Italia
Arrestati Stefania Nobile e l’ex fidanzato: prostitute, droga e champagne
L’arresto di Stefania Nobile, noto personaggio della cronaca rosa, figlia di Wanna Marchi, insieme al suo ex fidanzato ha scatenato una serie di reazioni e speculazioni. Tra accuse, retroscena e coinvolgimenti di altri personaggi noti, questo episodio rappresenta un argomento di discussione tanto curioso quanto scottante. Chi sono i clienti delle prostitute coinvolte? Qual è il vero volto di questa storia?

Arrestata Stefania Nobile, figlia dell’ex volto noto della televisione italiana Wanna Marchi, e del suo ex fidanzato, proprietario del rinomato locale milanese La Gintoneria, accusato anche di detenzione e spaccio di droga, Davide Lacerenza. Entrambi sono stati accusati di un reato che ha sollevato numerosi interrogativi: sfruttamento della prostituzione. La vicenda, che coinvolge il mondo delle escort e dei clienti misteriosi, ha fatto rapidamente il giro del web, suscitando commenti e speculazioni da parte di fan e curiosi.
Una vita sempre sotto i riflettori della cronaca
Ma chi è Stefania Nobile, e perché il suo nome è così conosciuto? Nata in una famiglia di spicco, Stefania ha sempre avuto un ruolo di rilievo nei media, anche se, nel corso degli anni, la sua vita personale è diventata un vero e proprio spettacolo. Il suo arresto, quindi, ha scosso non solo gli amanti del gossip ma anche quelli della cronaca nera, che hanno subito iniziato a investigare sugli sviluppi di questa storia.
Stefania avrebbe reclutato le ragazze
Secondo quanto riportato dalle forze dell’ordine, i due sarebbero coinvolti in un’organizzazione di sfruttamento della prostituzione, con un numero imprecisato di ragazze coinvolte. Le prostitute, infatti, sarebbero state reclutate da Stefania, la quale avrebbe gestito gli appuntamenti e le trattative con i clienti. Il suo ex fidanzato, dal canto suo, avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel far circolare le giovani ragazze tra i vari “clienti”.
Tra gli utenti coinvolti si parla di politici e di esponenti delle forze dell’ordine
La notizia ha scatenato diverse polemiche, con alcune voci che suggeriscono che dietro a questi incontri ci fossero anche personaggi noti, tra cui politici (si parla di un sindaco) e imprenditori. Seppur senza conferme ufficiali, il sospetto che tra i clienti delle prostitute vi fossero personaggi influenti alimenta ulteriormente l’attenzione sul caso. Si parla anche di forze dell’ordine. Al momento le autorità non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali riguardo all’identità di queste persone. Tuttavia, il fatto che il caso stia assumendo proporzioni sempre più ampie lascia presagire che presto potrebbero emergere dettagli sorprendenti.
Riciclo di proventi illeciti nel locale
La vita privata della Nobile è stata oggetto di gossip per anni, e ora, con questo arresto, le cose sembrano essere giunte a un punto di non ritorno. La figlia della Marchi dovrà probabilmente affrontare non solo le conseguenze legali ma anche quelle sociali, in un momento in cui le sue azioni sono sotto il microscopio dei media in modalità tutt’altro che nobilitante. Secondo le indagini, Davide Lacerenza, con l’aiuto dell’ex compagna e del collaboratore Davide Ariganello, offrivano alla clientela della Gintoneria droga e possibilità di usufruire di prestazioni sessuali da parte di escort ottenendo da questi guadagni illeciti, riciclati poi nel locale.
Per i vip c’era pure il delivery
I clienti, per consumare i rapporti con le escort reclutate dai due indagati e per fare uso di stupefacenti, usavano un privè vicino alla Gintoneria, chiamato La Malmaison. I clienti vip potevano ricevere droga e prostitute anche a domicilio, con una sorta di “servizio delivery”. Uno dei clienti più assidui e facoltosi in tre anni e mezzo, precisamente da settembre 2020 a settembre 2023, avrebbe speso oltre 641 mila euro per serate nel locale o con l’acquisto del pacchetto comprendente champagne, escort e droga. Proprio da queste somme versate sui conti riconducibili a Lacerenza con causale “champagne” sono partiti i sospetti che hanno fattivato gli accertamenti della Gdf e della Procura di Milano.
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Italia
Targa polacca per risparmiare sull’RC. Conviene? Un escamotage a rischio
Boom di targhe polacche su motorini e auto: servono ad aggirare le assicurazioni. Una scelta molto rischiosa.

Sono sempre di più i veicoli che circolano con targa polacca: un trucco per abbattere i costi dell’assicurazione, ma che può avere conseguenze inaspettate.
Il fenomeno dell’utilizzo delle targhe polacche per motorini e auto in Italia è diventato sempre più diffuso. In particolare in città come Napoli e in genere al Sud Italia. Delle 53 mila targhe straniere in Italia ben 35 mila, infatti, sono solo a Napoli. Una tendenza che è alimentata dai costi elevati delle assicurazioni. Del resto Napoli, dopo Prato è la città dove l’assicurazione Rc auto è la più costosa. Un esempio? L’Rc di un motorino nel capoluogo campano annualmente può superare i 1.500 euro annui di spesa. Con l’utilizzo di una targa straniera il costo si può ridurre fino a un quinto.
Come si fa in pratica
Il trucco consiste nel registrare il proprio veicolo come esportato in Polonia attraverso una procedura che coinvolge la radiazione del veicolo in Italia e la successiva immatricolazione in Polonia. Una volta ottenuta la nuova immatricolazione, il proprietario stipula un contratto di noleggio con una società intestataria polacca, consentendo di pagare tariffe assicurative significativamente inferiori rispetto a quelle italiane. Un giochino semplice semplice. Si pagano circa 600-800 euro il primo anno che diventano 300-350 euro per gli anni successivi. La pratica è consentita dalle normative italiane, come Giuseppe Guarino, Segretario Nazionale Studi di Unasca (Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica). “Le agenzie di pratiche auto applicano le norme che consentono queste procedure“.
Risparmio ma con quali rischi?
Questa pratica comporta serie conseguenze. In caso di incidente, la nuova compagnia assicurativa polacca potrebbe non pagare o farlo con ritardi significativi. Inoltre, il proprietario perde il controllo diretto del veicolo, non potendo più venderlo o disporne liberamente. Se la società intestataria del veicolo fallisse, tutti i veicoli registrati con essa verrebbero confiscati, causando ulteriori complicazioni per gli ex proprietari. Insomma è necessario valutare molto bene se conviene risparmiare ma rischiare complicazioni anche penali oltre che amministrative.
Italia tra i paesi più cari
Questa pratica evidenzia un problema più ampio: i costi elevati delle assicurazioni in Italia. L’IVASS ha rilevato che gli italiani pagano il 27% in più rispetto alla media europea per assicurare i propri veicoli, con un aumento dei prezzi superiore all’inflazione negli ultimi anni. Questo fenomeno potrebbe essere un catalizzatore per l’aumento degli evasori assicurativi, con milioni di veicoli che circolano senza l’assicurazione obbligatoria. Nel nostro Paese, infatti, per assicurare un veicolo si paga il 27% in più rispetto alla media degli altri Paesi europei e nell’ultimo anno i prezzi sono saliti del 7,5%, un valore maggiore dell’inflazione.
Italia
Villa Certosa, la reggia da mezzo miliardo che fa gola agli sceicchi: tra leggende, trattative e voci mai sopite
Stimata tra i 300 e i 500 milioni, Villa Certosa non è solo una villa: è un simbolo del potere berlusconiano. Secondo La Nuova Sardegna c’è un interessamento concreto da parte di un facoltoso arabo, ma il closing resta lontano.

Ogni estate, insieme alle cronache mondane della Costa Smeralda, riaffiora anche il tormentone di Villa Certosa. È il destino delle residenze diventate leggenda: non sono solo case, ma scenografie di un’epoca. La maxi-dimora sarda di Silvio Berlusconi, affacciata sul golfo di Porto Rotondo, torna oggi al centro dei riflettori con un nuovo, presunto corteggiatore: un magnate arabo pronto a farsi avanti con un’offerta da capogiro.
Le cifre ballano tra i 300 e i 500 milioni di euro, a seconda delle stime. Una valutazione che fa tremare i polsi anche agli sceicchi abituati a palazzi dorati. Secondo La Nuova Sardegna, l’interessamento c’è, ma da qui a parlare di vendita conclusa il passo è lungo: il famigerato “closing” resta ancora appeso, mentre per ora a circolare sono solo rumors e mezze conferme.
Ma cosa rende Villa Certosa così contesa? I numeri aiutano a capirlo: 4.500 metri quadrati di superficie abitabile, 126 stanze, un parco di 120 ettari, porticcioli privati, piscine, grotte artificiali e persino un anfiteatro. Una “città nella città”, costruita per incarnare non solo il lusso, ma anche il gusto teatrale e scenografico del Cavaliere.
In quelle sale hanno passeggiato e stretto mani George W. Bush, Tony Blair e Vladimir Putin. È qui che il Cavaliere riceveva capi di Stato e attori, amici e avversari politici, in un mix di mondanità e diplomazia che nessun’altra villa italiana ha mai saputo replicare. Non a caso qualcuno l’ha definita “la reggia del berlusconismo”, l’ottava meraviglia di un’epoca in cui politica e spettacolo erano due facce della stessa medaglia.
Non è la prima volta che si rincorrono voci di vendita. Dopo la scomparsa del fondatore di Forza Italia, sono circolati nomi illustri: dal sultano del Brunei al colosso alberghiero Four Seasons, che però si è affrettato a smentire. Stavolta l’attenzione sarebbe di un facoltoso arabo di cui non trapela l’identità, ma che basta a far ripartire le chiacchiere da Porto Rotondo a Milano.
Vendere Villa Certosa non significherebbe solo monetizzare un patrimonio immobiliare, ma consegnare a un nuovo proprietario un pezzo della storia recente d’Italia. Per la famiglia Berlusconi sarebbe un passaggio simbolico enorme, quasi la chiusura definitiva di un capitolo che ha segnato decenni di cronaca politica e mondana.
Per ora, però, restano solo le indiscrezioni. E la domanda che aleggia tra i frequentatori della Costa Smeralda: Villa Certosa diventerà l’ennesimo trofeo nelle mani di un magnate straniero, o continuerà a resistere come monumento intoccabile al mito del Cavaliere?
Italia
“Cercasi camerieri (purché non sardi)”: il caso Monkey infiamma Porto Torres, il titolare attacca i giovani locali
Marco Corda, imprenditore e proprietario del bar Monkey, difende la sua scelta di privilegiare candidati non residenti in Sardegna. «Meglio chi viene da fuori e parla lingue che ragazzi viziosi, attaccati a mammina e incapaci di rispettare un contratto». Le sue parole dividono e infiammano i social.

«Il ragazzino sardo è maleducato, inaffidabile, non professionale». Una sentenza lapidaria, firmata Marco Corda, titolare del Monkey di Porto Torres, che con un post di ricerca personale ha trasformato un annuncio di lavoro in un caso nazionale.
La frase incriminata è semplice: «Il Monkey seleziona cameriere e camerieri di sala, barman e barlady preferibilmente non residenti in Sardegna». Bastava quel “non residenti” per scatenare il putiferio. L’annuncio, ripreso e rilanciato da La Nuova Sardegna, è stato subito travolto dalle polemiche, costringendo il titolare a chiarire (e rincarare la dose) sui social.
«Un’azienda fa i propri interessi e il mio curriculum parla chiaro», ha spiegato Corda. «Abbiamo sempre avuto staff locali, ma mai come quest’anno abbiamo avuto difficoltà. Non è il problema del portotorrese o del sassarese in sé. È che state crescendo una generazione di persone viziate, senza futuro, che non danno valore al denaro perché c’è mammina che si toglie il pane di bocca per dare 100 euro al figliolo, così il sabato notte si ubriaca o si droga».
Parole dure, che hanno fatto infuriare più di un utente. Ma l’imprenditore non arretra: «Il problema è che spesso i ragazzi del posto non rimangono fino alla fine del contratto. Ti mollano dall’oggi al domani con scuse futili: devono andare ad Alghero a ballare o li ha lasciati la fidanzatina. Ben vengano i portotorresi validi, ma sono pochi».
Il Monkey cerca personale per la stagione invernale 2026 e, tra i requisiti, Corda sottolinea anche la necessità di parlare lingue straniere: «Se vogliamo definirci una città turistica, bisogna parlare almeno l’inglese. Chi viene da fuori magari lo sa e porta valore».
L’annuncio nel frattempo è stato cancellato, ma il polverone resta. E nelle ultime repliche social, il titolare ha provato a smorzare i toni spiegando che «quasi tutto lo staff del Monkey è sardo» e che le candidature non isolane «sono due o tre». Troppo tardi: la bufera era già partita.
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