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Beauty

Scopri il segreto della spazzolatura a secco

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    La spazzolatura a secco è un antico rituale di bellezza che ha origini lontane nel tempo, risalendo addirittura agli antichi egizi e greci. Questa pratica coinvolge l’uso di una spazzola con setole naturali, di solito in legno o bambù. Si usa per massaggiare delicatamente la pelle asciutta prima del bagno o della doccia.

    Uno dei principali benefici della spazzolatura a secco è l’esfoliazione della pelle. Le setole della spazzola aiutano a rimuovere le cellule morte della pelle, lasciando la pelle più liscia e luminosa. Inoltre, questo processo stimola la circolazione sanguigna e linfatica, favorendo il drenaggio delle tossine e riducendo il gonfiore.

    La spazzolatura a secco può essere particolarmente efficace per migliorare l’aspetto della pelle irregolare, ridurre la cellulite e prevenire i pori ostruiti. Inoltre, molte persone trovano che questo rituale aiuti a ridurre lo stress e aumentare il livello di energia, grazie alla sua azione rinfrescante e rivitalizzante.

    La tecnica corretta per la spazzolatura a secco coinvolge movimenti leggeri e circolari su tutto il corpo, in genere in direzione del cuore per favorire il drenaggio linfatico. È importante essere delicati, specialmente sulle aree sensibili o irritate della pelle, e evitare di spazzolare troppo vigorosamente.

    La spazzolatura a secco può essere integrata nella tua routine di cura della pelle una o due volte a settimana, a seconda delle esigenze della tua pelle e della tua sensibilità personale. È importante utilizzare una spazzola appositamente progettata per questo scopo e sostituirla regolarmente per garantire un’efficacia ottimale.

    In conclusione, la spazzolatura a secco è un rituale di bellezza antico e affidabile che offre una serie di benefici per la pelle e il benessere generale. Aggiungere questa pratica alla tua routine può aiutarti a ottenere una pelle più luminosa, tonica e sana.


    È una buona pratica consultare il proprio medico prima di iniziare qualsiasi nuova routine di cura della pelle, inclusa la spazzolatura a secco. Se hai preoccupazioni specifiche sulla tua pelle o sulle condizioni di salute, il tuo medico sarà in grado di fornirti consigli personalizzati e indicazioni su come procedere in modo sicuro ed efficace.

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      Benessere

      Craving, il desiderio che accende il cervello: capire e gestire la spinta alla dipendenza

      Dalle sostanze ai comportamenti compulsivi, il craving è un bisogno improvviso e intenso che può riaccendere la dipendenza anche dopo anni di astinenza. Le neuroscienze spiegano perché nasce e come affrontarlo con strategie terapeutiche mirate.

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      Craving

        Un impulso che parte dal cervello

        In psicologia clinica, il termine craving indica un desiderio intenso, quasi irresistibile, di assumere una sostanza o di ripetere un comportamento che in passato ha generato piacere o sollievo. È un’esperienza comune nei disturbi da uso di sostanze — come alcol, nicotina, cocaina o oppiacei — ma anche nelle dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo, il cibo o l’uso compulsivo di internet.

        A livello biologico, il craving è una risposta del cervello ai sistemi di ricompensa, governati da neurotrasmettitori come dopamina e serotonina. Queste sostanze chimiche regolano la motivazione, il piacere e la memoria emotiva: quando vengono alterate da un’esperienza di forte gratificazione, il cervello “impara” ad associare quella sensazione a un segnale di benessere immediato, creando una traccia difficile da cancellare.

        Perché si manifesta anche dopo molto tempo

        Uno degli aspetti più insidiosi del craving è la sua capacità di riemergere anche dopo anni di astinenza. Gli stimoli che lo innescano — un odore, una canzone, un luogo o un’emozione — riattivano la memoria della gratificazione passata. Gli esperti parlano di “memoria del piacere”, una sorta di scorciatoia che il cervello utilizza nei momenti di stress o vulnerabilità emotiva.

        Secondo il National Institute on Drug Abuse (NIDA), questa riattivazione può avvenire per via di cambiamenti duraturi nei circuiti neuronali, in particolare nell’amigdala e nella corteccia prefrontale, aree coinvolte nel controllo delle emozioni e nelle decisioni razionali.

        Il craving, dunque, non è un segno di debolezza o mancanza di volontà, ma una reazione fisiologica di adattamento. Comprenderlo in questa chiave è essenziale per ridurre il senso di colpa e favorire un approccio terapeutico più realistico e compassionevole.

        Come si affronta: strategie e terapie

        Gestire il craving richiede un lavoro su più livelli. Le tecniche cognitivo-comportamentali aiutano a riconoscere i pensieri automatici e a sostituirli con risposte più consapevoli. Il mindfulness training — ossia la consapevolezza del momento presente — si è dimostrato efficace nel ridurre l’intensità dell’impulso, così come l’esercizio fisico regolare, che stimola la produzione naturale di dopamina e endorfine.

        Ma da solo, il controllo mentale non basta. Nelle fasi iniziali dell’astinenza, è fondamentale il supporto di professionisti e di una rete terapeutica integrata, che includa psicologi, psichiatri e gruppi di sostegno. Gli interventi farmacologici — come quelli che modulano i recettori dopaminergici o serotoninergici — possono ridurre l’urgenza del desiderio e migliorare l’aderenza ai percorsi di disintossicazione.

        Dal controllo alla consapevolezza

        Superare il craving non significa eliminarlo del tutto, ma imparare a riconoscerlo e gestirlo. Gli specialisti dell’Istituto Europeo delle Dipendenze (IEuD) sottolineano che monitorare gli episodi, annotare i fattori scatenanti e parlarne apertamente aiuta a “ridurre il potere” dell’impulso. Con il tempo, la persona costruisce una nuova relazione con sé stessa e con le proprie emozioni, trasformando il bisogno in conoscenza di sé.

        La chiave, quindi, non è reprimere il desiderio, ma comprenderlo: solo così si può spezzare il legame tra impulso e azione. In questa prospettiva, la libertà non coincide con l’assenza di craving, ma con la capacità di scegliere consapevolmente come rispondere a esso.

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          Benessere

          Melatonina sotto esame: un nuovo studio mette in dubbio la sua sicurezza a lungo termine

          Secondo i dati presentati all’American Heart Association, l’uso prolungato di integratori di melatonina sarebbe associato a un aumento del rischio di insufficienza cardiaca e mortalità. Gli esperti invitano però alla cautela: i risultati sono preliminari e non dimostrano un rapporto di causa-effetto.

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          Melatonina

            La melatonina è spesso vista come un alleato naturale del sonno: un ormone che il cervello produce spontaneamente e che regola il nostro ritmo circadiano, aiutando l’organismo a distinguere il giorno dalla notte. Non stupisce, quindi, che milioni di persone nel mondo la assumano sotto forma di integratore per combattere insonnia, jet lag o disturbi del ritmo sonno-veglia. Ma una nuova ricerca americana invita a rivedere questa percezione di totale innocuità.

            Durante il congresso annuale dell’American Heart Association (AHA), un team della SUNY Downstate Health Sciences University ha presentato uno studio osservazionale che collega l’uso prolungato di melatonina a un aumento dei rischi cardiovascolari. L’analisi ha preso in esame oltre 130.000 pazienti con diagnosi di insonnia, confrontando chi aveva assunto l’ormone per almeno un anno con chi non ne aveva mai fatto uso.

            I risultati hanno destato sorpresa: chi assumeva melatonina da più di dodici mesi mostrava un rischio superiore del 90% di sviluppare insufficienza cardiaca, una probabilità di ricovero triplicata per lo stesso motivo e una mortalità complessiva doppia rispetto agli altri pazienti.

            “Gli integratori di melatonina sono percepiti come sicuri e naturali,” ha spiegato Ekenedilichukwu Nnadi, autore principale della ricerca. “Per questo motivo siamo rimasti colpiti nel riscontrare un aumento così coerente e marcato di eventi cardiaci gravi, anche dopo aver corretto i dati per altri fattori di rischio.”

            Un ormone utile, ma da non banalizzare

            La melatonina è prodotta naturalmente dalla ghiandola pineale, e la sua secrezione aumenta con l’oscurità, segnalando all’organismo che è ora di dormire. Gli integratori che la contengono sono di libera vendita in molti Paesi, inclusa l’Italia, e vengono consigliati per brevi periodi. Le linee guida mediche raccomandano infatti di non prolungarne l’assunzione oltre due o tre mesi consecutivi, poiché non sono ancora noti gli effetti a lungo termine.

            In molti casi, l’uso eccessivo o improprio della melatonina nasce dalla convinzione che, trattandosi di una sostanza “naturale”, non possa fare male. Ma come ricordano i medici, anche un ormone endogeno può alterare delicati equilibri fisiologici se assunto in dosi o tempi non adeguati.

            Cautela nell’interpretare i risultati

            Nonostante i dati dello studio siano stati accolti con interesse, gli esperti invitano alla prudenza. La ricerca, infatti, non è ancora stata pubblicata su una rivista scientifica con revisione tra pari (peer review) e presenta limiti metodologici significativi. In particolare, non è possibile escludere che i pazienti che assumono melatonina abbiano disturbi del sonno più gravi o altre condizioni preesistenti che aumentano di per sé il rischio di problemi cardiaci.

            “È possibile che l’insonnia cronica, la depressione o l’ansia abbiano un ruolo confondente,” ha precisato Nnadi. “Serviranno ulteriori indagini per capire se la melatonina abbia un effetto diretto sul cuore o se la correlazione osservata sia solo apparente.”

            Cosa significa per chi la assume

            Per chi utilizza la melatonina saltuariamente, non ci sono motivi di allarme immediato. Gli esperti consigliano tuttavia di consultare sempre il medico prima di assumere integratori per periodi lunghi o in presenza di patologie cardiovascolari. Inoltre, ricordano che la qualità del sonno dipende anche da abitudini quotidiane come l’esposizione alla luce naturale, l’alimentazione e la gestione dello stress.

            In attesa di conferme scientifiche più solide, il messaggio degli specialisti è chiaro: anche quando si tratta di sostanze “naturali”, la prudenza è la miglior alleata della salute.

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              Benessere

              Addormentarsi in due minuti: il metodo militare che promette sonni rapidi e profondi

              Rilassamento muscolare, respirazione lenta e visualizzazione: i tre passaggi del metodo “militare” spiegati dalla scienza. Gli esperti, però, invitano alla cautela: dormire bene non è solo questione di tecnica.

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              Addormentarsi in due minuti

                Capita a molti: ci si infila a letto stanchi, gli occhi bruciano per la giornata lunga, ma il sonno non arriva. Si gira, ci si rigira, si guarda l’orologio, e più ci si sforza di dormire, più il cervello resta sveglio. In Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, un adulto su tre dorme meno di quanto dovrebbe e circa uno su sette lamenta una qualità del sonno insoddisfacente. Non stupisce, quindi, che sui social spopoli ogni metodo che promette un addormentamento rapido. Tra questi, quello che molti chiamano “metodo militare” è diventato virale: una tecnica che – almeno in teoria – permetterebbe di addormentarsi in due minuti, ovunque ci si trovi.

                Un metodo da caserma (ma utile anche a casa)

                La tecnica è stata resa popolare da diversi manuali di addestramento dell’esercito americano e ripresa, più di recente, dal professor Dean J. Miller, docente di Scienze della salute alla CQUniversity Australia e studioso dei disturbi del sonno. Miller ha collaborato con militari e atleti per ottimizzare il riposo in condizioni estreme, e ha descritto i tre passaggi fondamentali del metodo.

                1. Rilassamento muscolare progressivo. Serve a sciogliere le tensioni fisiche, tra le principali nemiche del sonno. Si parte dal viso — rilassando fronte, mandibola e occhi — e si prosegue con spalle, braccia, torace e gambe.
                2. Respirazione controllata. Inspirare lentamente e espirare in modo più lungo aiuta a calmare il sistema nervoso, rallentando il ritmo cardiaco.
                3. Visualizzazione. Immaginare un ambiente tranquillo — una spiaggia, un prato, un cielo notturno — distoglie la mente dai pensieri intrusivi che tengono svegli.

                L’obiettivo è quello di indurre uno stato di rilassamento profondo, simile a quello che precede naturalmente l’addormentamento.

                Cosa dice la scienza del sonno

                Il metodo militare non è una magia, ma condivide alcuni principi con la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia (CBT-I), la più efficace secondo la comunità scientifica. Entrambe puntano a ridurre l’ansia da prestazione legata al sonno e a ristabilire un’associazione positiva tra letto e riposo.

                La CBT-I, ad esempio, incoraggia a coricarsi solo quando si è assonnati, evitare l’uso del cellulare o altre attività a letto, mantenere orari regolari e creare un ambiente rilassante. Anche pratiche come mindfulness, respirazione lenta e rilassamento muscolare sono parte integrante dei protocolli terapeutici.

                “Il metodo militare funziona per alcune persone perché agisce su mente e corpo contemporaneamente,” spiega Miller. “Ma non è una soluzione miracolosa, e i risultati dipendono molto dalle abitudini quotidiane e dallo stress personale.”

                Funziona davvero? Dipende da noi

                Nonostante il nome, non serve una disciplina da soldato per provarlo. Tuttavia, gli esperti mettono in guardia da aspettative irrealistiche: addormentarsi in due minuti non è alla portata di tutti, soprattutto se si conduce una vita stressante o si soffre di insonnia cronica.

                La Sleep Foundation ricorda che impiegare 10-20 minuti per addormentarsi è perfettamente normale, mentre riuscirci in meno di cinque minuti potrebbe indicare eccessiva stanchezza o deprivazione di sonno.

                Provare il metodo militare non comporta rischi e può essere un buon esercizio di rilassamento. Ma se la difficoltà ad addormentarsi diventa persistente, la soluzione migliore resta rivolgersi a uno specialista del sonno.

                Dormire bene è (ancora) una questione di equilibrio

                Non esistono trucchi universali per dormire subito: il segreto è costruire nel tempo una routine serena, costante e coerente con i ritmi naturali del corpo. Ridurre caffeina e alcol, limitare l’uso dei dispositivi elettronici prima di dormire, e creare un ambiente buio e silenzioso restano le basi di una buona igiene del sonno.

                Perché, anche se il metodo militare promette risultati lampo, il vero riposo si conquista con costanza, non con la velocità.

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