Cronaca
La truffa dei lingotti d’oro: promesse di rendite e app ingannevoli, così migliaia di italiani hanno perso tutto
Si presentavano come specialisti dell’oro da investimento, offrivano rendite fisse grazie a presunti affari nel settore farmaceutico. In realtà era tutto falso: le vittime, spesso coinvolte da amici e parenti, hanno perso milioni. Sequestrati beni per 23 milioni, ma i risarcimenti sono incerti.

Sembrava un investimento sicuro, quasi geniale: acquistare oro da investimento, affidarlo a una società specializzata, lasciarlo “in deposito” e incassare ogni mese una rendita del 4%, grazie a presunte operazioni nel settore farmaceutico. Un affare pulito, redditizio, apparentemente privo di rischi. Peccato che fosse tutto falso.
È questa la trappola in cui sono caduti migliaia di risparmiatori italiani, attirati dalla proposta della Global Consulting, società ora finita nel mirino della Procura di Milano. Le indagini, affidate alla Guardia di Finanza, hanno portato a un primo sequestro preventivo di beni per circa 23 milioni di euro. Ma il danno stimato è ben più alto: oltre 60 milioni spariti, secondo gli atti dell’inchiesta.
Dietro la promessa dell’oro c’era invece un colossale schema Ponzi, una catena in cui i soldi dei nuovi clienti servivano a pagare – per un po’ – i rendimenti dei precedenti. Poi, come sempre in queste storie, il castello di carte è crollato.
“Un meccanismo diabolico”
Due avvocati milanesi, Claudio Parisi e Cristiano Cominotto, stanno assistendo centinaia di vittime. “Parliamo di un meccanismo davvero diabolico”, spiegano. Il cuore della truffa era una piattaforma digitale creata ad arte: un’app con grafici, saldi, rendimenti mensili aggiornati. I clienti vedevano crescere virtualmente il loro capitale. Ma era tutta una finzione.
“L’app serviva solo a tranquillizzare le vittime – racconta Cominotto –. Mostrava ogni mese quel +4% come fosse reale, ma dietro non c’era nessun investimento concreto”. In cambio, l’unica vera richiesta era quella di non toccare mai il capitale né incassare i guadagni. E qui entrava in gioco l’altro ingranaggio della macchina: il Club Global, un sistema di benefit per i clienti “fedeli”. Viaggi, piccoli regali, anche biglietti aerei: premi pensati per invogliare a lasciare tutto investito. “Ti regalavano 100 euro di volo – dice l’avvocato – ma così facendo tenevi fermi decine di migliaia sul loro conto”.
L’oro che nessuno vedeva
L’altro pilastro del sistema era l’acquisto dell’oro. Ai clienti veniva chiesto di firmare una delega per far gestire direttamente alla Global il proprio investimento. L’oro, spiegavano, sarebbe stato acquistato e depositato da loro tramite una società partner, la Private Gold, che avrebbe poi usato i lingotti per operazioni nel campo farmaceutico. Ovviamente, nulla di tutto ciò è mai stato dimostrato.
“Molti credevano davvero di possedere oro fisico – racconta Parisi –. Ma nessuno l’ha mai visto. Tutto restava sulla carta”.
Le vittime? Persone comuni, coinvolte da amici e familiari
Il racconto dei legali è agghiacciante: “Abbiamo parlato con tantissime vittime, molte ci chiamano solo per sfogarsi. Ci sono anche professionisti, avvocati, ingegneri che hanno perso centinaia di migliaia di euro. Ma la maggior parte sono persone comuni. Tra i miei assistiti – continua Parisi – c’è una signora delle pulizie che aveva messo via 10mila euro in tutta la sua vita. Sperava che quella rendita le permettesse di lavorare meno. O un ragazzo disabile, che viveva con un assegno sociale: aveva investito 15mila euro sperando di arrivare a fine mese. Li ha persi tutti”.
La parte più inquietante, però, è il meccanismo del passaparola. “La truffa si è diffusa così – spiega Cominotto –. Niente pubblicità, niente call center. Solo il fratello che parlava al fratello, l’amico che convinceva l’amico. Spesso anche loro erano vittime inconsapevoli, finiti a fare da consulenti per la Global”.
In alcuni casi il legame era strettissimo. “C’è un padre che ha sporto denuncia, ma a convincerlo a investire era stato il figlio. Il figlio stesso era entrato nel giro tramite conoscenti e poi era diventato collaboratore. Il padre ha perso tutto, ma non vuole accusarlo: dice che non ha colpe, era solo in buona fede”.
I primi segnali di allarme nell’estate 2024
Il castello ha iniziato a scricchiolare l’estate scorsa. Alcuni clienti cominciavano a lamentare ritardi nei pagamenti. La risposta? Sempre la stessa: “Ci sono problemi con la Private Gold”, oppure “Stiamo trattando con un nuovo partner”. Qualcuno riceveva anche comunicazioni rassicuranti: “Gentile cliente, ci scusiamo per i disagi. Da gennaio 2025 riceverà un bonus per il Club”. E la truffa continuava.
Ma poi è arrivato il comunicato della Procura. L’inchiesta è scattata anche grazie alle prime denunce, partite da due signore del Trentino. Avevano chiesto il rimborso del capitale già a inizio estate 2024, senza ricevere mai nulla. È stato il primo tassello che ha fatto crollare l’intero sistema.
I reati e i dubbi sul futuro
Ora gli indagati devono rispondere di associazione a delinquere, truffa e abusivismo finanziario. Le indagini sono in corso, ma i risparmiatori chiedono giustizia. I legali sono realisti: “Siamo trasparenti con i nostri clienti. Non sarà facile. Dipenderà dalle scelte processuali, dai beni effettivamente recuperati e da come verranno distribuiti. I 23 milioni sequestrati potrebbero non bastare”.
Intanto sei studi legali si stanno coordinando per rappresentare le vittime: al momento sarebbero almeno 900, ma il numero è destinato a salire. E con esso, la rabbia di chi si è fidato. Perché quando a proporti un investimento è tuo fratello o il tuo migliore amico, dire di no diventa quasi impossibile.
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Cronaca
Il bagarino dei record: rastrella biglietti per 90 eventi e incassa a prezzi gonfiati. Maxi multa da 675mila euro
Il Garante delle Comunicazioni, dopo l’indagine della Guardia di Finanza, lo ha sanzionato con 675mila euro per “indebito arricchimento”. Dal 2020 le multe erano sempre andate ai portali di secondary ticketing: ora a pagare è il bagarino in carne e ossa.

Aveva trasformato la passione per concerti e partite in un business milionario, almeno finché la Guardia di Finanza non ha bussato alla sua porta. È il bagarino dei record, capace di rastrellare 15mila biglietti per 90 eventi tra spettacoli musicali e incontri sportivi in Italia, rivendendoli online a prezzi maggiorati.
L’Agcom ha deciso di punirlo con una multa da 675mila euro, la più alta mai inflitta a un singolo individuo per secondary ticketing. Finora, le sanzioni colpivano soltanto le piattaforme internazionali che permettevano la compravendita di biglietti a prezzi gonfiati. Stavolta, invece, nel mirino è finito il regista dell’operazione, che aveva organizzato una vera rete di acquisti frazionati e rivendite parallele.
Per il Garante delle Comunicazioni, il danno è triplice: ai fan costretti a pagare cifre esorbitanti per assistere dal vivo agli eventi; all’Erario, che perde entrate fiscali; e alla reputazione di artisti e club sportivi, accusati ingiustamente di complicità.
La legge 232 del 2016 vieta il bagarinaggio digitale e prevede multe fino a 180mila euro. La cifra record è stata raggiunta perché le violazioni erano molteplici e continuative, configurando un indebito arricchimento ripetuto nel tempo.
Il caso arriva a poche settimane dall’entrata in vigore della stretta sul secondary ticketing prevista dal decreto Bollette, che consente di oscurare i siti di chi non paga le sanzioni. Ma stavolta il colpo non riguarda un portale estero: è il bagarino in carne e ossa a dover fare i conti con una multa che rischia di travolgere il suo impero di biglietti gonfiati.
Politica
Matteo Salvini, Sydney Sweeney e i jeans della discordia: quando la politica si fa social
La nuova miccia dell’estate politica italiana non arriva da un decreto o da un cantiere ferroviario, ma da un paio di jeans. Matteo Salvini, fedele alla sua strategia di populismo social, ha deciso di commentare la pubblicità di American Eagle con protagonista Sydney Sweeney, accusata da parte del web di strizzare l’occhio a ideali reazionari e nostalgie MAGA. Il risultato è la solita tempesta mediatica: destra e sinistra a litigare online su una faccenda che riguarda più l’algoritmo che la politica.

La nuova miccia dell’estate politica italiana non arriva da un decreto o da un cantiere ferroviario, ma da un paio di jeans. Matteo Salvini, fedele alla sua strategia di populismo social, ha deciso di commentare la pubblicità di American Eagle con protagonista Sydney Sweeney, accusata da parte del web di strizzare l’occhio a ideali reazionari e nostalgie MAGA. Il risultato è la solita tempesta mediatica: destra e sinistra a litigare online su una faccenda che riguarda più l’algoritmo che la politica.
Testo:
Se Franz Kafka fosse vivo, probabilmente resterebbe perplesso: oggi non ci si sveglia più trasformati in un insetto gigante, ma in un post di Matteo Salvini. Il ministro dei Trasporti, instancabile narratore del proprio orto social e degli immancabili meloni estivi, ha trovato un nuovo passatempo: trasformare un banale spot di moda in un caso politico nazionale.
Il pretesto questa volta si chiama Sydney Sweeney, 27 anni, occhi blu e curriculum da protagonista di Euphoria. American Eagle l’ha scelta per lanciare una campagna pubblicitaria in cui il gioco di parole tra “jeans” e “genes” – i geni ereditari – diventa slogan. Lei, in un video ammiccante, spiega che i geni determinano tratti come colore dei capelli e personalità, per poi chiudere con un «My jeans are blue». Tanto è bastato perché il web esplodesse in un flame globale: per alcuni un’innocua provocazione pop, per altri l’eco inquietante di un’estetica da propaganda suprematista.
Salvini, fiutando l’occasione perfetta per inserire il proprio nome nel trend del giorno, ha postato il video ai suoi 2,5 milioni di follower chiedendo: «Solo a me sembrano reazioni folli?». E così, tra un cantiere ferroviario e un raccolto di zucchine, il leader leghista ha riacceso il suo motore preferito: la polemica social a costo zero.
L’affaire Sweeney è la tempesta perfetta dell’ecosistema digitale contemporaneo: un’attrice dal profilo ambiguo, uno spot volutamente sopra le righe, l’indignazione automatica dei liberal e la reazione compiaciuta dei conservatori, pronti a brandirla come musa dei valori “autentici” contro il mondo woke. Da qui, il passo verso la strumentalizzazione politica è breve: la destra occidentale la difende come icona di libertà estetica, la sinistra la condanna come simbolo di sessismo e nostalgia reazionaria.
Il paradosso è che la polemica non riguarda né l’attrice né i jeans in sé – piuttosto brutti, a dirla tutta – ma la dinamica mediatica che li avvolge. Ogni reazione indignata alimenta la visibilità del brand, che ottiene la vera vittoria: trasformare un paio di pantaloni in arma di distrazione di massa.
Intanto Salvini capitalizza sulla vicenda, rafforzando il suo ruolo di influencer politico: lontano dalle criticità del trasporto pubblico, immerso in dirette tra piante aromatiche e selfie di stagione, trova nel caso Sweeney un perfetto palcoscenico estivo. L’Italia discute di propaganda nazista nei blue jeans mentre gli algoritmi brindano.
E alla fine, il messaggio implicito è sempre lo stesso: non importa se il dibattito sia surreale, basta che si parli di lui. Perché, come dimostra l’affaire dei jeans della discordia, il confine tra politica e intrattenimento non è mai stato così sottile.
Italia
Maturità 2025, il record delle lodi va ancora al Sud
Calabria, Puglia e Sicilia prime in Italia per numero di studenti con il massimo dei voti. Alle medie confermata la tendenza.

Il Sud resta la patria delle eccellenze scolastiche. I dati ufficiali sull’esame di maturità 2025 lo confermano: il 2,8% dei diplomati ha ottenuto la lode, pari a 13.857 studenti, in leggero aumento rispetto al 2,6% dello scorso anno.
A dominare la classifica sono ancora una volta Calabria, Puglia e Sicilia, regioni che superano la media nazionale e che si confermano terreno fertile per le eccellenze. All’estremo opposto, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige e Veneto restano le regioni con la percentuale più bassa di lodi.
Il divario tra Nord e Sud è netto anche alle scuole medie. Qui il 5,2% degli studenti ha ottenuto 10 e lode, con la Puglia in testa (8,7%), seguita dalla Calabria (8,4%) e dalla Sicilia (8%). Numeri che rafforzano una tendenza consolidata e che alimentano il dibattito sulla differenza di valutazioni tra le due Italie: scuole del Nord più severe o quelle del Sud più generose? Oppure, come sostengono molti docenti, nelle regioni meridionali le lodi sono anche un riconoscimento agli sforzi di studenti che spesso affrontano contesti più difficili e carenze strutturali?
Analizzando i diversi indirizzi di studio, il primato delle lodi spetta ai licei, dove il 4,3% dei diplomati ha raggiunto il 100 e lode. Seguono gli istituti tecnici con l’1,5%, mentre nei professionali la percentuale scende allo 0,6%. Nei tecnici e nei professionali i voti più frequenti restano compresi tra 61 e 70, mentre nei licei prevalgono i punteggi tra 71 e 80.
Per la Calabria, i dati sono motivo d’orgoglio. In una regione che spesso deve fare i conti con strutture scolastiche carenti, il numero di studenti che riescono a distinguersi diventa un segnale positivo, una sorta di riscatto collettivo. Dietro ogni lode ci sono ore di studio, sacrifici e la determinazione di ragazzi e ragazze che, anche tra difficoltà logistiche e didattiche, scelgono di puntare all’eccellenza.
Quest’anno, dunque, il vento delle lodi soffia ancora una volta dal Sud. E la Calabria si conferma tra i territori dove la scuola sa trasformare il talento e l’impegno degli studenti in storie di successo.
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