Cronaca Nera
Angela Celentano, il braccio di ferro sul caso riaperto: la gip sfida l’archiviazione e ordina il test del Dna sulla ragazza turca
A quasi trent’anni dalla misteriosa scomparsa di Angela Celentano, la giudice Colucci rifiuta di chiudere il fascicolo e apre a nuovi accertamenti: tra questi, un confronto genetico con la giovane donna ritratta in un video girato in Turchia e segnalata dalla blogger Trentinella. Una speranza, l’ennesima, per i genitori della bambina sparita nel nulla sul Monte Faito

Non è ancora il momento di abbassare le braccia. A quasi trent’anni dalla scomparsa di Angela Celentano, il caso viene riaperto. E a volerlo è un giudice. La gip di Napoli Federica Colucci ha detto no alla richiesta di archiviazione presentata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea e ha ordinato nuovi accertamenti sulla cosiddetta “pista turca”. Un’ipotesi investigativa controversa, discussa, spesso ridicolizzata. Ma che ora torna prepotentemente in scena, con tanto di richiesta formale di test del Dna sulla ragazza ritratta in una foto arrivata alla Procura tramite canali tanto informali quanto insistenti.
Tutto ruota attorno a un volto femminile catturato da un video girato sull’isola turca di Buyukada e presentato da Vincenza Trentinella, una blogger che da anni sostiene di avere raccolto prove e testimonianze sulla sopravvivenza di Angela in Turchia. Una delle figure chiave di questo lungo e labirintico racconto è un prete, don Augusto, morto anni fa, che avrebbe saputo tutto durante una confessione. È lui ad aver indirizzato Trentinella verso quell’isola, dove la donna sostiene di aver incontrato “un uomo con una cicatrice al collo”, identificato come Fafhi Bey, che vivrebbe con una ragazza somigliante ad Angela.
La Procura, però, non ci ha mai creduto fino in fondo. Ha sollecitato ripetutamente la collaborazione delle autorità turche, senza mai ricevere risposte convincenti. E ha puntato tutto su un elemento chiave: l’assenza di compatibilità somatica tra la ragazza della foto e Angela bambina. Un elemento che, unito all’inaffidabilità della fonte, ha portato il pm Giuseppe Cimarotta a chiedere la chiusura del caso.
Ma la gip Colucci non è dello stesso avviso. Secondo la giudice, non sarebbero stati approfonditi tutti i possibili riscontri. E così ha ordinato un elenco di nuovi atti: tra questi, il più rilevante è la comparazione genetica tra la ragazza turca e il profilo di Angela Celentano, ottenuto anni fa dai genitori. Verranno inoltre ascoltati i testimoni turchi, tra cui un avvocato che potrebbe fornire informazioni decisive sull’identità della ragazza.
Una decisione che riaccende le speranze – o le illusioni – della famiglia Celentano, che non ha mai smesso di cercare la verità da quel 10 agosto 1996, quando Angela, appena tre anni, sparì durante una gita familiare sul Monte Faito, tra Castellammare di Stabia e Vico Equense.
Da allora, nessuna pista ha mai portato a un esito certo. Ci sono stati avvistamenti, segnalazioni, lettere anonime, sogni, medium. E ora questa ragazza, con un volto simile e una storia sospetta alle spalle. È solo l’ennesima falsa speranza o davvero, dopo quasi tre decenni, qualcosa si sta muovendo?
Per ora resta una certezza: il fascicolo resta aperto. E la verità, se c’è, potrebbe essere nascosta dietro un Dna.
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Cronaca Nera
Risponde alla chiamata dei carabinieri e perde 39.000 euro: ecco come funziona la truffa dei numeri clonati
Un sessantenne di Genova è stato truffato con la tecnica dello spoofing, un attacco sofisticato che replica numeri telefonici ufficiali, rendendo difficile distinguere la truffa dalla realtà. Con un finto maresciallo dei carabinieri e un “operatore” della banca, i truffatori hanno svuotato il suo conto. Ecco i dettagli di questo inganno e come difendersi.

Tutto inizia con una chiamata apparentemente da parte di un maresciallo dei carabinieri: avverte la vittima di una frode sul suo conto bancario. Poco dopo, segue una telefonata da un operatore della banca che conferma l’allarme e consiglia di trasferire i risparmi su un nuovo conto “sicuro”. La vittima, un sessantenne di Genova, esegue l’operazione tramite home banking e solo dopo scopre l’amara realtà: quei soldi, circa 39.000 euro, sono spariti per sempre.
Spoofing: una truffa sempre più sofisticata
Questo tipo di truffa, noto come spoofing, sfrutta la falsificazione dell’identità per ingannare le vittime. I truffatori possono clonare numeri telefonici di carabinieri, banche o altri enti, così da sembrare affidabili e mettere a segno il colpo. Nel caso del sessantenne, persino una verifica online non ha aiutato, poiché i numeri corrispondevano effettivamente a quelli reali delle forze dell’ordine e della banca.
Come difendersi dallo spoofing
Per evitare di cadere in trappola, è fondamentale non condividere mai dati personali o bancari via telefono e non avviare operazioni durante una chiamata, anche se la fonte sembra affidabile. In caso di dubbio, è sempre meglio chiamare direttamente la propria banca o l’ente coinvolto, usando numeri verificati. Chi sospetta di essere stato vittima di uno spoofing dovrebbe denunciare il fatto alla polizia postale o ai carabinieri per aiutare a fermare questi truffatori.
Cronaca Nera
La madre di Marco Pantani non si arrende
Tonina Pantani lancia pesanti accuse sulla morte del figlio: “Non è stato un incidente, è stato ucciso”. Rabbia e dolore contro le istituzioni del ciclismo e il Tour de France.
Tonina Pantani, madre del leggendario ciclista Marco Pantani, ha rilasciato dichiarazioni forti e scioccanti sulla morte del figlio. Secondo lei, Marco non è morto per un tragico incidente, ma è stato ucciso. In un’intervista straziante, Tonina ha espresso una rabbia profonda verso le istituzioni del ciclismo, puntando il dito in particolare contro il Tour de France, accusato di aver avuto un ruolo nella tragica fine del “Pirata”. Le sue parole hanno riaperto ferite mai guarite e alimentato nuove discussioni sulle circostanze della morte di Marco Pantani.
Accuse e dolore di una madre
Tonina Pantani non ha mai accettato la versione ufficiale sulla morte del figlio, trovandosi spesso sola nella sua battaglia per la verità. Nel corso degli anni, ha raccolto documenti, testimonianze e prove che, secondo lei, dimostrano come Marco sia stato vittima di un complotto. “Non perdonerò mai chi ha distrutto mio figlio”, ha dichiarato, accusando esplicitamente il mondo del ciclismo e le sue istituzioni di aver voltato le spalle a Marco quando più aveva bisogno di supporto.
Il ruolo del Tour de France
Particolarmente dure sono le parole di Tonina Pantani contro il Tour de France. Secondo la madre del campione, il prestigioso evento ciclistico avrebbe contribuito a creare un ambiente ostile e pericoloso per Marco, culminato poi nella sua tragica morte. “Il Tour de France ha una parte di colpa in tutto questo”, ha affermato Tonina, sottolineando come le pressioni e le accuse infondate abbiano devastato suo figlio sia mentalmente che fisicamente.
Una verità ancora da scoprire
Le accuse di Tonina Pantani riaccendono un dibattito mai realmente chiuso sulla morte del “Pirata”. Nonostante le inchieste ufficiali abbiano concluso che si trattò di un incidente, molti, inclusa la famiglia Pantani, continuano a chiedere giustizia e verità. La determinazione di Tonina a far luce su quanto accaduto a Marco riflette la sua convinzione che vi siano ancora molte zone d’ombra e domande senza risposta.
L’eredità di Marco Pantani
Indipendentemente dalle controversie sulla sua morte, Marco Pantani rimane una delle figure più iconiche del ciclismo. Le sue vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France, il suo stile unico e la sua personalità carismatica hanno lasciato un’impronta indelebile nello sport. La lotta di Tonina Pantani per la verità non è solo una questione personale, ma anche un tentativo di preservare l’eredità e l’onore di suo figlio.
La battaglia di Tonina Pantani continua, alimentata dal dolore e dalla determinazione di una madre che non si arrenderà mai finché non avrà ottenuto giustizia per Marco.
Cronaca Nera
Premeditato? Macché, solo 37 coltellate ‘di impulso’ – Ergastolo a Impagnatiello confermato, ma senza aggravante
Alessandro Impagnatiello condannato all’ergastolo anche in appello per l’omicidio di Giulia Tramontano e del figlio Thiago. Esclusa la premeditazione, confermate crudeltà e vincolo affettivo. Ecco cosa ha deciso el dettaglio la Corte d’Assise d’Appello di Milano pochi minuti fa.

La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato la condanna all’ergastolo per Alessandro Impagnatiello, ma ha escluso l’aggravante della premeditazione. Una decisione che, pur mantenendo la pena massima, lascia l’amaro in bocca per la sua portata simbolica. Per la giustizia, Impagnatiello ha agito con crudeltà, ha ucciso la compagna Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, ma senza pianificare tutto con anticipo. Una sottigliezza giuridica difficile da comprendere per chi osserva dall’esterno la vicenda.
Una morte orribile: 37 coltellate e il tentativo di farla abortire con il topicida
ùGiulia, 29 anni, originaria di Sant’Antimo, è stata massacrata con 37 coltellate, alcune al volto, inferte – secondo l’accusa – per sfigurarla. Come tutti ricordano con orrore, portava in grembo Thiago, il bimbo che non ha mai visto la luce. Prima dell’omicidio, Impagnatiello aveva tentato più volte di farla abortire somministrandole topicida. Una crudeltà prolungata nel tempo, culminata in un gesto estremo la sera del 27 maggio 2023, nella loro casa di Senago, nel Milanese.
Dopo il delitto, un macabro teatrino
Dopo l’omicidio, Impagnatiello ha tentato di bruciare il corpo nella vasca da bagno e nel box auto, utilizzando alcol e benzina. Poi ha simulato la scomparsa della compagna, presentando denuncia e continuando a scriverle messaggi, come se fosse viva. Il corpo è stato ritrovato avvolto in teli di plastica, in un’intercapedine vicino a casa, solo dopo giorni.
La difesa: nessuna premeditazione, anzi giustizia riparativa
L’avvocata difensore Giulia Geradini ha ottenuto l’esclusione dell’aggravante della premeditazione. Ha anche chiesto l’accesso alla giustizia riparativa, prevista dalla riforma Cartabia, anche senza il consenso della famiglia della vittima. Una proposta respinta con forza dalla Procura generale e dai familiari di Giulia
La sentenza: ergastolo sì, ma “solo” per crudeltà
Il processo d’appello si è chiuso in appena mezza giornata. I giudici, presieduti da Ivana Caputo con a latere la giudice Franca Anelli, hanno confermato l’ergastolo, ma senza premeditazione. Le aggravanti riconosciute restano la crudeltà e il legame affettivo. Le attenuanti generiche – chieste dalla difesa per la confessione e l’aiuto nel ritrovare il corpo – sono state rigettate.
Un caso simbolo dei femminicidi in Italia
Il caso di Giulia Tramontano è diventato simbolo dell’emergenza femminicidi in Italia. Una giovane donna, in dolce attesa, uccisa dal compagno che aveva costruito un “castello di bugie”, come lo ha definito la Procura. E che ha agito con violenza spietata, nel tentativo disperato di salvare solo sé stesso. Ora tutti attendono, con ulteriore curiosità, la lettura tra qualche mese delle motivazioni. Soprattutto per capire come sia stata messo da parte l’aspetto della premeditazione.
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