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Lifestyle

Censurato lo spot di Diletta Leotta: per alcuni è “sessualizzante” (video)

U-Power colpisce ancora: prima Travolta a Sanremo con le scarpe brandizzate, ora un bambino con lo sguardo troppo sveglio. Il giurì interviene, Selvaggia tuona, e noi restiamo senza parole… come il bambino

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    Il nuovo spot con Diletta Leotta viene censurato: un bambino guarda sotto una minigonna e il Giurì dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria lo giudica “inappropriato” e “sessualizzante”. Nel frattempo, il Paese si divide tra chi grida allo scandalo e chi cerca di ricordare in quale punto del video si è visto esattamente “quel” momento.

    Il bambino, Diletta e il triangolo che non avevamo previsto

    Lo spot incriminato della U-Power – marchio che ha ormai più scandali alle spalle che scarpe vendute – mostrava un bambino seduto tra il pubblico, occhi sgranati, bocca aperta, mentre una cantante in minigonna si esibisce. Voce fuori campo di Diletta Leotta: «La prima volta che sei rimasto senza parole. Lasciati stupire ancora una volta». E il Giurì ha detto: “Anche no”

    Lo sguardo “sessualizzato” (e lo sdegno multitasking)

    Secondo l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, lo spot viola l’articolo 11 del codice che tutela bambini e ragazzi. Tradotto: non potete far finta che un bambino stia riscoprendo il senso della vita solo perché ha intravisto un ginocchio. Selvaggia Lucarelli, sempre sul pezzo quando c’è anche il minimo sentore di polemica, l’ha definita una pubblicità con “quel gusto anni ’90”, e non nel senso di “nostalgia canaglia”. Anzi: «Si ammicca al sesso e si mette al centro il corpo di una donna in minigonna con uno sguardo di desiderio da parte di un minore».

    Le polemiche? Scarpe comode per camminarci dentro

    Il brand di calzature da lavoro, già protagonista del momento di pubblicità “casuale” con John Travolta l’anno scorso a Sanremo (ve lo ricordate? No? Eppure la giacca rossa ce l’avete ancora negli occhi), ora fa centro – male – con uno spot dove l’unico a non essersi stupito è il reparto marketing, che evidentemente vive ancora nell’epoca del VHS.

    L’arte di comparire in mezzo al caos (con stile e tacchi)

    Diletta, dal canto suo, recita nel video ma è anche la voce narrante. Di certo non ha scritto lo script, ma come spesso accade, quando c’è da indignarsi il pubblico è pronto a colpire chi ha la minigonna, non chi ha firmato la regia. Nel frattempo, lo spot è stato rimosso, ma non prima di essere stato visto, commentato, condiviso, ri-commentato e salvato in 360p da qualche zio nostalgico del Drive In. E ora? Si torna a spot con bambini che mangiano merendine tristi. Dopo la censura, ci aspettiamo un ritorno alla pubblicità “sicura”: bambini felici che corrono nei campi con biscotti senza glutine. Oppure testimonial che indossano scarpe da lavoro… e basta. Niente gambe, niente sguardi, solo suole e antinfortunistica.

    Banalità pubblicitarie

    Di contro, c’è da dire che il livello dei creativi pubblicitari spesso rimane al palo. Siamo nel 2025 ma per pubblicizzare qualsiasi genere merceologico si ricorre – in mancanza di idee più brillanti – sempre e solo alla stessa cosa. Che sia un’automobile, una barretta di cioccolato, un acqua minerale o un prodotto per la pulizia della casa. Va bene che, come dimostrò il pittore francese Gustave Courbet, quella è L’origine del mondo. Ma un pizzico di fantasia in più non ne abbiamo proprio?!?

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      Lifestyle

      Da luogo per famiglie a esperienza luxury: Disney ridisegna a Abu Dhabi i suoi resort

      La magia Disney cambia latitudine e approda negli Emirati Arabi con un nuovo parco a tema a Yas Island, Abu Dhabi. Tra promesse futuristiche, resort da sogno e attrazioni mai viste, il colosso dell’intrattenimento punta al cuore (e al portafogli) del turismo globale. Niente castelli medievali, ma piscine da sceicco e cene con vista sulle dune.

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        Dimenticatevi le file sudate a Disneyland Paris e il sole cocente di Orlando: il futuro della magia ha l’aria condizionata a 24 gradi e profuma di oud. Disney, che evidentemente non ama farsi trovare impreparata, ha annunciato la nascita di un nuovo parco a tema proprio nel cuore dorato di Abu Dhabi, sull’isola di Yas. E no, non sarà il solito castello con Minnie che firma autografi. Qui si parla di “esperienze acquatiche immersive”, resort di lusso e design da Mille e una Notte versione futuristica.

        Secondo Bob Iger, il boss di casa Disney, sarà un parco “autenticamente Disney e distintamente emiratino”. Che tradotto suona più o meno così: aspettatevi Elsa che fa surf sulle dune e Aladdin che parcheggia il tappeto all’eliporto.

        Un parco, mille selfie: benvenuti nel Disney Resort Deluxe Edition

        La costruzione sarà curata da Miral (già noti per trasformare ogni cosa in un’attrazione da Instagram), insieme agli immancabili Imagineer Disney. La timeline? Una cosetta sobria: dai 4 ai 6 anni di attesa. Giusto il tempo di risparmiare per il biglietto d’ingresso – che, immaginiamo, costerà quanto una rata del mutuo. Nel pacchetto: ristoranti a tema, esperienze acquatiche “inedite” (nuotare con Nemo è plausibile), e stanze d’albergo dove ci si addormenta sotto un cielo stellato… proiettato in 8K. Se questo non è vivere la magia, allora cos’è?

        Topolino veste Prada (e guida una Bugatti)

        L’obiettivo è chiaro: attrarre il turismo mondiale con una versione glamour deluxe del parco giochi per eccellenza. Non più solo bambini con le orecchie da topo, ma anche influencer in abiti da sera pronti a fare brunch nel castello di Jasmine. Perché qui il sogno non è volare con Peter Pan, ma prenotare la suite con piscina privata e vista sulle torri in acciaio.

        Siamo ad una svolta epocale

        Mohamed Khalifa Al Mubarak, presidente di Miral, ha parlato di “un mondo di immaginazione completamente nuovo”. Ma diciamoci la verità: a chi non è mai capitato di sognare Paperino mentre fa yoga su un rooftop nel deserto?

        Disney riscrive le regole del parco a tema

        Con questo nuovo progetto, Disney spariglia la tradizione del parco a tema. Da luogo incantato per famiglie a esperienza di lusso intercontinentale, la magia si evolve… e si firma con l’oro. Il settimo parco Disney sarà forse il primo dove il vero personaggio da favola… sei tu (purché tu possieda la carta di credito giusta).

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          Cucina

          Il cuoco dei tre Papi: «Ratzinger amava la Sacher, Wojtyła le zuppe. E Francesco? I suoi sorrisi e la millefoglie»

          Il veneto Sergio Dussin ha cucinato per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Ora sogna di servire anche il prossimo Pontefice.

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            Nel cuore del Veneto, a Romano d’Ezzelino, tra i profumi degli asparagi bianchi e delle trote del Brenta, vive Sergio Dussin, un uomo che può vantare un primato raro: essere stato lo chef personale di ben tre Pontefici. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno tutti assaggiato i suoi piatti, gustato le sue ricette, condiviso con lui momenti privati e solenni della loro vita in Vaticano.

            «Se avessi il grande onore di essere riconfermato — racconta con un sorriso —, sarei il primo nella storia moderna a servire quattro Papi. Bisogna tornare al Medioevo per trovare due cuochi che abbiano seguito tre Pontefici diversi». Dussin, 67 anni, anima dei ristoranti “Al Pioppeto” di Romano d’Ezzelino e “Villa Razzolini Loredan” di Asolo, è un testimone privilegiato della vita a tavola dei Papi.

            Tutto iniziò il 6 maggio 2002, quando venne convocato in Vaticano per cucinare in occasione del giuramento annuale delle Guardie Svizzere Pontificie. «Avevo stabilito alcuni contatti durante il Giubileo del 2000», ricorda, «e mi chiamarono per preparare il pranzo del giuramento, una cerimonia solenne che commemora il sacrificio delle Guardie Svizzere durante il Sacco di Roma. Fu un grande onore, e a conquistare tutti fu l’asparago bianco di Bassano, un prodotto della mia terra. Da lì, tutto ha avuto inizio».

            Il primo Pontefice che ebbe l’onore di servire fu Giovanni Paolo II, in un periodo molto delicato per la salute del Santo Padre. «Negli ultimi tre anni del suo pontificato — racconta Dussin — preparavo per lui piatti semplici, adatti alla sua condizione: zuppe leggere, brodi nutrienti e frullati. Aveva bisogno di pietanze che fossero al tempo stesso confortanti e facilmente digeribili. Ricordo il suo sguardo grato, anche quando le forze sembravano venir meno».

            Con Benedetto XVI, invece, il rapporto si fece diverso, più articolato, più legato ai sapori della tradizione. «Ratzinger amava la buona cucina», confida Dussin. «Apprezzava particolarmente i piatti veneti: riso con asparagi bianchi, broccoli di Bassano, carni bianche come la basaninaa e, durante la Quaresima, preferiva pesce, soprattutto trote del Brenta o seppie in umido». Niente funghi, però, e pochissimo vino. «A tavola beveva solo acqua naturale e, ogni tanto, una spremuta d’arancia. Durante i pranzi ufficiali, come dolce, gli servivo un bicchiere di moscato fiori d’arancio dei Colli Euganei, un vino leggero da sei gradi appena».

            Ma il vero amore gastronomico di Benedetto XVI era per i dolci. «Amava la Sacher, quella vera, con la glassa spessa e il cuore morbido di albicocca. Gli preparavo anche millefoglie in monoporzione, gelati con fragole fresche d’estate e crostate di frutta nei pranzi ufficiali. Ho continuato a cucinare per lui anche dopo la sua rinuncia, quando si è ritirato nella quiete dei Giardini Vaticani».

            Poi è arrivato Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo, e con lui una nuova sfida. «Con Francesco — racconta lo chef — l’approccio è stato ancora più semplice e familiare. Amava la cucina italiana, si affidava ai miei piatti con fiducia e curiosità. Gli servivo ravioli ripieni di asparagi bianchi, carni rosse come la basaninaa — tagliata, costata, brasato — che gradiva molto, nonostante la sua patria, l’Argentina, sia la terra della carne per eccellenza».

            Francesco apprezzava le verdure: broccoli, carciofi, radicchio di Treviso, patate, asparagi. A tavola beveva poca acqua, gasata naturale, e poco vino. «Aveva un rapporto molto sobrio con il cibo», spiega Dussin, «semplice e genuino. Come dessert gli servivo spesso la millefoglie con crema Chantilly e scaglie di cioccolato, la meringata, le crostate. Ma più di tutto amava avere al centro del tavolo un vassoio con frutta fresca da assaporare durante il pasto, senza formalità».

            Oltre ai pranzi privati, Dussin ha avuto il compito di organizzare anche i banchetti ufficiali per capi di Stato, ambasciatori e reali. «Quando si servono ospiti internazionali bisogna tener conto di tutto — spiega —: per esempio piatti kosher per gli ebrei, cucina senza maiale e senza alcol per gli ospiti musulmani. Io proponevo una bozza di menu, poi veniva adattata secondo le esigenze di ciascun commensale».

            Ma i ricordi più intensi Dussin li conserva dei pranzi con i poveri, voluti da Papa Francesco. «Nel 2022, durante uno di questi incontri con millecinquecento persone, gli portai una grande torta millefoglie con scaglie di cioccolato. Lui la tagliò con un sorriso, tra gli applausi e la commozione generale. Era un pranzo vero, di famiglia, dove il Papa voleva sedersi accanto ai più semplici, scambiare parole, donare un sorriso».

            Un sorriso che Dussin custodisce ancora oggi come il più prezioso degli ingredienti della sua lunga, straordinaria avventura ai fornelli della storia.

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              Tech

              La casa (troppo) smart: quando Alexa ti spia, il frigo ti giudica e la bilancia ti umilia

              Le case intelligenti dovevano semplificarci la vita. Invece ci ascoltano, ci misurano, ci ricordano quante calorie ingeriamo e ci segnalano che siamo ingrassati. E poi si chiedono perché sogniamo le caverne.

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                Benvenuti nella casa del futuro. Quella dove le luci si accendono da sole, il frigo ti suggerisce la dieta (senza pietà), la bilancia si collega al cloud per condividere i tuoi fallimenti e lo spazzolino ti segnala quando hai saltato un molare. Un sogno? No, un incubo domotico.

                L’idea era semplice: rendere la vita più facile. Alexa, accendi la luce. Hey Google, metti la playlist triste da lunedì mattina. E all’inizio sembrava tutto bellissimo. Ma come ogni relazione, anche quella con la smart home ha preso una piega inquietante.

                Perché Alexa non solo accende la luce: ascolta tutto. E se le capita di mandare per sbaglio una registrazione ai server centrali di Seattle, ti tocca anche ringraziarla. Il frigo connesso, quello che doveva aiutarti a non comprare l’ennesimo barattolo di senape, ora ti avverte che hai preso troppo spesso la cioccolata, e lo fa con quel tono passivo-aggressivo che ricorda tua suocera.

                La bilancia smart? Geniale: misura grasso, massa muscolare, idratazione e autostima. E ogni lunedì ti manda una notifica: “C’è stato un lieve aumento”. In pratica ti bullizza. Ma nel cloud. Dove resta tutto, per sempre.

                E poi ci sono le telecamere. Una volta servivano per la sicurezza, ora controllano se hai chiuso davvero il forno. Ma mentre sei fuori a cena con amici, ti arriva la notifica: “Movimento rilevato in soggiorno”. Panico. Era il gatto. Che vive peggio di te, perché il distributore automatico di croccantini si inceppa e lo punisce con l’intermittente: oggi sì, domani no.

                In questo paradiso algoritmico, ci si muove a condizione di piacere al sistema. Hai alzato troppo la voce con Siri? Lei non risponde più. Hai dimenticato la password del Wi-Fi? Addio controllo luci, termostato e tapparelle. Il blackout, oggi, non è quando salta la corrente. È quando ti dimentichi di aggiornare il firmware.

                E allora sì, sogniamo la caverna. O almeno un bagno con interruttore analogico e specchio che non ci dica quanti anni sembriamo oggi.

                Perché una cosa è certa: l’unica “intelligenza” che non si spegne con un clic è quella di chi ha capito che smart non sempre vuol dire felice.

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