sono riusciti nell’impresa: trasformare il Circo Massimo in una dancefloor galattica, facendolo senza sembrare una cover band di sé stessi. Davanti a un pubblico intergenerazionale – dai nostalgici in felpa “Rio” ai giovani curiosi col cappellino da festival – la band capitanata da Simon Le Bon ha dimostrato che l’età è solo un numero. Se hai un basso funky, un synth ben oliato e un frontman in completo bianco, puoi ancora spaccare. Victoria De Angelis, stavolta, ha deciso di passare. Forse ha visto la scaletta e ha capito che sarebbe stato meglio lasciar perdere. E onestamente, come darle torto?
Atterrati dallo spazio, ma con i piedi saldi sul groove
Lo show si apre in modo surreale: i quattro “cosmonauti” Le Bon, Rhodes, Taylor e Taylor scendono sulla Terra con “Velvet Newton”, vestiti come astronauti digitali, e il pubblico li accoglie con entusiasmo. Non c’è bisogno di effetti speciali o piroette fashion: solo una band che ha finalmente fatto pace con la sua eredità e la suona con disinvoltura. È nostalgia? Sì, ma ristrutturata, lucidata e senza polvere. A parte quella del Circo Massimo, ormai location principale – comunque scomoda – per i grandi eventi romani (qui ci vidi Antonello Venditti nel 2001 per la festa-scudetto della Roma e, successivamente, i Genesis nel 2007).
Classici resuscitati, non solo per i nostalgici
Dal loro album d’esordio del 1981 spuntano perle che sembrano uscite fresche di giornata: Night Boat, Careless Memories, Planet Earth. Anche chi era seduto con le ginocchia arrugginite si è alzato. E quando arriva Friends of Mine, con un’atmosfera da film horror anni ’70, si capisce che i Duran non erano solo yacht, belle gnocche e champagne, ma anche ombre scure e citazioni gotiche. Se non ve li ricordate così… eravate troppo impegnati a perfezionare il ciuffo alla John Taylor.
Il piccolo inciampo di Wild Boys? Simon lo supera con eleganza
Durante l’epocale Wild Boys succede l’imprevisto: un problema tecnico taglia corto l’entusiasmo. Ma Simon Le Bon, senza perdersi d’animo, tira dritto come se nulla fosse. Il resto della scaletta è un mix perfetto di brani cult: A View to a Kill, che ancora regge il titolo di miglior pezzo bondiano di sempre, e Notorious, che scuote i sanpietrini come se gli Chic di Nile Rodgers fossero incarnati sul posto.
Un momento serio, poi di nuovo tutti a ballare
Tra una glitterata e l’altra, arriva anche la riflessione, imposta dalla cronaca. Le Bon prende una pausa tra Ordinary World e Come Undone per parlare – con genuina partecipazione – di guerra, pace e normalità. Ucraina, Gaza e il mondo come dovrebbe essere. Per qualche minuto, il Circo Massimo ammutolisce, i telefoni si abbassano, e si respira un attimo di umanità. Ma subito dopo, si riparte con un mash-up azzardato quanto riuscitissimo tra Girls on Film e Psycho Killer dei Talking Heads: perché il passato è sacrosanto ricordarlo… ma anche fatto danzare.
Nessuna coreografia, solo talento e un sacco di synth
Niente scenografie spettacolari, nessuna ballerina a rincorrere i ritornelli. Solo loro, gli strumenti e un sacco di groove. Anche se la regia video ha perso i dettagli di qualche assolo, bastava guardare il palco: Nick Rhodes è ancora il Signore dei synth, John Taylor martella il suo basso, Roger Taylor detta il tempo come un orologio svizzero funky. E Simon “Cicciobombo” Le Bon – meno dinamico di un tempo e con tanto di panzetta – canta comunque bene e si diverte di più. Non ha più bisogno di correre: si gode il viaggio…
Il gran finale per chi ha fatto pace con gli anni ’80
Il bis è da brividi. Niente accendini, ma migliaia di schermi accesi illuminano Roma come un Blade Runner sentimentale. Save a Prayer tocca il cuore, Rio lo fa battere. Anche il tizio con la maglietta dei Joy Division, fino a quel momento imperturbabile, cede al piedino ritmico: un trionfo!
Finalmente liberi dal bisogno di piacere a tutti
Sdoganati dai registi cult, amati da musicisti di ogni genere, da Beck a Lou Reed, passando per i Killers, i Duran Duran si sono presi la loro rivincita. Oggi suonano non per compiacere ma per godersi quello che sono. E forse, come dice lo stesso Simon Le Bon:
“Meglio adesso che allora”.
Sonar: tra suoni e visioni
Il Cavaliere e la rockstar mancina: che combinazione sorprendente…

Cosa c’entrano Silvio Berlusconi e Jimi Hendrix?!? Questa apparentemente sorprendente relazione lega i due personaggi per un dettaglio preciso, che non conoscono in molti. Si tratta del prezioso materiale con cui è stata costruita la bara che contiene il feretro con le spoglie di Silvio Berlusconi.
Il medesimo materiale
Il feretro che contiene i resti del Cavaliere è stato realizzato dai maestri artigiani dell’Art Funeral Italy di Caravaggio (BG). Una bara in legno di mogano con striature color rosso bruno proveniente dall’Honduras. Il medesimo legno con cui venivano costruite le leggendarie chitarre di Jimi Hendrix. Fra le tante, la meravigliosa Fender Stratocaster, quella principalmente associata alla sua iconografia, entrata nella storia del rock come simbolo di qualcosa che ha cambiato tutto. Il suo modo di suonare era qualcosa di mai visto prima, a partire dal fatto che continuasse a usare chitarre per destrimani pur essendo mancino. Ciò ha contribuito a creare quel sound unico che noi tutti apprezziamo, lo costringeva infatti a movimenti di dita non ortodossi.
Un legno particolarmente prezioso
La bara si chiama 23 Duomo. Per realizzarla ci sono voluti circa 20 giorni, 10 solo per la lucidatura. Il legno con cui è stata realizzata è stagionato e di elevatissima qualità. Il materiale utilizzato è stato ricavato sezionando tronchi interi, in modo da non far perdere al materiale le sue naturali venature, valorizzando in questo modo l’impronta digitale del legname definita figurazione.
Solo per la verniciatura ci sono voluti 10 giorni di lavoro
Altra caratteristica peculiare nella realizzazione del feretro è la doppia verniciatura: un processo che ha richiesto ben 10 giorni di tempo. Sulla bara infatti, grazie alla doppia verniciatura del legno è stato possibile creare un duplice effetto, visibile al meglio sotto la luce solare. Il cofano, infatti, risulta perfettamente lucido, in grado di mettere in risalto le venature del pregiato legno. Le parti parti laterali della bara e della cornice sono invece satinate.
Quanto è costata?
Il proprietario dell’azienda costruttrice, quando si svolse il funerale di Stato del Cavaliere, non lo svelò per non meglio specificati motivi di riservatezza. Si tratta comunque dello stesso tipo di bara in cui giace l’imprenditore Leonardo Del Vecchio, scomparso nel 2022. L’azienda non ebbe ai tempi contatti diretti con la famiglia Berlusconi, realizzando la bara su commissione per terzi, in quanto solitamente progetta e realizza queste pregiate bare artigianali per diverse agenzie funebri.
Silvio e Jimi, due personaggi in totale antitesi, legati però dalla passione per le donne (clicca qui per un’altra sorprendente rivelazione)… e per questo aneddoto che avete appena letto. Riposino in pace, amen.
Sonar: tra suoni e visioni
Dove riposerà ora Brian Wilson: paradiso o inferno? God only knows…
Il mondo della musica dice addio a una leggenda che, con la sua arte, ha fatto sognare la California a milioni di persone. Wilson ha insegnato al mondo che anche la fragilità può diventare armonia e che il dolore può generare dtraordinaria bellezza. Con la sua scomparsa, non perdiamo solo un artista, ma un pezzo di cultura musicale del Novecento, che rimane viva nelle sue note, tra spiagge, nostalgia e infinite “Good Vibrations”.

Il geniale fondatore dei Beach Boys, è scomparso all’età di 82 anni. Musicista visionario e pioniere del pop-rock, ha rivoluzionato il suono degli anni ’60 con melodie indimenticabili e innovazioni tecniche di straordinaria inventiva. Malgrado un’esistenza segnata da profonde fragilità personali, Wilson ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica. Tra i commossi tributi dei suoi compagni di band e l’eredità immortale di capolavori come Pet Sounds, il suo nome rimane simbolo di un sogno americano che continua a risuonare tra le onde del tempo.
Un addio che commuove il mondo della musica
A stroncarlo, un disturbo neurocognitivo simile alla demenza, reso noto all’inizio di quest’anno. La notizia ha scosso il mondo della musica, generando una serie di tributi toccanti da parte dei suoi compagni storici di band e da figure iconiche del panorama musicale. Al Jardine, cofondatore dei Beach Boys e amico d’infanzia di Wilson, ha espresso il suo dolore con parole toccanti:
“Mi sentirò sempre fortunato ad averti avuto nella nostra vita. Eri un gigante umile che mi faceva sempre ridere. Ti sei riunito a Carl e Dennis, e ora cantate di nuovo quelle bellissime armonie.”
Anche Mike Love e Bruce Johnston hanno ricordato come, insieme a Brian, regalarono al mondo il sogno americano di libertà, ottimismo e gioia:
“La sua eredità vivrà attraverso le sue canzoni e nei nostri ricordi.”
L’uomo che fece sognare la California
Brian Wilson non era solo la voce e l’anima dei Beach Boys: era un compositore geniale che, pur non avendo mai davvero cavalcato le onde con un surf, riuscì a tradurre in musica l’essenza della California. Dai primi successi come I Get Around e Help Me, Rhonda fino alla perfezione armonica di Good Vibrations, Wilson ha trasformato il pop in arte. Durante il periodo d’oro della band (1962-1966), i Beach Boys infilzarono 13 hit nella Top 10 di Billboard, diventando il simbolo musicale di una generazione. Il suo capolavoro, Pet Sounds (1966), ha influenzato i Beatles e cambiato per sempre il modo di concepire un album.
Paul McCartney dichiarò:
“È stato Pet Sounds a farmi perdere la testa. Nessuno è davvero istruito musicalmente finché non ha ascoltato quell’album.”
Genio fragile: tra ombre, abusi e rinascita
Dietro la genialità di Wilson si nascondeva un’anima tormentata. Vittima di abusi paterni, afflitto da crisi di panico e da una fragilità mentale crescente, Brian si allontanò dalle scene per rifugiarsi nello studio, tra eccessi di ogni tipo e isolamento forzato. Il controverso rapporto con lo psicoterapeuta Eugene Landy divenne quasi una prigionia, fino alla liberazione legale nel 1992. Ma la sua storia non finisce nel buio: nel 2004 completò Smile, l’album maledetto iniziato nel 1967 e poi abbandonato. Accanto a lui, Melinda Ledbetter, l’ex modella e venditrice di Cadillac che divenne la sua ancora di salvezza e moglie:
“Mi ha salvato la vita. Mi ha restituito fiducia e voglia di vivere.”
In pochi conoscono il rapporto della famiglia Wilson con Charles Manson
Un aspetto indiretto e inquietante era quello che legava i Wilson – più precisamente il fratello di Brian, anche lui membro dei Beach Boys – e Charles Manson, il famigerato criminale e leader della “Family” responsabile degli omicidi Tate-LaBianca nel 1969. Nel 1968, Dennis Wilson fece inconsapevolmente entrare Manson nella sua vita che, all’epoca, cercava di lanciare la sua carriera musicale. Dennis, affascinato dalla sua personalità carismatica e dal gruppo di donne che lo seguivano, lo ospitò per mesi nella sua villa a Sunset Boulevard, a Los Angeles. Manson e la sua “Family” si trasferirono nella casa di Dennis, causando danni enormi (si parla di oltre 100.000 dollari tra abusi di proprietà, spese, furti e distruzioni) e instaurando una presenza sempre più inquietante. Manson voleva diventare una rockstar. Incise alcune demo, e Dennis inizialmente tentò di aiutarlo, portandolo in studio e presentandolo ad alcuni produttori. I Beach Boys arrivarono persino a riarrangiare e pubblicare una sua canzone, Cease to Exist, ribattezzata Never Learn Not to Love, inclusa nel loro album 20/20 (1969). Tuttavia, non accreditarono Manson come autore, cosa che lo fece infuriare.
La rottura e le conseguenze
Quando Dennis iniziò a percepire il lato oscuro e minaccioso di Manson, anche sotto consiglio di Brian, tagliò i ponti. Non lo affrontò direttamente: cambiò casa senza dirgli nulla, lasciando l’abitazione con i Manson ancora dentro. Poco dopo, Manson si allontanò dal mondo della musica e virò verso la follia e la violenza che culminò negli omicidi dell’estate 1969.
Un’eredità musicale immortale
Anche dopo aver lasciato i Beach Boys negli anni ’80, Wilson non smise mai di fare musica. Tornò con la band nel 2012 per l’album That’s Why God Made the Radio, e recentemente aveva partecipato al documentario The Beach Boys di Frank Marshall, su Disney+, tornando simbolicamente sulla spiaggia di Malibu dove tutto era cominciato. La sua incredibile musica rimarrà eterna: non solo per i nostalgici del surf ma per tutti coloro che sanno riconoscere l’arte quando l’arte riesce a parlare al cuore.
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