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Cronaca

Il cold case per antonomasia: Jack The Ripper. Con l’AI ora possiamo guardarlo in faccia

Era il lontano 9 novembre 1888 quando la prostituta Mary Jane Kelly, 25 anni, detta Ginger, viene trovata sventrata e sgozzata in una stanza di Miller’s Court a Londra, nel sobborgo di Whitechapel. Ultima vittima di un serial killer che passerà alla storia. Che alcuni hanno identificato con lo scrittore Louis Carrol, altri con il principe ereditario al trono d’Inghilterra, altri ancora con un eccentrico medico borghese. Oggi con l’ausilio dell’intelligenza artificiale gli viene finalmente attribuito un volto.

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    La classica iconografia noir lo ha sempre dipinto come alto, elegante, con lo sguardo indecifrabile sotto la tesa del cappellaccio calato sul viso. Con quel mantello lungo e scuro, che si dispiega come le ali di un pipistrello nei vicoli bui di Whitechapel. Per tutti è Jack lo Squartatore, il serial killer di prostitute che terrorizzò il sobborgo operaio della Londra vittoriana. Alcuni lo identificano con l’autore di Alice nel paese delle meraviglie, accusato dal “collega” Richard Wallace di aver nascosto nel suo romanzo alcune descrizioni degli omicidi di prostitute, di cui si sarebbe reso protagonista. Un’altra teoria sostiene che si trattasse di Alberto Vittorio di Sassonia Coburgo Gotha, nipote della regina Vittoria e secondo nella linea di successione al trono. Altri ancora credevano che fosse un apprendista chirurgo.

    Un personaggio trasformatosi in leggenda

    Fino ad oggi il suo volto non è stato mai svelato, anche se le vignette dell’Illustretaed London News dell’epoca lo disegnavano con l’aspetto di Aaron Kosminski, barbiere polacco di fede ebraica che per anni fu sospettato di essere il famigerato assassino. L’identità vera di questo odiatore seriale delle donne ha rappresentato per anni uno dei più grandi misteri della storia dell’Inghilterra vittoriana. Finendo per trasformare Jack in un personaggio da romanzo, tanto che sono in parecchi a credere che si tratti di una invenzione letteraria uscita dalla penna di Arthur Conan Doyle (il celebre autore del personaggio di Sherlock Holmes) e non di un criminale esistito davvero. Fino ad oggi.

    Chi era Aaron Kosminski

    Il sopracitato Kosminski, emigrato nel Regno Unito a fine ‘800, era sospettato all’epoca degli omicidi avvenuti nell’East London 128 anni fa. In un nuovo libro dedicato al cold case più famoso del mondo, intitolato Naming Jack The Ripper: The Definitive Reveal, l’autore Russell Edwards ha utilizzato una tecnologia all’avanguardia basata su riconoscimento facciale e Intelligenza artificiale per produrre un’immagine composita di come avrebbe potuto apparire Kosminski. Affermando di aver smascherato una “cospirazione del silenzio” che ha protetto il presunto serial killer.

    L’FBI ha utilizzato la stesse pratiche impiegate per i serial killer attuali

    Per capire chi fosse veramente Jack è fondamentale rileggere tutta la sua storia criminale partendo dal primo omicidio fino all’ultimo, come hanno fatto in tempi recenti gli analisti dell’FBI secondo il metodo utilizzato per gli assassini seriali attuali. Quello che emerso è molto diverso dalla trasfigurazione letteraria. A partire dal primo mistero: quello del nome. Chi lo ha battezzato “lo squartatore?”. E’ stato lo stesso killer a firmarsi “Jack the ripper” in una delle lettere scritte a mano inviata alle autorità.

    Arrogante e sicuro di sé

    “Mi sono fissato con le prostitute – scrive – non smetterò di squartarle finche non sarò preso, presto sentirete parlare di me e dei miei divertenti giochetti. Il mio coltello è così bello e affilato che mi viene voglia di rimettermi al lavoro subito”. Da questa parole si evince una personalità arrogante ed esibizionista, estremamente sicura di sé. In calce alla lettera del 25 settembre appare la dicitura “sincererly yours” (sinceramente tuo, ndr.) Jack The Ripper”.

    Una lettera dall’inferno

    In seguito George Lusk, capo della Commissione di Vigilanza di Whitechapel, riceve un’altra missiva di Jack, scritta “from hell”, dall’inferno. Un foglio accompagnato da una scatola in cui viene rinvenuto un frammento di un rene umano conservato in alcol etilico. Sarà l’ultimo messaggio del macellaio alle autorità.

    Tutte le sue vittime

    La storia di Jack si snoda tutta nel giro di pochi mesi nell’arco dei quali vengono uccise cinque donne: tutte prostitute, disperate, alcolizzate, senza neanche un parente che le reclamasse. A partire da Mary Ann Nicholls, 43 anni, alcolizzata con 5 figli, uccisa il 31 agosto 1888, rinvenuta davanti al mattatoio di Bucks Row. Ha la sottana sollevata fino al petto, la gola tagliata in maniera così netta quasi a decapitarla. È stata colpita all’addome con il medesimo coltello. Nei vicoli di quel ghetto fatiscente che era Whitechapel, l’assassinio di una prostituta era considerato un crimine comune, all’ordine del giorno, ma due omicidi nel giro di poche settimane, no. Annie Chapman, 46 anni, detta Dark Annie, viene trovata l’8 settembre massacrata come la prima.

    Scotland Yard brancolo nel buio più assoluto

    La successiva è Elisabeth Stride, figlia di contadini di origini svedesi, detta Long Litz per la sua statura imponente. Catherine Addowes è la quarta vittima del mostro, trovata in Mitre Square lo stesso giorno in cui un cocchiere scopre il cadavere di Long Litz. Naso e lobo dell’orecchio sinistro erano stati tagliati insieme alla palpebra dell’occhio destro. Il volto sfigurato con un taglio, mentre un unico taglio dall’inguine fino alla gola l’ha sventrata. Alcuni organi interni erano stati asportati e appoggiati sulla spalla destra, un rene e gli organi genitali, invece, portati via dall’assassino. Sull’identità di questo assassino sadico e compulsivo, con tratti schizofrenici e accenti di strabordante narcisismo, Scotland Yard brancola nel buio.

    L’ultimo omicidio, il peggiore di tutti

    Il 9 novembre 1888 Jack compie l’ultimo omicidio, il più feroce di tutti. Alla vista del corpo della vittima gli agenti di polizia si sentono male. Gli organi sono sparsi per la stanza, la pelle è stata abrasa dal viso e dalle mani. Poi Jack dal quel novembre 1888 scompare. Da oggi ha un volto.

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      Cronaca Nera

      Messico, influencer Valeria Marquez uccisa in diretta su TikTok

      Messico, uccisa in diretta su TikTok l’influencer Valeria Marquez: “Stanno arrivando”, aveva detto poco prima della sparatoria

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        Un colpo dritto al cuore della generazione social. In Messico, l’influencer e modella Valeria Marquez, 23 anni, è stata uccisa in diretta su TikTok all’interno di un salone di bellezza. La scena, trasmessa in tempo reale ai suoi follower, ha scioccato migliaia di persone che hanno assistito – impotenti – a quello che le autorità ora definiscono un probabile femminicidio.

        La giovane si trovava a Zapopan, nella periferia di Guadalajara, Stato di Jalisco, quando un uomo armato è entrato nel locale e si è diretto verso di lei. “Sei Valeria Marquez?”, avrebbe chiesto. Lei avrebbe annuito. Poi il silenzio. L’influencer spegne l’audio della diretta, forse intuendo che qualcosa non va. Pochi secondi dopo, la tragedia: viene colpita all’addome e poi alla testa. Cade a terra senza vita. La scena è stata immortalata in video e diffusa in rete, generando un’ondata di sgomento e dolore.

        L’allarme prima dell’agguato: “Stanno arrivando”

        Quel che rende ancora più inquietante l’intera vicenda è ciò che Valeria aveva detto poco prima dell’arrivo dell’uomo armato. “Stanno arrivando”, aveva sussurrato ai suoi follower in un video precedente, lasciando intuire un senso di allarme o forse di minaccia percepita. Parole che ora, alla luce dell’accaduto, suonano come un sinistro presagio.

        Secondo quanto riportato dalle autorità locali, le indagini sono state avviate con l’ipotesi di femminicidio, reato su cui il Messico combatte una battaglia ormai decennale. La violenza contro le donne nel Paese ha raggiunto numeri spaventosi: secondo i dati ufficiali, nel 2023 sono state uccise in media dieci donne al giorno. E nonostante le campagne di sensibilizzazione, la scia di sangue continua.

        Le immagini choc e il volto dell’assassino

        A rendere ancora più drammatica la vicenda è il fatto che i video della diretta sono ancora reperibili in rete, in particolare su TikTok e altre piattaforme social. In uno di questi, dopo che Valeria si accascia al suolo, una mano prende in mano il telefono e per un attimo si vede un volto maschile, che potrebbe essere quello dell’assassino. Gli investigatori stanno analizzando quei fotogrammi per cercare di identificare l’uomo e verificare se si tratti di un killer assoldato o di una persona legata direttamente alla giovane.

        Sebbene Valeria non fosse nota a livello internazionale, il suo profilo aveva raccolto una community solida di follower locali e regionali. Era molto attiva sui social, dove condivideva contenuti di moda, bellezza e vita quotidiana. Il suo stile diretto e la personalità solare le avevano garantito un seguito crescente tra i più giovani. Proprio per questo la sua morte ha assunto un significato ancora più simbolico, divenendo l’ennesimo monito sulla violenza che si nasconde dietro le luci artificiali dei social.

        Un altro omicidio nella stessa città

        A rendere ancora più allarmante il quadro generale c’è il fatto che poche ore dopo l’omicidio di Valeria Marquez, nella stessa città di Zapopan, è stato ucciso anche Luis Armando Cordova Diaz, ex deputato del partito PRI. L’uomo è stato freddato a colpi d’arma da fuoco in un bar. Due episodi ravvicinati, due omicidi eccellenti nello stesso quadrante urbano. Un’ulteriore prova di quanto la spirale di violenza in Messico continui a colpire indiscriminatamente influencer, politici e cittadini comuni.

        Shock sui social

        Il mondo dei social è stato investito da un’ondata di cordoglio e incredulità. Sotto gli ultimi video postati da Valeria si leggono centinaia di commenti: “Non posso credere che sia successo davvero”, “Che orrore assistere in diretta a una vita che si spegne”, “Riposa in pace, Valeria”. Il suo profilo TikTok è stato trasformato, nel giro di poche ore, in un memoriale virtuale.

        Il caso di Valeria Marquez riaccende i riflettori su un tema cruciale: quanto siano vulnerabili le figure pubbliche nel Paese e quanto la visibilità, in alcuni contesti, possa diventare pericolosa come una condanna.

        Mentre le autorità messicane proseguono con le indagini, resta il silenzio pesante di un Paese che si scopre ancora una volta incapace di proteggere le sue donne. Anche – e soprattutto – quando sono sotto gli occhi di tutti.

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          Storie vere

          Otto anni per adottare il figlio di sua sorella vittima di femminicidio

          Dopo il femminicidio di Tiziana Rizzi, suo fratello Damiano ha combattuto per anni per poter crescere suo nipote. Una storia di dolore, resistenza e amore che va oltre ogni sentenza.

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            Damiano Rizzi non avrebbe mai immaginato che il 9 luglio 2013 sarebbe diventata la data che avrebbe diviso in due la sua vita. Fino a quel giorno, il suo impegno era dedicato a salvare vite lontane, attraverso il lavoro con la Fondazione Soleterre. Ma quel giorno, mentre si trovava a Roma, una telefonata di sua madre ha cambiato tutto. Sua sorella Tiziana, 36 anni, era stata uccisa dal marito. Un femminicidio che ha strappato via non solo una vita, ma anche una madre, lasciando un bambino senza nessuno.

            La morte della sorella un dolore devastante, ma Damiano non si è fermato

            La sua missione è diventata proteggere e crescere il figlio di Tiziana, quel bambino che improvvisamente non aveva più punti di riferimento. Inizia così una battaglia lunga otto anni, un percorso tortuoso che lo ha portato a diventare suo padre adottivo, dopo aver affrontato ostacoli burocratici, tribunali e una realtà che sembrava non voler riconoscere il suo impegno.

            Una mattina come tante

            La mattina del 9 luglio Tiziana aveva attaccato un post-it sul frigorifero, un piccolo promemoria per preparare il latte per la colazione. Ma quella colazione non ci sarebbe mai stata. Damiano ha dovuto combattere per otto anni, chiedendo al tribunale di Pavia di riconoscere il suo diritto a crescere suo nipote. “Sono diventato tutore chiedendo per favore al presidente del tribunale, dopo che per anni nessuno muoveva mezzo dito”, racconta. Alla fine, ha ottenuto la sentenza di adozione, ma si è reso conto che essere genitore è molto più di un pezzo di carta. “Si è padri e madri quando si è capaci di far diventare grande qualcosa di piccolo”, dice Damiano. Un concetto che va oltre le leggi, oltre la burocrazia. Essere padre per lui è stato l’unico modo per ricostruire un senso dopo la tragedia, per trasformare il dolore in qualcosa di concreto, in amore, protezione, futuro.

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              Cronaca Nera

              Garlasco, spunta un martello nel canale di Tromello: è l’arma del delitto? L’ombra delle gemelle Cappa

              A 18 anni dall’assassinio di Chiara Poggi, gli inquirenti trovano un martello nel canale vicino a una casa della famiglia Cappa. È lo strumento mancante dalla villetta? Intanto emergono nuove intercettazioni e una testimonianza inquietante.

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                Diciotto anni dopo, l’omicidio di Chiara Poggi non smette di riservare colpi di scena. Nelle scorse ore, i carabinieri del nucleo investigativo di Milano hanno trovato un martello nel letto prosciugato di un canale a Tromello, a pochi chilometri da Garlasco. Un oggetto metallico arrugginito, compatibile – almeno a prima vista – con quello che potrebbe essere stato usato per colpire a morte la ragazza nella villetta di via Pascoli.

                Un dettaglio tutt’altro che trascurabile: il punto esatto del ritrovamento si trova dietro una casa di corte appartenente alla famiglia di Paola e Stefania Cappa, le gemelle cugine di Chiara, mai indagate ma sempre sullo sfondo della vicenda. Proprio lì, dove abitava una nonna e dove, nel 2007, avrebbe risieduto anche il fratello delle ragazze – assente al momento dei fatti – si concentra ora l’attenzione degli inquirenti. La zona, circondata da rovi e abbandonata da anni, si affaccia su un piccolo canale scolmatore che scorre sotto le case e sfiora la ferrovia.

                Il mistero del martello sparito

                Un particolare riemerge dagli atti dell’epoca: l’unico oggetto dichiarato “mancante” dalla casa di Chiara dopo l’omicidio era un martello da camino. Nessun altro furto, nessun oggetto fuori posto, tranne quello. Ed è proprio questo dettaglio a dare oggi un peso enorme al ritrovamento. Il martello sarà analizzato nelle prossime settimane: i RIS cercheranno eventuali tracce biologiche e ne confronteranno dimensioni e caratteristiche con i segni lasciati sul corpo della vittima.

                A indirizzare i militari su quel tratto di canale è stata una testimonianza raccolta da Le Iene, ora acquisita agli atti. Il supertestimone – che riferisce un racconto ascoltato anni fa da due conoscenti nel frattempo deceduti – avrebbe indicato Stefania Cappa come la persona vista la mattina del 13 agosto 2007 con una borsa molto pesante, entrata in quella casa di famiglia e poi udita gettare qualcosa nel canale con un tonfo metallico.

                Sempio indagato, Paola sotto osservazione

                Intanto le perquisizioni a casa di Andrea Sempio, l’amico del fratello di Chiara Poggi, vanno avanti. L’uomo, oggi 37enne, è ufficialmente indagato con l’ipotesi di concorso in omicidio. I carabinieri hanno sequestrato hard disk, telefoni, chiavette usb, CD e persino vecchi cellulari, cercando indizi che possano collocarlo sulla scena del crimine o ricostruirne i movimenti nell’estate del 2007.

                Ma è un altro nome a tornare insistentemente nelle carte: Paola Cappa. In un messaggio sms inviato a un amico di Milano all’epoca dei fatti, oggi acquisito tra i 200 raccolti dalla Procura, avrebbe scritto: “Mi sa che abbiamo incastrato Stasi”. Parole che lasciano intendere la possibilità che, più che una verità processuale, sia andato in scena un teorema costruito su misura.

                Non solo. Una vecchia intercettazione riporta un dialogo tra Paola e la nonna. La ragazza si sfoga: “Odio gli zii. Non voglio che vengano qui. Se io e Stefania siamo ridotte così è per questo”. Parole che aprono squarci su dinamiche familiari complesse e forse mai davvero analizzate a fondo.

                Una festa prima del delitto

                C’è anche una festa in piscina, pochi giorni prima del delitto, finita sotto la lente della procura. Un party a cui avrebbero partecipato vari amici di Andrea Sempio e del fratello di Chiara: Roberto Freddi, Mattia Capra, Antonio B. – vigile del fuoco e amico della madre di Sempio. Nulla di penalmente rilevante, ma ogni dettaglio può fare la differenza quando si tratta di chiarire chi frequentava casa Poggi, e soprattutto chi poteva entrare e uscire liberamente.

                Un’indagine mai chiusa davvero

                Il giallo di Garlasco ha già un condannato: Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara, giudicato colpevole in via definitiva e a un passo dalla fine della pena. Ma la Procura di Pavia non ha mai smesso di cercare risposte. Le nuove indagini guidate dal procuratore Fabio Napoleone, con gli aggiunti Stefano Civardi e Valentina De Stefano, sembrano puntare altrove. Verso piste lasciate in sospeso, testimoni ascoltati e poi dimenticati, messaggi e foto social tornati oggi di inquietante attualità.

                Come quella immagine pubblicata da Paola Cappa nel 2013, che ritrae piedi con calze a quadretti e un’impronta a pallini nel mezzo. “Buon compleanno sorellina”, la didascalia. Un dettaglio, forse. O forse no, considerando che l’impronta rilevata sul luogo del delitto era proprio a pois.

                La verità è nel fango?

                Ora resta da capire se quel martello coperto di fango sia davvero l’arma del delitto. Se venisse confermato, cambierebbe tutto. Non solo perché si aprirebbe una nuova ipotesi investigativa, ma perché riaccenderebbe in modo clamoroso una vicenda che l’Italia intera, da 18 anni, non ha mai smesso di seguire.

                Nel frattempo, Garlasco e Tromello restano in silenzio. Tra campi, cortili chiusi e canali scolmatori, qualcuno continua a cercare risposte. Magari proprio là, dove nessuno aveva mai pensato di guardare.

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