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Sic transit gloria mundi

La Santanché e le Birkin “tarocche”: in Versilia lo sanno tutti, tranne lei

Daniela Santanché nega tutto e minaccia querele, ma a Forte dei Marmi in molti giurano di conoscere da anni la sua passione per le borse Hermès tarocche. Dopo le dichiarazioni di Francesca Pascale, Selvaggia Lucarelli raccoglie testimonianze di chi sostiene di averla vista trattare prezzi e modelli. E mentre la ministra delle Imprese e del Made in Italy si indigna, il mercato parallelo del lusso ringrazia per l’inaspettata pubblicità.

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    Daniela Santanché ha deciso: querela Il Fatto Quotidiano. Perché la notizia delle borse false regalate a Francesca Pascale sarebbe – parole sue – “l’unico falso in questa storia”. Un’affermazione decisa, da donna di carattere. Peccato che l’unico dettaglio che stona in questa fermezza sia il piccolo esercito di persone che da Forte dei Marmi a Milano giura di sapere da anni della sua predilezione per le Hermès tarocche.

    A lanciare il sasso è Selvaggia Lucarelli, che torna sulla vicenda con un’intervista a Mauro, detto Maradona, ambulante della Versilia che, tra un mojito e un selfie con i turisti, si è ritagliato un business di nicchia nel mercato del lusso contraffatto. “Tu mi fai la Postepay, la ricarica, mi dici quale vuoi e io te la spedisco, in un giorno ce l’hai”, racconta con la disinvoltura di un CEO della moda parallela. “Ho le mini Kelly, qualche Birkin, Gucci, Prada, YSL, ma anche Chanel, Rolex, anelli di Bulgari!”.

    Per 350 euro si porta a casa una borsa “perfettissima”, garantisce lui, il che per la ministra delle Imprese e del Made in Italy (esatto, proprio quel dicastero) suona quasi come un contrappasso dantesco.

    Ma mentre la ministra s’indigna e minaccia battaglie legali, c’è un piccolo problema: in Versilia, la storia delle borse false non è affatto una novità. Anzi, pare sia quasi folclore locale.

    Forte dei Marmi mormora: “Ma di che si stupisce?”

    Il problema, come fa notare Lucarelli, è che mentre Santanché si straccia le vesti e minaccia querele, gli habitué di Forte dei Marmi fanno spallucce. “Le comprava da un ragazzo di colore a Forte”, racconta B. “Me le aveva proposte anche a me, dicendomi ‘le compra pure la Santanché’!”.

    Un’altra fonte, A., conferma: “C’era un ragazzo che procurava le borse false su ordinazione. Le signore benestanti della Versilia lo sapevano tutte”. E ancora C.: “Il ragazzo che gliele vendeva è tornato in Senegal, ma qui tutti sapevano che era una sua affezionata cliente”.

    L’apice arriva con il gossip di T., che precisa: “Ne ha qualcuna vera, quelle che le ha regalato Sallusti. Ma il resto? Al Twiga tira le tende e contratta”. Il che regala un’immagine del luxury shopping degna di un suk marocchino più che di Rue du Faubourg Saint-Honoré.

    E per i più scettici, ecco L., che si qualifica come esperta in controllo qualità luxury: “Una delle sue Birkin 25 ha due o tre punti tarocchi”. Ma il pezzo forte lo sgancia G.: “A Forte lo sapevamo tutti. Bamba, il suo rivenditore di fiducia, gliele portava direttamente a casa”.

    Insomma, la voce popolare non ha dubbi: la Santanché sarebbe stata una cliente affezionata del mercato parallelo delle borse di lusso. Peccato che lei neghi tutto con l’ardore di chi difende la propria onorabilità contro il perfido mondo dell’informazione indipendente.

    L’arte della negazione selettiva

    Il problema non è tanto la questione delle borse false – chi non si è mai lasciato tentare, almeno una volta, da una patacca ben fatta? Il vero tema è l’ipocrisia. Perché se Santanché fosse una comune signora appassionata di Hermès e simili, la storia finirebbe lì, tra una risata e qualche battuta sulle mode estive della Versilia. Ma qui parliamo di una ministra. E non di un ministero qualsiasi, ma di quello delle Imprese e del Made in Italy.

    Ovvero, il dicastero che dovrebbe proteggere l’eccellenza del lusso italiano, combattere la contraffazione e tutelare la filiera delle grandi maison. Un ruolo che stride parecchio con l’idea di una sua presunta passione per le repliche da spiaggia.

    Eppure, Santanché non ci sta. Non nega solo l’episodio specifico della Pascale, ma anche il fatto stesso che qualcuno possa associarla a un simile mercato. Con toni perentori, dichiara che querelerà chiunque diffonda la notizia. Eppure, c’è una strana contraddizione: perché prendersela con Il Fatto Quotidiano e con Selvaggia Lucarelli, non con Francesca Pascale, che non solo ha raccontato tutto, ma ha pure confermato l’accaduto ad Huffington Post con un memorabile: “Poi dicono i napoletani. Che figura di merda…”.

    Forse perché prendersela con un giornale è più facile che querelare un’ex fidanzata di Berlusconi, una che certo non ha paura di dire le cose in faccia?

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      Santa Rita De Crescenzo vergine e martire (del trash televisivo e dei suoi stessi followers)

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        Ogni epoca ha i suoi santi. Noi, che non ci facciamo mancare nulla, abbiamo Rita De Crescenzo: patrona delle punturine di acido ialuronico, del silicone spacciato per estetica e dei monologhi social che neppure alla recita dell’asilo. «Ho paura, basta odio, basta violenza mediatica», piagnucola oggi la tiktoker partenopea, appena il sindaco di Castel Volturno le ha cancellato uno show. Una Madonna del trash che si immola sull’altare della visibilità, con tanto di rosario fatto di stories Instagram.

        Il problema, però, non è lei. È la folla che l’applaude. Migliaia di followers che la venerano nonostante accuse di spaccio per conto del clan Elia, minacce a un deputato («Devo essere il tuo incubo, è arrivata l’ora che ti distrugga io»), video dove la cultura del nulla diventa linguaggio quotidiano. Santa Rita del degrado non canta, non balla, non recita. Non sa fare assolutamente niente, eppure è riuscita a trasformare l’ignoranza in un titolo di studio, il pressapochismo in curriculum, l’urlato in vangelo.

        La sua difesa? «Sono una donna, una madre, una persona come tutte le altre». Tutte le altre chi? Quelle che fanno dei filtri TikTok un manifesto politico? Quelle che credono che il talento consista nel mettersi una minigonna fluorescente e ripetere frasi sconnesse in diretta?

        Il miracolo è che funziona: più la criticano, più sale. Più le istituzioni le chiudono le porte, più diventa martire. È la beatificazione trash: non serve saper cantare, scrivere, pensare. Serve piangere davanti a una telecamera, gonfiare le labbra fino a sembrare canotti e agitare le mani in aria come se fossero ali d’angelo caduto.

        Chi la segue, in fondo, non cerca un’artista. Cerca un’icona dell’idiozia elevata a forma d’arte, un simbolo che rassicura: “se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io”. E infatti ce l’ha fatta. A diventare il monumento vivente di un Paese che si inchina al nulla e lo incorona.

        Meritiamo l’estinzione? Sicuramente. Ma tranquilli: prima dell’apocalisse ci sarà la sua prossima diretta online di Santa Rita, e sarà sold out.

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          Sic transit gloria mundi

          Caso Epstein, Melania Trump pronta a chiedere oltre un miliardo a Hunter Biden: “Accuse false e diffamatorie”

          Melania Trump ha minacciato una causa miliardaria contro Hunter Biden per aver dichiarato che sarebbe stato Epstein a presentarla al marito. Intanto i democratici puntano il dito sul trasferimento di Ghislaine Maxwell in un carcere meno severo.

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            Melania Trump è passata al contrattacco. La first lady americana ha annunciato l’intenzione di fare causa a Hunter Biden, chiedendo un risarcimento da oltre un miliardo di dollari, dopo che il figlio del presidente ha affermato che sarebbe stato Jeffrey Epstein – il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori – a presentarla a quello che poi sarebbe diventato suo marito. Una ricostruzione definita dai legali di Melania “falsa, denigratoria, diffamatoria e provocatoria”.

            Le dichiarazioni di Biden risalgono a un’intervista di inizio mese, in cui aveva ripercorso i rapporti tra il presidente e il miliardario pedofilo, sottolineando vecchie frequentazioni poi interrotte “agli inizi degli anni Duemila”, come lo stesso Trump ha sempre sostenuto.

            Ma la vicenda non si ferma qui. I democratici della Commissione Giustizia della Camera hanno sollevato un polverone sul trasferimento di Ghislaine Maxwell – ex compagna e complice di Epstein – in un carcere federale del Texas con regime meno restrittivo. La donna, condannata a 20 anni, era detenuta a Tallahassee, in Florida, ma è stata spostata subito dopo un incontro con il vice procuratore generale Todd Blanche.

            Secondo il deputato Jamie Raskin, leader dei democratici in Commissione, il trasferimento “offre maggiore libertà ai detenuti” e “prima di questo caso era categoricamente vietato per chi fosse condannato per molestie sessuali”. In una lettera al procuratore generale Pam Bondi e al direttore del Bureau of Prisons William K. Marshall, Raskin parla di “preoccupazioni sostanziali” su possibili pressioni per indurre Maxwell a fornire una testimonianza favorevole al presidente, “violando le stesse politiche federali”.

            Un’accusa che, in un contesto già incandescente, riaccende i riflettori sul nodo più imbarazzante per la Casa Bianca: i rapporti passati tra il presidente e Jeffrey Epstein.

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              Il Senato salva Sangiuliano dal processo per la “chiave di Pompei”: 112 voti bastano a fermare l’accusa di peculato

              Il caso ruotava attorno al simbolico omaggio di Pompei finito in un regalo privato. La Giunta per le immunità ha riconosciuto l’atto come compiuto nell’interesse pubblico e non come reato ordinario. I legali dell’ex ministro ricordano che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che la chiave era stata acquistata e pagata, diventando sua proprietà.

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                Palazzo Madama ha fatto scudo all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, bloccando il processo per peculato che rischiava di aprirsi attorno alla “chiave d’onore” di Pompei. Con 112 voti favorevoli e 57 contrari, l’aula del Senato ha respinto l’autorizzazione a procedere, accogliendo la linea della Giunta per le immunità: il gesto di donare la chiave a Maria Rosaria Boccia non costituirebbe reato ordinario, ma un atto riconducibile all’esercizio della funzione di governo e al perseguimento di un interesse pubblico preminente.

                La vicenda aveva incuriosito l’opinione pubblica nei mesi scorsi, trasformandosi in un caso mediatico: la chiave, simbolo del legame con la città archeologica, era stata regalata dall’ex ministro a una conoscente, scatenando polemiche e sospetti di appropriazione indebita. I difensori di Sangiuliano hanno sempre sostenuto la piena legittimità dell’operazione, ricordando che la Procura aveva già chiesto l’archiviazione e che, tramite la procedura prevista dalla legge, l’ex ministro aveva acquistato e pagato l’oggetto, diventandone il proprietario a tutti gli effetti.

                Il voto in aula è arrivato dopo una giornata di interventi accesi, tra ironie e schermaglie politiche. Il leghista Gian Marco Centinaio ha scherzato in diretta: «Lasciamo i colleghi nella suspense… Sim Salabim!», strappando un sorriso in un dibattito altrimenti teso.

                Non solo Sangiuliano: nella stessa seduta, Palazzo Madama ha affrontato altre questioni di immunità parlamentare. Maurizio Gasparri ha incassato il via libera dell’aula sulla sua insindacabilità per le frasi rivolte al magistrato Luca Tescaroli nel 2023, giudicate collegate ad atti parlamentari come interrogazioni e interventi in aula. A favore hanno votato 117 senatori, mentre 23 – tra M5s e Avs – hanno detto no.

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