Cronaca Nera
Continua la fuga del condannato dopo l’ergastolo!
Giacomo Bozzoli, 39enne bresciano, condannato all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario Bozzoli nella fonderia di Marcheno nel 2015, sembra sparito nel nulla. Nessuna traccia di lui e della sua famiglia è stata trovata, e la casa a Soiano appare abbandonata da tempo.

Giacomo Bozzoli, 39enne bresciano, condannato all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario Bozzoli avvenuto nella fonderia di Marcheno nel 2015, sembra essere sparito nel nulla. Nessuna traccia di lui, della moglie e del figlio è stata trovata, e la casa a Soiano appare abbandonata da tempo, con il giardino incolto e l’erba alta.
La scomparsa e l’esperimento decisivo
La sera dell’8 ottobre 2015, Mario Bozzoli, imprenditore della fonderia Bozzoli, chiama la moglie Irene per informarla di un ritardo. Tuttavia, invece di raggiungerla al ristorante, scompare misteriosamente. I suoi vestiti e l’auto restano nella fonderia, ma il suo telefono è introvabile. Giacomo e Alex Bozzoli, insieme ad alcuni operai, erano presenti quella sera. Sei giorni dopo, il 14 ottobre, scompare anche Giuseppe Ghirardini, operaio della fonderia, che verrà ritrovato morto per avvelenamento da cianuro il 18 ottobre.
Le indagini e l’esperimento con il maialino
Le indagini si concentrano sui nipoti di Mario Bozzoli e sugli operai della fonderia. Le videocamere di sorveglianza mostrano Giacomo Bozzoli entrare ed uscire ripetutamente dalla fabbrica con il suo SUV la sera dell’8 ottobre, mentre una fumata bianca esce dalla fonderia. Giacomo respinge i sospetti, affermando che le telecamere erano state puntate sugli spogliatoi e su un deposito a causa di furti precedenti.
Tuttavia, un esperimento decisivo condotto dal giudice Roberto Spanò dimostra la possibilità che il corpo di Mario Bozzoli sia stato distrutto nei forni della fonderia. Bruciando un maialino di oltre 13 chili nel forno, si osserva una fumata bianca identica a quella vista la sera della scomparsa di Mario Bozzoli, suggerendo che il corpo possa essere stato completamente distrutto.
La fuga in Francia e la caccia all’uomo
Dopo la sentenza della Cassazione che confermava l’ergastolo, Giacomo Bozzoli è scomparso. La sua abitazione a Soiano è abbandonata, con il giardino incolto e l’erba alta. Secondo i vicini, non si vede lui né la sua famiglia da dieci giorni.
L’ordine di esecuzione della condanna è stato inserito in tutte le banche dati italiane ed europee, affinché Giacomo Bozzoli possa essere fermato qualora venga trovato in alberghi, aeroporti, porti e zone turistiche. Contattato al telefono dall’Ansa, il padre di Giacomo, Adelio Bozzoli, ha dichiarato di non sapere dove si trovi il figlio, esprimendo la sua convinzione nell’innocenza di Giacomo e riferendo di essere in cattive condizioni di salute dopo un infarto.
Il lungo iter giudiziario
L’iter giudiziario è stato lungo e complesso, durato quasi nove anni e culminato con la condanna all’ergastolo di Giacomo Bozzoli. Il processo si è basato su indizi, poiché il corpo di Mario Bozzoli non è mai stato ritrovato. Durante le indagini, Giacomo e Alex Bozzoli, nonché alcuni operai, sono stati sospettati. Tuttavia, solo Giacomo è stato rinviato a giudizio con le accuse di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione e distruzione di cadavere.
La conferma dell’ergastolo e le ulteriori indagini
Il movente economico, legato a una truffa assicurativa, è stato ritenuto alla base dell’omicidio. Giacomo Bozzoli avrebbe aggredito lo zio e incaricato Ghirardini di disfarsi del corpo nel forno della fonderia. La condanna all’ergastolo è stata confermata in appello e poi in Cassazione, chiudendo un capitolo giudiziario complesso e controverso.
Parallelamente, si è chiusa anche l’inchiesta bis, che ha visto stralciate le posizioni di Aboyage Akwasi, un operaio, e Alex Bozzoli, accusati di falsa testimonianza, mentre l’operaio Oscar Maggi risponderà di concorso in omicidio premeditato e distruzione di cadavere.
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Cronaca Nera
Antonella Clerici si smarca dai talk sul caso Garlasco: “Non ce la farei a parlarne sempre”, la conduttrice rompe il silenzio
Antonella Clerici interviene sul modo in cui il caso Garlasco viene trattato dalla tv italiana. «Io non ce la farei a parlare sempre della stessa cosa», afferma, lanciando un messaggio chiaro ai talk show che continuano a dedicare intere puntate al delitto. Un commento che riapre il dibattito sui limiti del racconto mediatico della cronaca nera.
Quando Antonella Clerici decide di entrare in un dibattito pubblico, lo fa con la schiettezza che la contraddistingue. Questa volta il tema è il caso Garlasco, tornato al centro dell’informazione televisiva con una frequenza quasi quotidiana. E la conduttrice, con la sua sincerità disarmante, ha preso posizione: «Io non ce la farei a parlare sempre della stessa cosa». Una frase che fotografa un malessere diffuso.
Il peso della cronaca nei palinsesti
La televisione italiana ha sempre avuto un rapporto complesso con la cronaca nera, ma il caso Garlasco ha superato ogni soglia di esposizione. Puntate speciali, approfondimenti, dibattiti infiniti: un’attenzione martellante che, secondo molti spettatori, rischia di trasformare il dolore in intrattenimento. La posizione di Clerici intercetta questa sensibilità e la amplifica.
Una voce fuori dal coro
Abituata a gestire programmi legati alla cucina, all’intrattenimento e alla quotidianità, Antonella rappresenta l’altra faccia della tv: quella che preferisce raccontare la vita, non dissezionare ossessivamente un delitto. La sua presa di distanza non è una critica diretta alle colleghe e ai colleghi dei talk, ma una riflessione personale su un linguaggio televisivo che sente distante.
La reazione del pubblico
Il suo commento è stato accolto con un misto di sollievo e approvazione. Molti spettatori si riconoscono nella fatica emotiva di seguire l’ennesima puntata identica alla precedente. Altri sottolineano come la tv abbia il potere di scegliere cosa raccontare e con quale equilibrio. In mezzo, il solito dibattito social che trasforma ogni frase in un caso.
Una discussione più ampia sulla tv di oggi
L’intervento della Clerici apre un varco su una questione più grande: cosa vuole davvero il pubblico? E soprattutto, cosa dovrebbe offrire la tv generalista nel 2025? La risposta, forse, è nella misura. E nelle parole di una conduttrice che non ha bisogno di forzare la mano per far passare un messaggio semplice e potentissimo.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, la perita smonta le certezze sul DNA: “Dati non affidabili”, compatibilità con Sempio ma con fortissime criticità scientifiche
Nella relazione di 93 pagine la perita mette in fila limiti metodologici, contaminazioni, assenza di un database locale e profili genetici troppo degradati per conclusioni nette. Restano solo due compatibilità “moderate”, mentre sugli altri reperti sono presenti solo DNA di Chiara e Stasi.
La perizia sul DNA sotto le unghie di Chiara Poggi, attesa per mesi, non chiude il cerchio. Al contrario, apre un fronte di incertezze che la stessa esperta, Denise Albani, mette nero su bianco: le tracce genetiche estratte nel 2014 dall’allora perito De Stefano “non sono consolidate né affidabili dal punto di vista scientifico”.
Materiale parziale, misto, degradato e mai sottoposto a verifica successiva. Su questo, la genetista non lascia margini di interpretazione. E tuttavia, applicando modelli biostatistici, arriva a una compatibilità della linea maschile di Andrea Sempio con due tracce rinvenute su due dita della vittima: un “supporto da moderatamente forte a forte” per una, “moderato” per l’altra.
Ma la stessa Albani avverte: non è possibile rispondere a domande fondamentali come “come, quando e perché” quel materiale genetico sia stato depositato. Un limite che, in un processo, pesa come un macigno.
Analisi biostatistiche tra limiti e assenze nei database
La relazione spiega perché le valutazioni statistiche non possano essere considerate definitive: manca un database della popolazione locale, condizione ideale per stimare la frequenza reale di un dato profilo genetico.
Per questo, la perita ha dovuto utilizzare gruppi molto più ampi: la metapopolazione europea e quella mondiale. Scelte obbligate, ma che possono produrre risultati “sottostimati” e comunque non riferibili con precisione al contesto di Garlasco.
Non stupisce che sia la difesa di Sempio sia i consulenti della famiglia Poggi continuino a parlare di dati “non scientifici” e “non utilizzabili” in sede processuale. La battaglia tra esperti è solo all’inizio.
Sugli altri reperti resta solo il DNA di Chiara e Stasi
L’incidente probatorio conferma inoltre che sugli altri reperti non emergono elementi nuovi. Le sessanta impronte rinvenute nella villetta non restituiscono profili utili, e sugli oggetti recuperati in pattumiera compaiono esclusivamente il DNA di Chiara e quello di Stasi.
Sul tappetino del bagno, ancora una volta, solo materiale genetico della studentessa e del padre. Nessuna traccia collegabile ad Andrea Sempio. Persino l’“ignoto 3”, per un periodo considerato possibile svolta, si rivela frutto di contaminazione autoptica.
Un risultato che non chiude nulla
La perita ricorda che gli aplotipi analizzati non sono identificativi e non permettono attribuzioni personali. La compatibilità con Sempio riguarda l’intera linea patrilineare: tutti i parenti maschi condividono quel profilo.
Alla domanda decisiva — basterà questo per incriminarlo? — oggi la risposta è no. Non con questi dati, non con queste criticità, non con tracce così fragili.
L’inchiesta prosegue, ma la scienza, per ora, non indica una verità univoca.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, i punti rimasti in ombra che tornano a pesare: perché i pm guardano ora ad Andrea Sempio
L’inchiesta su Andrea Sempio, 37 anni, si fonda su sei elementi chiave: dal Dna sotto le unghie di Chiara Poggi all’“impronta 33”, passando per uno scontrino contestato e telefonate mai del tutto spiegate. Sullo sfondo, l’indagine di Brescia sulle presunte pressioni che avrebbero portato all’archiviazione del 2017
La nuova indagine sul caso Garlasco riparte da punti che per anni sono rimasti sospesi. La posizione di Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara Poggi, torna al centro della scena giudiziaria con un fascicolo che la procura di Pavia considera molto diverso da quelli del passato. L’elemento più discusso riguarda il Dna trovato sotto le unghie della vittima: una corrispondenza con la linea maschile della famiglia Sempio emersa dall’incidente probatorio. La difesa non contesta la scienza, ma il significato: per gli avvocati si tratterebbe di un trasferimento indiretto, non di un segno di colluttazione. Le ipotesi parlano di un contatto accidentale, addirittura di residui rimasti in casa tramite un telecomando della Playstation o uno starnuto. Una lettura che la procura giudica improbabile.
Al centro della nuova istruttoria c’è anche lo scontrino del parcheggio di Vigevano, presentato da Sempio nel 2008 come prova della sua presenza altrove la mattina del delitto. I nuovi accertamenti non solo ritengono il ticket inutilizzabile come alibi, ma dubitano che fosse effettivamente suo. Lo stesso Sempio, negli anni, aveva espresso rammarico per l’assenza di verifiche sulle telecamere dell’epoca, ma oggi la difesa considera quell’elemento “non sufficiente” a collocarlo lontano da via Pascoli.
Il fascicolo riapre anche il tema delle telefonate effettuate alla famiglia Poggi. I tabulati mostrano varie chiamate nei giorni precedenti al delitto. Sempio aveva spiegato di aver cercato l’amico Marco o di aver sbagliato numero, ma all’epoca non furono acquisiti i suoi tabulati. Oggi la procura ritiene che quelle versioni non abbiano mai trovato riscontro.
Tra gli aspetti tecnici, uno dei più rilevanti è la cosiddetta “impronta 33”, una traccia individuata sul muro della scala che porta al seminterrato. In passato considerata marginale, ora viene ritenuta compatibile con almeno 15 minuzie attribuibili a Sempio. Un dettaglio che, secondo gli investigatori, colloca una presenza maschile proprio nel punto in cui il corpo di Chiara venne trovato.
Il nodo del movente resta invece coperto dal segreto istruttorio. Per anni l’assenza di un rapporto significativo fra Sempio e Chiara era stata considerata un ostacolo a qualunque ipotesi accusatoria. Ora gli inquirenti ritengono di aver individuato un possibile collegamento, ritenuto rilevante ma non ancora rivelato.
Sul fondo della vicenda resta l’inchiesta della procura di Brescia sulla presunta corruzione legata alla precedente archiviazione del 2017. Un’indagine che coinvolge il padre di Sempio e l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti. Non c’è un collegamento diretto, ma eventuali riscontri potrebbero influire sul quadro complessivo.
Ora tutti gli elementi verranno valutati insieme: Dna, impronte, alibi, telefonate. Sarà il mosaico, non il singolo indizio, a decidere se l’indagine condurrà all’improcedibilità o a una richiesta di rinvio a giudizio.
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