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Cronaca

Chiara Ferragni a giudizio per truffa aggravata: il caso Pandoro e le uova di Pasqua

Chiara Ferragni dovrà affrontare un processo per truffa aggravata nella vicenda del Pandoro Gate e delle uova di Pasqua. Il decreto di citazione diretta a giudizio è stato notificato questa mattina (29 gennaio) ai suoi legali, Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana. La prima udienza è fissata per il 23 settembre.

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    Gli avvocati dell’influencer si dicono convinti dell’irrilevanza penale della vicenda, sottolineando come le questioni sollevate siano già state esaminate dall’Antitrust (Agcm). «L’interlocuzione con i pm non ha avuto l’esito auspicato e la Procura ha preferito demandare al Giudice del dibattimento ogni decisione, nonostante l’assenza di condotte costituenti reato e la mancanza delle condizioni di procedibilità. L’innocenza della nostra assistita verrà certamente acclarata in giudizio, che affronteremo serenamente».

    Ferragni: «Accusa ingiusta, ma combatterò»

    Chiara Ferragni ha affidato ai social il suo primo commento sulla vicenda: «Credevo sinceramente che non fosse necessario celebrare un processo per dimostrare di non aver mai truffato nessuno. Dovrò purtroppo convivere ancora del tempo con questa accusa, che ritengo profondamente ingiusta, ma sono pronta a lottare con ancora maggiore determinazione per far emergere la mia assoluta innocenza».

    Il caso e le accuse

    L’imprenditrice digitale è finita sotto i riflettori della magistratura dopo il caso del Pandoro Balocco “Pink Christmas”, promosso come iniziativa benefica ma ritenuto dall’Antitrust una pratica commerciale scorretta e ingannevole. La vicenda, che ha scatenato polemiche e multe salate, si è poi allargata ad altre iniziative simili, come le uova di Pasqua Dolci Preziosi. Ora, il fascicolo passa nelle mani del Giudice.

    Il processo del secolo del marketing social o una tempesta in un bicchier d’acqua? Settembre darà la risposta.

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      Storie vere

      Elena Maraga, la maestra licenziata per OnlyFans, rilancia con un calendario: “Ogni curva parla di forza e libertà”

      La vicenda aveva fatto discutere: licenziata per aver aperto un profilo OnlyFans, Elena Maraga non si è arresa. Oggi presenta un calendario autoprodotto e rivendica la scelta come atto di emancipazione e autodeterminazione, trasformando la vicenda in un nuovo percorso professionale.

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        La chiamavano la “maestra di OnlyFans” e la sua storia aveva scatenato polemiche. Oggi Elena Maraga, 29 anni, dopo la bufera e il licenziamento dalla scuola materna cattolica del Trevigiano in cui insegnava, ha scelto di voltare pagina. Non solo non si è fermata, ma ha deciso di reinventarsi partendo proprio da quel caso che l’aveva messa all’angolo. Il suo nuovo progetto è un calendario autoprodotto, accompagnato dalla vendita online di polaroid di nudo attraverso il proprio e-commerce personale.

        Una scelta di continuità rispetto all’esperienza che aveva acceso lo scandalo. La primavera scorsa, quando alcuni genitori scoprirono il suo profilo sulla piattaforma per adulti, la direzione scolastica reagì con fermezza, inviandole due lettere di licenziamento per “giusta causa”. Un iter che si è concluso soltanto poche settimane fa, con un accordo definitivo tra l’istituto e l’insegnante. Un epilogo che non ha però cancellato il segno lasciato dalla vicenda, ma che per la diretta interessata si è trasformato in un’occasione di rinascita.

        Sul suo sito web, Maraga ha scelto di raccontare pubblicamente il percorso. “Ho perso il lavoro, ma non mi sono fermata. Amo il mio corpo perché racconta chi sono: ogni muscolo è una conquista, ogni curva parla di forza e libertà”, scrive la giovane, presentando così il suo calendario. Un progetto che non si limita all’aspetto estetico, ma che rivendica un messaggio preciso: l’idea che il corpo possa essere strumento di affermazione e libertà personale, indipendentemente dai giudizi esterni.

        Per molti la sua vicenda è stata un caso di cronaca legato al conflitto tra moralità, lavoro e libertà individuale. Per lei, invece, rappresenta la possibilità di costruire un percorso diverso. “Per qualcuno è stato uno scandalo, per me è stata una scelta consapevole”, rivendica. Dopo mesi di silenzio, Maraga ha scelto di presentarsi non come vittima ma come protagonista del proprio destino.

        Il calendario autoprodotto segna dunque l’inizio di una nuova fase, lontana dalle aule scolastiche ma vicina a un pubblico che, dopo la vicenda, ha imparato a conoscerla e a seguirla. Un passaggio netto che sancisce il modo in cui la ex maestra ha deciso di trasformare una pagina difficile in un progetto personale e professionale.

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          Mondo

          Cina, stretta sui social: stop a pessimismo, troll e contenuti negativi

          Il governo lancia una campagna di due mesi per limitare messaggi che diffondono sconforto e rabbia online

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          cultura Sang

            La Cina ha deciso di lanciare una nuova campagna contro i contenuti considerati troppo negativi diffusi su internet. Lunedì l’Amministrazione del Cyberspazio cinese ha annunciato un’iniziativa di due mesi per “fermare chi incita emozioni pessimistiche e sentimenti maligni” nelle piattaforme online.

            L’operazione non riguarda solo i social network più diffusi, ma anche i servizi di video brevi, le piattaforme di live streaming usate per l’e-commerce e perfino i commenti pubblicati sotto articoli o video.

            Alcuni divieti, come quello contro la violenza o le minacce, sono comuni in molti Paesi. Ma Pechino vuole andare oltre: l’obiettivo è limitare anche chi diffonde messaggi che parlano di “vita senza speranza”, “studio inutile” o “impegno sprecato”. Si tratta di pensieri legati alla cosiddetta cultura Sang, una tendenza nata tra i giovani cinesi che esprime stanchezza, sfiducia e rassegnazione.

            Una sfida sociale ed economica

            La cultura Sang ha preso piede negli ultimi anni per vari motivi: il costo della vita sempre più alto nelle grandi città, le difficoltà a trovare lavori soddisfacenti anche per i laureati, la crescita economica più lenta rispetto al passato. Tutto questo alimenta la sensazione che “non valga la pena lottare”.

            Secondo le autorità, i social network contribuiscono a rafforzare questi sentimenti perché mostrano agli utenti contenuti simili a quelli che già guardano. In questo modo chi segue video e post “depressi” finisce per rimanere chiuso in un tunnel di pessimismo.

            Per questo la nuova campagna punta a bloccare chi “si denigra in modo eccessivo, esagera la tristezza o promuove la stanchezza esistenziale, inducendo altri a imitarla”.

            Anche troll e fake news nel mirino

            Il governo vuole colpire anche i troll, cioè gli utenti che organizzano attacchi online contro altri. Il documento ufficiale cita il caso di chi sfrutta film, talk show o eventi sportivi per spingere i fan a lanciarsi in insulti e denunce di massa contro i rivali.

            Nella lista nera entrano pure i contenuti generati dall’intelligenza artificiale che mostrano scene violente, così come la diffusione di teorie del complotto e notizie false.

            Le piattaforme che ospiteranno post vietati rischiano multe e dovranno effettuare una “rettifica”: non solo scuse formali, ma l’impegno concreto a cambiare regole e strumenti per impedire che gli errori si ripetano.

            Non è la prima volta

            Non si tratta di una novità assoluta. Secondo dati raccolti da The Register, questa è almeno la quinta campagna di questo tipo dal 2021. Ciò fa pensare che le precedenti non abbiano avuto un’efficacia duratura.

            Tuttavia il messaggio politico è chiaro: la Cina vuole mantenere il controllo sul clima emotivo della sua rete, limitando i discorsi di scoraggiamento e rafforzando una narrazione positiva.

            Resta da capire se questo intervento servirà davvero a migliorare l’umore collettivo o se finirà per alimentare nuove critiche, magari proprio di quel pessimismo che Pechino vuole mettere a tacere.

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              Cronaca Nera

              Pamela Genini: il sangue di Milano. Red flag, segnali d’allarme e come intervenire prima che sia troppo tardi

              L’omicidio della 29enne modella e imprenditrice ha riaperto il dibattito sui segnali che precedono un femminicidio. Ecco i “campanelli” che non vanno ignorati e cosa fare per proteggersi.

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              Pamela Genini

                La morte di Pamela Genini, uccisa giovedì sera 14 ottobre nella sua casa a Milano da un uomo che avrebbe cercato di strapparle la vita dopo una discussione degenerata, ha scioccato l’opinione pubblica. I primi elementi, ricostruiti da Sky TG24, da Il Fatto Quotidiano e da altri quotidiani nazionali, riportano che Pamela aveva manifestato la volontà di interrompere la relazione. ‒ L’aggressore, Gianluca Soncin, 52 anni, avrebbe approfittato dell’accesso all’appartamento per poi trascinarla sul balcone e colpirla più volte con un coltello. I vicini hanno sentito le urla e hanno chiamato le forze dell’ordine.

                Dietro questa tragedia ci sono segnali già emersi nel passato, che sono spesso ignorati finché non è troppo tardi. Come in molti casi di femminicidio, esistono red flag ‒ segnali d’allarme ‒ che, se riconosciuti, possono permettere un intervento precoce. Ecco quali sono, da cosa derivano e cosa si può fare per prevenirli.

                I red flag: segnali che non vanno sottovalutati

                Dai fatti noti su Pamela Genini emergono alcuni di questi indicatori:

                • Volontà di porre fine alla relazione: quando una persona manifesta la decisione di lasciare o distaccarsi, può generare crisi violente se l’altro non accetta la fine. Nel caso di Genini, la volontà di chiudere era chiara.
                • Precedenti litigi, minacce o aggressioni: fonti indicano che la relazione era già nota per tensioni. I vicini avevano sentito urla, e alcune segnalazioni precedenti avevano allarmato.
                • Stalking o controllo ossessivo: possesso di chiavi copiate (come emerso nel caso di Soncin che avrebbe fatto copie della chiave di nascosto) è un segno di comportamento coercitivo e invasivo dello spazio personale.
                • Violenza improvvisa o escalation rapida: l’aggressione sul balcone, la modalità con cui l’omicidio è avvenuto (trascinamento, uso di coltello multiplo) dimostrano una escalation non moderata.

                Altri segnali più sottili che spesso precedono la violenza sono: isolamento sociale, svalutazione o umiliazioni, gelosia eccessiva, controllo degli spostamenti, delle relazioni con amici/famiglia, frequenti richieste di spiegazioni, comportamento imprevedibile.

                Perché alcuni red flag vengono ignorati

                Ci sono varie ragioni:

                • Minimizzazione: la persona affetta da violenza può credere che “non è così grave”, che passerà, che l’altro cambierà.
                • Vergogna o senso di colpa: chi subisce può sentire che è colpa sua, o che denuncia significherebbe fallimento personale.
                • Dipendenza economica o emotiva: il temere le conseguenze della fine della relazione (isolamento, perdita, solitudine).
                • Scarsa conoscenza dei diritti o delle risorse disponibili.

                Cosa fare concretamente: prevenire, proteggere, intervenire

                1. Ascoltare le persone in difficoltà: quando qualcuno parla di paura, di momenti in cui si sente in pericolo, non liquidare il racconto come semplice “drama”.
                2. Segnalare alle autorità competenti: polizia, carabinieri, numero antiviolenza nazionale 1522. Centri antiviolenza, associazioni come Di.Re sono risorse fondamentali.
                3. Mettere in sicurezza: cambiare luoghi, rafforzare porte, evitare di restare da sola in situazioni di rischio.
                4. Cercare sostegno psicologico: la violenza psicologica è spesso precoce e invisibile. Un esperto può aiutare a riconoscere manipolazione e comportamenti abusanti.
                5. Educazione affettiva: insegnare sin da giovani cosa siano il rispetto, i confini, il consenso. Le scuole e le istituzioni hanno un ruolo cruciale nel costruire modelli relazionali sani.

                La riflessione a partire dal caso Genini

                La tragedia di Pamela Genini deve spingere non solo all’indignazione ma all’azione concreta. È un promemoria che il femminicidio non è mai un evento isolato, ma l’esito estrema di una serie di segnali ignorati. Secondo dati recenti in Italia, il numero di donne uccise da partner o ex‐partner è in aumento rispetto ai periodi precedenti, con circa più di 50 casi già nel 2025.

                Non basta la cronaca, se poi non cambiano le misure: rafforzamento delle leggi, più centri antiviolenza accessibili, formazione delle forze dell’ordine, sensibilizzazione dei medici, insegnanti, amici, parenti.

                Il femminicidio di Pamela Genini è una ferita che scuote la coscienza collettiva. Ma è anche un campanello d’allarme per chiunque: i red flag esistono, sono visibili a chi vuole vedere. Non possiamo più permetterci di ignorarli. Ogni segnale va preso sul serio, ogni vittima potenzialmente salvata merita che qualcuno l’ascolti, che qualcuno intervenga.

                Perché spesso chi salva una persona è chi osa chiedere: “Stai bene? Hai bisogno d’aiuto?”. Chiedere può davvero fare la differenza.

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