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Politica

Padre, madre… e figuraccia: la Cassazione sbugiarda il Viminale e Salvini

Una sentenza destinata a far discutere mette fine alla crociata ideologica del Viminale: la carta d’identità deve rispecchiare la realtà familiare. Per i giudici, negare il documento a un bambino solo perché ha due madri è “irragionevole e discriminatorio”. Un colpo alla narrazione salviniana su famiglia e tradizione.

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    er anni è stato un cavallo di battaglia, un vessillo ideologico, un tema da comizio permanente: “Si dice padre e madre, non genitore 1 e genitore 2!”. Ora la Cassazione ha sfilato di mano quel vessillo a Matteo Salvini — e al suo Viminale versione 2019 — con una sentenza che sa tanto di ceffone istituzionale. Con la decisione n. 9216/2025, la Suprema Corte ha demolito il decreto del Ministero dell’Interno che imponeva l’indicazione rigida di “padre” e “madre” nei documenti d’identità dei minori, rendendo invece legittimo l’uso della dizione neutra “genitore”.

    Il caso riguarda una famiglia composta da due madri: una biologica, l’altra adottiva. Dopo anni di tira e molla tra Comune e Prefettura, la carta d’identità del bambino — quella elettronica, utile per viaggiare — era diventata un campo di battaglia burocratico. Il Viminale si opponeva, la Corte d’Appello disapplicava il decreto. E ora arriva il timbro finale della Cassazione, che boccia “i tre motivi di doglianza” del ministero e parla senza mezzi termini di “effetto irragionevole e discriminatorio”.

    Una scelta pesante, quella della Corte presieduta da Maria Acierno, che ha ribadito l’ovvio: la carta d’identità serve al minore, non al moralista di turno. E se quel minore ha due madri o due padri, lo Stato ha il dovere di prenderne atto, almeno quando si tratta di rilasciare un documento valido per l’espatrio. Negarglielo sarebbe una punizione ideologica a danno di un bambino. Punto.

    Ma il vero bersaglio — nemmeno troppo implicito — è quel decreto del 31 gennaio 2019 partorito in pieno clima “family day” istituzionalizzato, quando al Viminale sedeva un vicepremier che, tra un selfie e un rosario, aveva fatto della “difesa della famiglia tradizionale” una crociata personale. La realtà, però, ha la testardaggine dei fatti: le famiglie esistono, anche se non rientrano negli slogan.

    La Cassazione non solo dà ragione alla Corte d’Appello, ma richiama esplicitamente la propria giurisprudenza e la sentenza della Consulta n. 79/2022, che tutela il diritto del minore a costruire legami affettivi e giuridici anche con il genitore non biologico, laddove esista una relazione stabile e riconosciuta. In altre parole: il diritto alla famiglia conta più della forma. E “genitore”, per quanto scomodo a qualcuno, è l’unica parola che oggi possa includere tutte le realtà esistenti senza ferire nessuno.

    Un verdetto che pesa, soprattutto perché arriva a poche settimane da un altro passaggio cruciale: la Corte Costituzionale sarà chiamata a decidere sul riconoscimento della madre “intenzionale” in una coppia omosessuale. Ma intanto, sul tavolo resta questa sonora bocciatura a un pezzo della propaganda salviniana.

    Il cortocircuito è evidente: chi voleva usare i documenti per ribadire un modello unico di famiglia, si trova oggi smentito proprio in nome della tutela dei più deboli — i figli — che una volta tanto tornano davvero al centro del diritto, e non della retorica.

    Il Viminale potrà ancora provare a difendere il proprio decreto? Forse. Ma intanto resta il fatto che l’Italia, nei suoi palazzi più alti, ha cominciato ad accettare una verità che da tempo la società civile già conosceva: le famiglie non si costruiscono coi timbri, ma con l’amore. E no, questa volta nemmeno un selfie potrà cambiare le cose.

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      Politica

      Meloni show a Libero: baci a Trump, schiaffi alla sinistra

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        Giorgia Meloni si collega da remoto, ma conquista il palco come se fosse in prima fila. Venti minuti in videocollegamento per celebrare i 25 anni di Libero, ma sembrava un comizio con microfono aperto. Il pubblico in sala applaude, Mario Sechi sorride, Vittorio Feltri si dichiara “innamorato” della premier. Lei ringrazia e parte col repertorio.

        Il pezzo forte? Il solito vecchio Donald. “Trump è un leader coraggioso, schietto, determinato. Ci capiamo bene anche quando non siamo d’accordo”, dichiara fiera. Dazi, guerre commerciali e instabilità globale passano in secondo piano: quello che conta è l’intesa tra sovranisti. “Difende i suoi interessi nazionali, io faccio lo stesso”, rivendica, come se il mondo fosse diviso tra chi “tiene famiglia” e chi no.

        Poi il colpo basso sul referendum. Altro che test per il governo: “Era un referendum sulle opposizioni, e il risultato è chiaro”, dice. Traduzione: ha perso la sinistra, non io. “Se vincono, è un trionfo della democrazia. Se perdono, c’è un problema di democrazia. È sempre la stessa storia”, attacca, liquidando critiche e dubbi come capricci da salotto.

        E infatti a quelli che nei salotti ci vivono, riserva la stoccata finale. Il quesito per la cittadinanza dopo cinque anni? “Una sciocchezza”, sentenzia. “Solo chi frequenta club esclusivi può pensarlo. La legge attuale va benissimo. Ed è quella che vuole la stragrande maggioranza degli italiani”. Argomento chiuso.

        In mezzo, il solito omaggio a Berlusconi, “fiero di noi per il milione di posti di lavoro”, e l’ennesima autoassoluzione: “Noi andiamo avanti con il nostro lavoro”. Il copione non cambia. Ma ogni volta è più rodato.

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          Politica

          Francesca Pascale ironizza su Forza Italia e Fedez: «Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop»

          Francesca Pascale, in un intervento nel programma “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, commenta l’apparizione di Fedez al congresso delle giovanili di Forza Italia e ironizza sulla strategia di Maurizio Gasparri per rilanciare l’immagine del partito.

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            Francesca Pascale non ha mai avuto peli sulla lingua e lo ha dimostrato ancora una volta. Ospite della trasmissione Donne sull’orlo di una crisi di nervi condotta da Piero Chiambretti su Rai3, l’ex compagna di Silvio Berlusconi ha commentato con tono ironico e tagliente la scelta di Forza Italia di invitare Fedez come ospite d’onore al congresso della giovanile del partito. «La prima cosa che ho pensato è stata che Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop, perché il 3% dell’ultima tornata elettorale non è bellissimo», ha dichiarato Pascale, mettendo in dubbio la strategia dietro l’apparizione del rapper.

            Non è la prima volta che l’ex fidanzata del Cavaliere esprime perplessità sul futuro e la direzione di Forza Italia. In passato aveva dichiarato al Foglio, come riportato anche da Agi, che «il partito deve darsi una svegliata». Ma questa volta, la “sveglia” non sembra coincidere con l’arruolamento di Fedez. Pascale ha spiegato che il suo stupore non riguarda tanto la presenza del cantante in sé, quanto la logica che l’ha portata a questa ospitata: «Non ho capito Forza Italia con Fedez dove vuole andare».

            La presenza di Fedez, artista da sempre impegnato su temi sociali e politici, è stata al centro delle polemiche sin da subito. Durante il suo intervento, il rapper non ha rinunciato a provocazioni e riflessioni pungenti: «Oggi non voterei nessuno», ha detto. Poi ha criticato la sinistra, accusandola di «rifiutarsi sempre di sedersi al tavolo del dibattito». Insomma, un intervento in perfetto stile Fedez, pronto a mettere in discussione la politica tradizionale e a rivendicare la sua indipendenza.

            Nonostante le critiche a Forza Italia, Francesca Pascale ha riconosciuto al rapper una certa coerenza: «Molti hanno criticato Fedez, ma lui ha fatto il suo lavoro. Va dove lo invitano, lo fa per dialogare», ha spiegato. Una visione che riflette il carattere pragmatico dell’artista, abituato a muoversi tra provocazione e voglia di confronto.

            Ma Pascale non ha perso l’occasione per lanciare un’altra frecciata ai vertici del partito azzurro, in particolare a Maurizio Gasparri: «Forse l’idea era di far parlare di sé e rianimare un po’ di entusiasmo, ma invitare Fedez non credo basti a risolvere i problemi interni di Forza Italia», ha concluso.

            Il commento dell’ex compagna di Berlusconi si inserisce in un momento di fermento per il partito fondato dal Cavaliere, che cerca nuove strategie e volti in grado di attrarre l’elettorato giovanile. Una scommessa rischiosa, se non altro perché – come osserva Pascale – la politica pop non può bastare a mascherare le incertezze di un partito in cerca di identità.

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              Politica

              Grillo verso l’azione legale per riprendersi simbolo e nome del M5s, sfida a Conte

              Beppe Grillo si prepara a una battaglia legale per riprendersi il simbolo e il nome del Movimento 5 Stelle. Dopo l’abolizione del suo ruolo di garante, il comico genovese vuole rilanciare la sfida a Conte e rivendicare la paternità del progetto pentastellato.

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                Beppe Grillo dichiara guerra al Movimento 5 Stelle. Anzi, a quello che resta del progetto politico che lui stesso aveva creato insieme a Gianroberto Casaleggio nel 2009. Il comico genovese, estromesso di fatto dal ruolo di garante con la riforma dello statuto approvata a fine 2024, non intende restare a guardare: secondo fonti a lui vicine, Grillo avrebbe già dato mandato ai suoi legali per “riappropriarsi del simbolo e del nome del M5s”. Una mossa che potrebbe riaprire le fratture tra l’ideatore e l’attuale leader, Giuseppe Conte.

                Il simbolo e il nome del M5s, registrati nel 2012 come marchio dell’associazione con sede a Genova, rappresentano un tesoro politico e comunicativo. Non a caso, Grillo avrebbe commentato così la situazione dopo la Costituente: “Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio. Fatevi un altro simbolo. Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no”. Parole che lasciano poco spazio ai dubbi: il fondatore sente ancora come suo il cuore del Movimento e ritiene che la nuova gestione lo stia tradendo.

                La scintilla che ha fatto scattare l’azione legale è stata la modifica dello statuto voluta da Conte. Il ruolo di garante, che per anni aveva permesso a Grillo di supervisionare le scelte e gli orientamenti del Movimento, è stato eliminato lo scorso novembre, sancendo la rottura definitiva tra le due anime del M5s. Non solo: Grillo non ha mai digerito la decisione di abolire il limite dei due mandati, considerato un pilastro della visione originaria. “L’abolizione del limite di due mandati è una sconfitta dei nostri valori”, aveva detto. E ora sembra pronto a far valere in tribunale le sue ragioni.

                L’azione legale potrebbe aprire un nuovo capitolo nella saga pentastellata. Se Grillo dovesse ottenere un pronunciamento a suo favore, Conte e il nuovo corso del Movimento si troverebbero costretti a rinunciare a simbolo e nome, rischiando di perdere il legame con la storia e l’identità originaria del partito. Un’ipotesi che agiterebbe ancora di più le acque già tumultuose della politica grillina.

                Dietro questa sfida legale si intravede anche la volontà di Grillo di non restare nell’ombra. Nonostante la sua attività politica sia ormai più defilata e il legame con i vertici del Movimento sia ai minimi termini, il comico genovese non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Anche di recente, dal suo blog e dalle apparizioni pubbliche, ha continuato a ribadire la sua visione di un Movimento “libero e leggero, non schiavo delle poltrone e delle mediazioni”.

                Le prossime settimane saranno decisive per capire se l’azione legale verrà formalmente avviata e quali saranno le conseguenze per Giuseppe Conte e per il gruppo dirigente del M5s. Per ora, l’unica certezza è che Grillo non intende lasciare in silenzio il simbolo e il nome del Movimento che aveva fondato e che considera ancora il frutto più importante del suo impegno politico.

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