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Benessere

Meditazione con le campane tibetane: il suono che riequilibra mente e corpo

Le campane tibetane sono uno strumento antico di meditazione e guarigione: il loro suono armonico agisce sulle frequenze cerebrali, riducendo stress e ansia. Utilizzate nei monasteri buddisti e nella terapia del suono, sono oggi un metodo sempre più diffuso per il rilassamento profondo e il riequilibrio energetico.

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    La meditazione con le campane tibetane è una pratica che utilizza vibrazioni sonore per portare la mente in uno stato di profondo rilassamento. Il suono prodotto da queste campane, realizzate con una lega di metalli, crea onde che influenzano il nostro stato mentale ed emozionale.

    Uso e consumo

    Questo tipo di meditazione viene spesso utilizzato per:

    • Alleviare lo stress e la tensione muscolare
    • Favorire la concentrazione e la lucidità mentale
    • Stimolare l’autoguarigione e il riequilibrio energetico
    • Aiutare il sonno e combattere l’insonnia

    Come funziona?

    Le campane tibetane vengono fatte vibrare con un bastoncino di legno, generando suoni e armonie che risuonano nel corpo. La frequenza di queste vibrazioni influenza il nostro cervello, inducendo stati di rilassamento simili a quelli raggiunti con la meditazione profonda.

    1. Onde alfa (8-14 Hz) → favoriscono il rilassamento e la creatività
      Onde theta (4-8 Hz) → inducono uno stato meditativo profondo
      Onde delta (0,5-4 Hz) → associate al sonno rigenerante e alla guarigione

    L’effetto è un riequilibrio del sistema nervoso, con una sensazione di calma immediata.


    Come praticare la meditazione con le campane tibetane

    1. Trova un posto tranquillo

    Siediti in una posizione comoda, in un ambiente silenzioso e senza distrazioni.

    2. Inizia con un respiro consapevole

    Chiudi gli occhi e fai alcuni respiri profondi per rilassarti.

    3. Suona la campana tibetana

    Usa il bastoncino per colpire delicatamente la campana o strofinalo lungo il bordo per creare una vibrazione continua.

    4. Ascolta e lascia andare i pensieri

    Concentrati sul suono, lasciando che le sue vibrazioni attraversino il corpo e la mente. Se i pensieri emergono, osservali senza giudicarli e riportati al suono.

    5. Concludi con gratitudine

    Dopo 10-15 minuti, lascia sfumare il suono e rimani qualche istante in silenzio prima di riprendere le attività quotidiane.


    Benefici della meditazione con le campane tibetane

    Riduce lo stress e l’ansia → Il suono armonico calma il sistema nervoso e aiuta a rilasciare tensioni.
    Migliora la concentrazione → Ideale per chi studia o lavora sotto pressione.
    Favorisce il sonno → Perfetta per chi soffre di insonnia o ha difficoltà a rilassarsi prima di dormire.
    Equilibra i chakra → Secondo la tradizione orientale, le vibrazioni delle campane allineano i centri energetici del corpo.


    Curiosità: l’antica tradizione delle campane tibetane

    Le campane tibetane hanno origini antichissime, risalenti a oltre 2.500 anni fa. Utilizzate inizialmente dai monaci buddisti per la meditazione, si crede che siano state influenzate dalla tradizione sciamanica dell’Himalaya. Oggi vengono impiegate anche in musicoterapia e pratiche di guarigione energetica.

    Il loro suono è considerato sacro perché richiama l’armonia dell’universo e aiuta a connettersi con il proprio io interiore.

    Hai mai provato la meditazione con le campane tibetane? Il loro suono potrebbe diventare la tua nuova colonna sonora per il relax. 😊

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      Benessere

      Stacca, respira, cammina: il potere della lentezza in un mondo che corre

      Psicologi e coach lo ripetono da mesi: serve rallentare. E per stare meglio, a volte basta fare meno, dormire di più e concedersi una passeggiata senza meta

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        Siamo entrati nell’estate con i nervi a pezzi. Dicono che sia la stagione del relax, delle pause, della leggerezza. Ma per molti – troppi – è solo un altro capitolo di un libro già faticoso: quello del burnout permanente. Lavoro da finire prima di partire, figli da gestire h24, vacanze da organizzare come un evento aziendale. E quando si arriva finalmente al mare, o in montagna, o anche solo al weekend, si è talmente stanchi da non sapere nemmeno più cosa voglia dire “rilassarsi”.

        Eppure, il nostro corpo lo sa. Il nostro cervello lo sa. Ce lo chiede da tempo, con segnali che ignoriamo finché non diventano mal di testa, insonnia, irritabilità o quella stanchezza che non se ne va neanche dopo dieci ore di sonno. Perché non è il corpo ad essere sfinito, è la mente. E l’unica vera cura – ormai lo dicono anche le neuroscienze – è rallentare. Ma sul serio.

        La buona notizia è che rallentare non significa scomparire nel deserto per settimane. Né fuggire su un’isola greca con il cellulare spento (anche se, diciamolo, sarebbe magnifico). A volte basta molto meno. Bastano micro-pause consapevoli: una passeggiata lenta senza auricolari. Un pranzo senza scrollare lo smartphone. Un bagno caldo senza interruzioni. Un pomeriggio sul divano senza sensi di colpa. O anche solo cinque minuti per chiudere gli occhi e respirare, davvero, come se ogni respiro fosse un atto di cura.

        Le chiamano “vacanze mentali”, e sono diventate un’ancora di salvezza per chi non può permettersi un mese alle Maldive ma ha urgente bisogno di recuperare lucidità e benessere. I terapeuti lo spiegano chiaramente: il cervello ha bisogno di vuoto. Di tempi morti, di riposo attivo. Di attività lente, ripetitive, prive di scopo. Una camminata in mezzo al verde. Un puzzle. Lavorare a maglia. Annaffiare le piante. Fare il pane. Piccoli riti che sembrano inutili ma nutrono la mente.

        Ecco perché sempre più persone scelgono vacanze diverse, in luoghi silenziosi, magari senza connessione. O si regalano ritiri di meditazione, soggiorni in agriturismi senza Wi-Fi, persino weekend in silenzio totale. Non per moda, ma per necessità. Per sentire di nuovo la propria voce interiore, soffocata dai mille stimoli di ogni giorno.

        Secondo uno studio dell’Università di Harvard, le persone che praticano consapevolmente la lentezza – anche solo per 30 minuti al giorno – ridimensionano l’ansia del 40%, migliorano la qualità del sonno e aumentano la capacità di concentrazione. Non serve diventare asceti o esperti di mindfulness: basta iniziare da piccoli gesti. Spegnere le notifiche. Uscire senza meta. Dire qualche “no” in più. E smettere di credere che la produttività sia l’unico metro con cui misurare il nostro valore.

        L’estate, con il suo sole impietoso e le sue aspettative altissime, può diventare una trappola. Ma può anche essere un’occasione. Un momento per fare pace con la lentezza, quella vera. Perché fermarsi non è fallire. È respirare, ricentrarsi, tornare a sé.

        E magari scoprire che non serve cambiare continente per ritrovare un po’ di serenità. A volte basta camminare piano, in una strada familiare, senza fretta. Guardare le cose che ci sono sempre state. Lasciar andare quello che ci pesa. E concedersi il lusso – raro, prezioso, rivoluzionario – di non fare nulla.

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          Benessere

          Camminare tra i boschi fa bene al corpo e alla mente: perché le passeggiate in montagna sono il rimedio estivo perfetto

          Fare trekking o anche solo camminare lentamente tra alberi e ruscelli non è solo un passatempo estivo, ma un vero alleato per il benessere psico-fisico. Ecco perché ogni passo in montagna ci fa sentire subito meglio.

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            C’è chi sogna la spiaggia, chi il silenzio delle vette. E chi ha capito che, d’estate, le passeggiate in montagna sono il modo più semplice per ritrovare se stessi. Camminare tra pini, faggi, prati fioriti e sentieri che si arrampicano dolcemente verso l’azzurro fa bene. Non solo perché si bruciano calorie, ma perché si sciolgono i pensieri, si regolarizza il sonno e si ricaricano le batterie interiori.

            I benefici di camminare in montagna sono molteplici e immediati. Primo: si abbassa la pressione, si migliora la circolazione e si tonificano gambe e glutei. Secondo: si stimola la produzione di endorfine, gli ormoni del buonumore. Terzo: ci si riconnette con la natura, quella vera, che non urla, non lampeggia e non vibra in tasca.

            Bastano 40 minuti di camminata nei boschi, secondo uno studio dell’Università di Kyoto, per ridurre i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. E chi prova l’esperienza del “forest bathing”, l’immersione consapevole tra gli alberi, racconta una sensazione di leggerezza difficile da spiegare.

            In più, camminare all’ombra degli abeti è un’ottima alternativa per chi soffre il caldo: a mille metri, la temperatura può scendere anche di dieci gradi rispetto alla città. E mentre i muscoli si muovono, la mente si quieta. Perché il sentiero non impone risultati, ma offre orizzonti. E insegna che il vero traguardo è il tragitto.

            Che sia una camminata lenta tra i larici, un’escursione con bastoncini da nordic walking o una semplice salita al rifugio per un piatto caldo e una vista mozzafiato, poco importa: la montagna fa bene. E d’estate, è l’antidoto più naturale contro stress, sedentarietà e temperature che non danno tregua.

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              Benessere

              Quello che fai il giorno del tuo compleanno racconta molto della tua infanzia

              C’è chi lo aspetta per mesi e chi vorrebbe cancellarlo dal calendario. Ma dietro al modo in cui vivi il tuo compleanno si nasconde, spesso, una ferita emotiva irrisolta.

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                Il giorno del compleanno. Per alcuni è il momento più atteso dell’anno, per altri una data da ignorare come fosse un lunedì qualsiasi. In mezzo, una miriade di sfumature emotive: entusiasmo, disagio, indifferenza. Ma secondo la terapeuta francese Laetitia André, il modo in cui scegliamo di celebrare (o evitare) questa ricorrenza parla chiaro: ci dice qualcosa sulla nostra infanzia, sulle mancanze, sulle ferite, sugli amori condizionati. È una data che non segna solo il tempo, ma anche i solchi più profondi della memoria.

                Se organizzi tutto nei minimi dettagli

                Se per te il compleanno è un evento sacro, lo pianifichi mesi prima e metti in moto un’intera macchina organizzativa – tra inviti su WhatsApp, evento privato su Facebook, tovaglie delle grandi occasioni e bicchieri in cristallo ereditati dalla nonna – allora potresti non essere semplicemente un’anima festaiola. Forse stai colmando un vuoto. Forse cerchi, ogni anno, di riscrivere un finale diverso per quel giorno che da bambino non è mai stato come lo volevi.

                La terapeuta spiega che questo desiderio quasi ossessivo di perfezione può nascondere una delusione antica: la sensazione che, se non ti ci metti tu, nessuno si prenderà la briga di festeggiarti davvero. E magari, in fondo al cuore, sogni ancora di entrare in casa e trovare amici saltare fuori da dietro il divano, con cappellini a punta e trombette dorate. Ma non succede, quindi prendi il controllo. Ti trasformi nell’organizzatore del tuo stesso tributo. Perché sentirsi celebrati, per una volta, ti fa sentire importante.

                Se quel giorno ti mette a disagio

                All’estremo opposto ci sono quelli che, più che soffiare sulle candeline, vorrebbero soffiar via direttamente la data dal calendario. Ricevere troppi messaggi li imbarazza, una festa li stanca, e l’arrivo del dolce davanti a tutti è il momento peggiore: guance rosse, sguardo basso, voglia di scomparire sotto il tavolo. Preferiscono qualcosa di intimo, essenziale. Un caffè con pochi amici, o nulla del tutto.

                Anche qui, non è solo una questione di carattere. Spesso il disagio nasce da un passato costellato di aspettative deluse, compleanni rovinati da litigi in famiglia, promesse mai mantenute, regali dimenticati. E allora oggi, da adulti, si prova una sorta di allarme emotivo ogni volta che si avvicina quella data. Non perché non si voglia essere amati, ma perché non ci si sente mai completamente al sicuro, nemmeno nel giorno in cui si dovrebbe brillare.

                Se lo ignori del tutto

                Poi ci sono i più radicali. Quelli che odiano il proprio compleanno. Che evitano sistematicamente sorprese, si tengono lontani dalle chat di auguri e non rispondono nemmeno ai messaggi affettuosi. “Non festeggio mai, è una sciocchezza commerciale” – dicono. Ma spesso dietro questo disincanto si nasconde qualcosa di più profondo. Un meccanismo di difesa, un tentativo di anestetizzare il dolore legato a quel giorno.

                Forse da piccoli erano trasparenti, o trascurati. Forse hanno vissuto promesse non mantenute, feste improvvisate e mal riuscite, o – peggio – nemmeno quello. E allora, da grandi, scelgono l’indifferenza come armatura emotiva. È il loro modo di non rischiare di essere delusi, ancora una volta.

                Se adori festeggiare quelli degli altri (ma non il tuo)

                C’è un’altra categoria silenziosa, quella delle anime generose. Quelle che per gli altri organizzano party, trovano il catering perfetto, preparano decorazioni a mano, scelgono la musica giusta. Sono i registi delle feste altrui, sempre con il sorriso. Ma quando arriva il loro turno? Spariscono. “No dai, non serve… facciamo un brindisi e basta”.

                Secondo Laetitia André, anche questo atteggiamento può affondare le radici nell’infanzia. In un’educazione in cui non si è mai stati messi al centro, in cui celebrare sé stessi sembrava un lusso da non concedersi, un gesto “egoista”. Chi cresce con questa idea, impara a farsi da parte, a credere di non meritare le luci della ribalta. Preferisce donare, che ricevere. Eppure, in fondo, ha solo bisogno di sentirsi visto.


                Quindi, cosa fare?

                La buona notizia è che il rapporto col proprio compleanno non è una condanna scritta nella pietra. È uno specchio, sì. Ma anche un’occasione per conoscersi meglio. Ogni volta che arriva quella data, puoi provare a riscriverla. Non per adeguarti a ciò che “si dovrebbe fare”, ma per onorare la persona che sei diventato.

                Un piccolo rito in solitudine, una festa rumorosa, un picnic con chi ami. Non importa il formato, importa il significato. Il compleanno può tornare a essere una cosa tua. Un’occasione per dirti – anche sottovoce – che conti. Che sei qui. E che non hai bisogno di essere perfetto per meritarti una torta.

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