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Benessere

Dormire con la luce accesa: l’abitudine comune a tanti che è nemica del cuore!

Alcuni trovano conforto nella presenza di una luce soffusa durante la notte, mentre altri potrebbero farlo per necessità pratiche, come la paura del buio o per controllare i bambini. Esaminiamo gli effetti che questa pratica può avere sulla qualità del sonno e sulla salute in generale.

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    Perché alcune persone dormono con la luce accesa?
    La luce può dare un senso di sicurezza e tranquillità, specialmente per chi ha paura del buio. Questo è particolarmente comune tra i bambini, ma anche alcuni adulti trovano rassicurante avere una luce accesa.
    In alcune situazioni, avere una luce accesa può essere pratico, come per chi deve alzarsi frequentemente durante la notte per andare in bagno o per chi ha neonati da accudire.
    Per alcune persone, dormire con la luce accesa è semplicemente una routine a cui sono abituati da tempo.

    È importante trovare un equilibrio tra la necessità di sentirsi sicuri e il bisogno di un sonno riposante. Con alcuni semplici accorgimenti, è possibile migliorare la qualità del sonno senza rinunciare completamente alla luce notturna.

    Gli effetti negativi del dormire con la luce accesa
    Può sembrare innocuo, ma numerosi studi suggeriscono che questa abitudine può avere effetti negativi sulla salute.
    Disregolazione del ritmo circadiano
    La luce, anche se fioca, può interferire con il ritmo circadiano del corpo, il ciclo naturale di sonno-veglia. Questo può portare a disturbi del sonno e difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno.
    Produzione di melatonina ridotta
    La melatonina è un ormone prodotto dal corpo che aiuta a regolare il sonno. La presenza di luce durante la notte può ridurre la produzione di melatonina, rendendo più difficile ottenere un sonno profondo e riposante.
    Qualità del sonno compromessa
    Studi hanno dimostrato che la luce notturna può ridurre la quantità di sonno REM, la fase del sonno che è fondamentale per il riposo mentale e fisico. Questo può portare a sentirsi meno riposati e più stanchi durante il giorno.
    Rischi per la salute
    La mancanza di sonno di qualità può avere effetti a lungo termine sulla salute, inclusi problemi come l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari e problemi di salute mentale come depressione e ansia.

    Come migliorare la qualità del sonno
    Se dormire con la luce accesa è una necessità, ci sono alcune strategie che possono aiutare a mitigare gli effetti negativi.
    Utilizzare luci soffuse e calde
    Se la luce è necessaria, optare per lampade a bassa intensità con luce calda piuttosto che fredda. Le luci calde hanno meno probabilità di interferire con la produzione di melatonina.
    Timer per le luci
    Utilizzare un timer per spegnere automaticamente la luce dopo un certo periodo può essere utile. Questo può fornire il comfort iniziale della luce senza disturbare il sonno durante la notte.
    Maschera per dormire
    Per chi ha bisogno di una luce accesa nella stanza, indossare una maschera per dormire può bloccare la luce e migliorare la qualità del sonno.
    Creare una routine rilassante
    Stabilire una routine serale rilassante può aiutare a ridurre la necessità di luce. Attività come la lettura di un libro con una luce soffusa o la meditazione possono preparare il corpo e la mente al sonno.

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      Benessere

      La tua nuova vita senza lattosio: come cambiare abitudini senza rinunciare al gusto

      Dai sostituti vegetali alle strategie per leggere correttamente le etichette, ecco come affrontare l’intolleranza al lattosio senza stress e senza rinunciare ai piaceri della tavola.

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      vita senza lattosio

        Quando il corpo dice “stop” al lattosio

        Scoprire di non tollerare il lattosio – lo zucchero naturale contenuto nel latte e in molti derivati – può inizialmente sembrare una piccola rivoluzione quotidiana. Secondo i dati dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare), fino al 70% della popolazione mondiale presenta una ridotta capacità di digerirlo. In Italia la prevalenza varia tra il 40 e il 50%, con valori più alti al Sud.

        Il problema nasce da una ridotta produzione di lattasi, l’enzima che scinde il lattosio in glucosio e galattosio. Quando l’enzima è scarso, il lattosio non digerito fermenta nell’intestino, provocando gonfiore, crampi, meteorismo e in alcuni casi diarrea.

        «Ricevere una diagnosi di intolleranza al lattosio non è la fine del mondo – spiega la nutrizionista Dott.ssa Chiara Rossi – ma l’inizio di un nuovo equilibrio alimentare. Oggi esistono alternative sicure e gustose che consentono di mantenere una dieta varia e completa».

        Cosa eliminare (e cosa no)

        La prima reazione, dopo la diagnosi, è spesso quella di bandire completamente latte e formaggi. In realtà, la questione è più sfumata.

        «Non tutte le persone intolleranti reagiscono allo stesso modo – sottolinea Rossi –. Alcuni tollerano piccole quantità di lattosio, soprattutto se assunte insieme ad altri alimenti o in prodotti fermentati». Yogurt e kefir, ad esempio, contengono fermenti lattici che predigeriscono parte del lattosio, rendendoli più digeribili.

        Anche i formaggi stagionati, come Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Pecorino, contengono quantità minime di lattosio e possono essere consumati in moderazione.

        Leggere le etichette: la regola d’oro

        Il lattosio si nasconde dove meno ce lo aspettiamo: in prodotti da forno, salse pronte, salumi, farmaci e integratori. Imparare a leggere le etichette è quindi fondamentale.

        Sulle confezioni, la dicitura “senza lattosio” indica che il contenuto è inferiore allo 0,1%. Se invece compare la scritta “delattosato”, significa che il lattosio è stato scomposto in zuccheri semplici per facilitarne la digestione.

        «Consiglio di tenere un piccolo diario alimentare nelle prime settimane – suggerisce la nutrizionista –. Aiuta a individuare eventuali alimenti “a rischio” e a capire la propria soglia di tolleranza personale».

        Le alternative vegetali e le nuove abitudini in cucina

        Il mercato oggi offre un’ampia gamma di bevande e prodotti vegetali a base di soia, avena, mandorla, cocco o riso, spesso arricchiti di calcio e vitamina D per compensare l’assenza di latte vaccino.

        «Il segreto – spiega Rossi – è variare le fonti vegetali e preferire prodotti non zuccherati. In cucina si possono usare per preparare frullati, besciamelle, dolci o caffè, senza perdere gusto».

        Anche nei dolci fatti in casa, burro e panna possono essere sostituiti da oli vegetali o margarine naturali. E per chi ama il cappuccino? Basta scegliere un latte vegetale con una buona cremosità, come quello d’avena o di soia, che monta facilmente e regala la stessa soddisfazione della versione classica.


        Equilibrio e benessere: la chiave sta nella consapevolezza

        Seguire un’alimentazione lactose free non significa privarsi di tutto, ma imparare a conoscere il proprio corpo e adattare le scelte quotidiane.

        «L’obiettivo è mantenere un buon apporto di calcio, proteine e vitamine – conclude Rossi –. Se necessario, il nutrizionista può consigliare integratori o piani alimentari personalizzati».

        In molti casi, con una dieta bilanciata e una gestione consapevole, i disturbi si riducono drasticamente e il benessere intestinale migliora.

        Una nuova normalità possibile

        Accettare l’intolleranza al lattosio significa semplicemente imparare un nuovo modo di mangiare, più attento e consapevole. Dopo qualche settimana di adattamento, la vita “senza lattosio” non appare più una limitazione, ma una scelta salutare che aiuta a sentirsi meglio e più leggeri.

        Con un po’ di pazienza e curiosità, si scopre che anche un cappuccino con latte d’avena o un dolce con crema di mandorla possono diventare piccoli piaceri quotidiani.

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          Insonnia, l’alleato silenzioso: mindfulness e meditazione per addormentarsi meglio

          Gli studi mostrano che la meditazione riduce stress, ansia e iperattività mentale, tra le principali cause dei disturbi del sonno. Ecco come applicarla a casa con esercizi semplici e sicuri.

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          Insonnia, l’alleato silenzioso: mindfulness e meditazione per addormentarsi meglio

            Difficoltà ad addormentarsi, risvegli notturni, pensieri che corrono come un treno in piena notte: l’insonnia è un problema in aumento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi un terzo degli adulti sperimenta disturbi del sonno significativi almeno una volta nella vita. In Italia, le stime parlano di uno su cinque con insonnia cronica o ricorrente. A risentirne non è solo l’energia al mattino: dormire poco indebolisce memoria, umore, capacità di concentrazione e persino il sistema immunitario.

            Non sorprende, quindi, che si cerchino soluzioni non farmacologiche, soprattutto quando lo stress è il motore principale del problema. Tra queste, la mindfulness — una forma di meditazione basata sulla consapevolezza del momento presente — sta dimostrando efficacia clinica crescente. Studi pubblicati su riviste come JAMA Internal Medicine e Sleep hanno rilevato che programmi di Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) migliorano la qualità del sonno in persone con insonnia lieve o moderata, riducendo i sintomi dell’ansia e diminuendo la latenza dell’addormentamento.

            Perché funziona

            Il meccanismo è semplice nella teoria, meno nella pratica: la mindfulness smonta l’iperattivazione mentale, la stessa che porta a girarsi nel letto per ore.
            Quando si medita, il sistema nervoso riduce l’attività della risposta “lotta o fuggi” e aumenta quella del sistema parasimpatico, collegato al rilassamento. Si abbassano i livelli di cortisolo e rallenta il flusso dei pensieri intrusivi, quelli che iniziano con “domani devo…”.

            Non si tratta di “spegnere” il cervello, ma di spostare l’attenzione: dal rimuginio al respiro, dalle preoccupazioni alle sensazioni del corpo, dal futuro al presente.

            Le tecniche da provare subito

            Ecco alcuni esercizi semplici da fare a casa, senza attrezzature e senza competenze particolari:

            1) Respirazione 4-4-6

            Indicata per rallentare il battito e sciogliere la tensione.

            • inspira dal naso per 4 secondi
            • trattieni l’aria 4 secondi
            • espira lentamente 6 secondi
              Ripetere 4-6 volte.

            2) Body scan

            Distesi, occhi chiusi: si passa mentalmente una “torcia” su ogni parte del corpo, dai piedi alla testa.
            Osserva tensioni e lascia andare senza giudizio.
            Utile per spegnere la ruminazione mentale.

            3) Mindfulness dei suoni

            Attenzione ai rumori circostanti: respiro, silenzio, rumore lontano.
            Accettarli invece di combatterli aiuta a ridurre la reattività allo stress.

            4) Il pensiero-ancora

            Quando arriva un pensiero molesto (“E se domani…?”), invece di inseguirlo:

            • riconoscilo
            • etichettalo: «Ecco un pensiero di preoccupazione»
            • torna al respiro
              È un metodo clinicamente validato per gestire l’ansia notturna.

            Quando praticarla

            La mindfulness non agisce come un interruttore immediato, ma come una palestra mentale: più si allena il cervello, più si abitua a rilassarsi. Bastano 10-15 minuti al giorno, meglio se la sera, in un rituale privo di schermi e luci forti.

            Consigli pratici:

            • Smartphone lontano dal letto
            • Luci calde e ambiente fresco
            • Niente notifiche o contenuti stimolanti prima di dormire
            • Routine regolare: stesso orario per addormentarsi e svegliarsi

            Una cura senza controindicazioni

            Mentre i farmaci per dormire possono generare dipendenza o tolleranza, la mindfulness non ha effetti collaterali rilevanti ed è raccomandata da specialisti del sonno come supporto alle terapie tradizionali. In molti casi, può essere il primo passo prima di ricorrere a cure farmacologiche.

            Quando il disturbo persiste per settimane, però, è importante chiedere aiuto a un medico o a uno specialista del sonno: insonnia, ansia e depressione sono strettamente correlate e non vanno sottovalutate.

            Dormire bene è un’abitudine

            Ascoltare il proprio corpo, imparare a fare spazio alla calma, riconoscere che spegnere il mondo esterno è possibile: sono piccoli gesti che, ripetuti ogni sera, trasformano il sonno da nemico a complice.

            L’insonnia non è una colpa né una condanna.
            È un segnale — e la consapevolezza può diventare la via per spegnerlo dolcemente.

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              Benessere

              Quando “non digerisco bene” non è solo un modo di dire: capire e risolvere la dispepsia

              Pesantezza, gonfiore, bruciore o nausea dopo i pasti: i disturbi digestivi sono tra i più comuni, ma spesso sottovalutati. Dietro una “digestione difficile” possono nascondersi cattive abitudini, stress o patologie come gastrite e reflusso.

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                La digestione difficile: un disturbo comune ma complesso

                A chi non è mai capitato di dire “oggi non digerisco”? Senso di pesantezza, gonfiore addominale, eruttazioni, bruciore o fastidio allo stomaco sono sintomi frequenti che rientrano in quella che i medici definiscono dispepsia. Si tratta di una condizione molto diffusa, che può comparire in modo occasionale dopo un pasto abbondante oppure diventare un problema cronico, indipendentemente da cosa o quanto si mangi.

                Secondo gli specialisti, la dispepsia non ha una sola causa ma nasce da un insieme di fattori legati allo stile di vita, all’alimentazione e, in alcuni casi, a malattie del tratto gastrointestinale.

                Le cause più frequenti: stile di vita e cattive abitudini

                «Spesso i disturbi digestivi sono collegati a comportamenti quotidiani scorretti», spiega Anna Ludovica Fracanzani, direttrice della Struttura complessa di Medicina a indirizzo metabolico del Policlinico di Milano.
                Mangiare in fretta, masticare poco, scegliere cibi troppo grassi, fritti o piccanti, ma anche sdraiarsi subito dopo i pasti o vivere sotto stress sono tutti fattori che rallentano la digestione.

                A questi si aggiungono il consumo eccessivo di alcol, caffè e bevande gassate, che irritano la mucosa gastrica, e l’uso di alcuni farmaci che possono interferire con il funzionamento dello stomaco.

                Quando il disagio dura oltre due o tre settimane, è consigliabile rivolgersi al medico: dietro i sintomi possono nascondersi patologie come gastrite, ulcera, reflusso gastroesofageo o un’infezione da Helicobacter pylori.

                Helicobacter pylori, il batterio “invisibile” che causa problemi

                L’Helicobacter pylori è un batterio che vive nella mucosa dello stomaco: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, un terzo della popolazione mondiale ne è portatore. Nella maggior parte dei casi non provoca sintomi, ma quando diventa patogeno può causare gastrite cronica, ulcera duodenale e, nei casi più gravi, aumentare il rischio di tumore gastrico.

                Per diagnosticarlo si ricorre a test del respiro o delle feci, mentre la terapia consiste in una combinazione di antibiotici e inibitori della secrezione acida, da seguire per un periodo di alcune settimane.

                Intolleranze alimentari: cosa è davvero dimostrato

                Non sempre la cattiva digestione è colpa dello stomaco. Talvolta la causa risiede nell’intestino e riguarda le intolleranze alimentari.
                «Solo due sono scientificamente dimostrabili con test affidabili: celiachia e intolleranza al lattosio», precisa Alessandro Repici, direttore di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva di Humanitas Milano.

                Gli altri test diffusi sul mercato non hanno validazione scientifica.
                In particolare, togliere il latte senza una diagnosi certa può essere dannoso: i latticini sono una fonte importante di calcio e proteine, e molti prodotti, come alcuni formaggi stagionati, sono naturalmente privi di lattosio.

                Il ruolo del fegato e dei segnali da non ignorare

                Anche il fegato può contribuire alla sensazione di digestione lenta o pesantezza post-prandiale. «Alterazioni delle transaminasi o anomalie individuate tramite ecografia possono rivelare disturbi metabolici o biliari», aggiunge Fracanzani.

                I campanelli d’allarme che meritano un controllo medico sono:

                • dimagrimento inspiegabile,
                • difficoltà a deglutire,
                • dolore addominale persistente,
                • ittero (occhi o pelle gialla),
                • sangue nelle feci,
                • cambiamenti improvvisi del ritmo intestinale.

                Disturbi che si presentano anche di notte o dopo pasti leggeri non vanno trascurati.

                Gastroprotettori: tra abuso e paura infondata

                Un altro tema spesso frainteso riguarda i gastroprotettori, cioè i farmaci che riducono l’acidità gastrica. In Italia rappresentano una delle principali voci di spesa sanitaria, ma, come spiega Repici, «vengono usati troppo spesso senza necessità o, al contrario, evitati per paura degli effetti collaterali».

                In realtà, se prescritti dal medico e usati correttamente, sono sicuri e indispensabili per chi soffre di patologie come l’esofago di Barrett, una condizione che può predisporre al tumore dell’esofago e che richiede un trattamento continuativo.

                Prevenire è meglio che digerire

                La buona notizia è che molti disturbi digestivi si possono prevenire con semplici accorgimenti quotidiani:

                • mangiare lentamente, dedicando tempo ai pasti;
                • privilegiare cibi leggeri e poco grassi;
                • evitare alcol e fumo;
                • non sdraiarsi subito dopo aver mangiato;
                • gestire lo stress con attività fisica o tecniche di rilassamento.

                Seguendo queste regole, nella maggior parte dei casi la digestione torna fisiologica. Ma quando i sintomi persistono, non bisogna rassegnarsi: una diagnosi precoce è la chiave per curare efficacemente le cause profonde del problema.

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