Mistero
L’incredibile storia di Charles Joughin, il fornaio sopravvissuto al naufragio del Titanic. Sarà vera?
Nonostante alcune incongruenze, la vicenda di Joughin, il capo panettiere del Titanic, continua a suscitare fascino e curiosità.

Chiariamo subito che ci sono alcune incongruenze nella storia di Charles Joughin, capo panettiere a bordo del Titanic, noto non solo per essere sopravvissuto alla tragedia ma per il curioso dettaglio del suo racconto. Joughin dichiarò che per resistere nelle acque gelide dell’Atlantico si sarebbe aiutato con l’alcol. Una storia che, seppur romanzata o alterata dai ricordi del momento, rimane affascinante e ci consegna il ritratto di un uomo comunque resiliente.
Ma chi era Charles Joughin?
Nato il 3 agosto 1879 a Birkenhead, Liverpool, mister Joughin era già un uomo esperto nella gestione delle cucine navali quando si arruolò per lavorare sul Titanic. Aveva lavorato come capo panettiere sulla nave gemella del Titanic, l’Olympic, e nel 1911 risultava residente a Elmhurst con la moglie Louise e i due figli piccoli, Agnes e Roland. A bordo del Titanic, Joughin era responsabile di una squadra di 13 panettieri.
La notte del naufragio? Distribuiva pagnotte e lanciava in acqua le sedie sdraio
Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, quando il Titanic colpì l’iceberg alle 23:40, Charles Joughin si trovava nella sua cabina fuori servizio. Resosi conto della gravità dell’incidente, inviò i suoi panettieri a rifornire i passeggeri con 50 pagnotte destinate alle scialuppe di salvataggio. Dopo essersi assicurato che il suo staff fosse al lavoro, Joughin decise di bere un bicchiere di whisky. Più tardi raggiunse il ponte e aiutò donne e bambini a salire sulla scialuppa a lui assegnata, la numero 10, senza però prenderne posto per dare l’esempio. Con le scialuppe già partite e nessuna possibilità di salvezza apparente, Joughin si dedicò a lanciare sedie a sdraio in mare, con la speranza che potessero servire da appiglio per chiunque fosse caduto in acqua. Quando la nave si spezzò in due alle 2:10, fu una delle ultime persone a lasciare il Titanic, restando attaccato al relitto fino all’ultimo istante. Questo lo dice lui.
Come fece a sopravvivere mister Joughin
Joughin dichiarò di essere caduto in acqua poco prima che la nave affondasse completamente, sostenendo di non essersi nemmeno bagnato i capelli. Disse di aver nuotato per circa due ore nell’Atlantico gelido, fino a raggiungere una zattera di salvataggio pieghevole, la zattera B. Poiché questa era già sovraccarica, rimase in acqua fino a quando un collega dell’equipaggio, il cuoco Isaac Maynard, lo aiutò a salire a bordo. Successivamente venne tratto in salvo dalla nave Carpathia. Arrivò a New York il 16 aprile 1912, in buone condizioni fisiche, riportando solo un gonfiore ai piedi.
Le incongruenze del suo mirabolante racconto
La testimonianza di Joughin, pur avvincente che sia, presenta alcune incongruenze. Vediamo quali. La prima è il tempo di sopravvivenza nelle acque gelide dell’Atlantco. A temperature vicine agli 0°C, il corpo umano può resistere solo per pochi minuti prima che l’ipotermia diventi letale. Le due ore menzionate da Joughin sembrano davvero molto improbabili. Andiamo avanti. La seconda incongruenza è l’effetto dell’alcol. Contrariamente alla convinzione popolare, l’alcol non protegge dal freddo. Essendo un vasodilatatore, accelera la perdita di calore corporeo, aumentando il rischio di ipotermia. È possibile, però, che l’alcol abbia attenuato lo shock psicologico e fisico, dandogli un senso temporaneo di calore e coraggio. Alcuni esperti ipotizzano che Joughin possa non essere stato in acqua per tutto il tempo indicato o che il suo racconto sia stato influenzato dal trauma e dall’impatto emotivo. E fin qui ci siamo.
La sua testimonianza in un libro sulla tragedia
Dopo il naufragio, Joughin tornò in Inghilterra e partecipò come testimone all’inchiesta britannica sulla tragedia, che si tenne tra maggio e luglio 1912. Continuò a lavorare come panettiere su navi da crociera e, dopo la Prima Guerra Mondiale, si arruolò nella marina mercantile. Alla fine, si trasferì in New Jersey, negli Stati Uniti, dove visse fino alla sua morte, avvenuta il 9 dicembre 1956 a causa di una polmonite. Joughin lasciò un’impronta indelebile nella storia del Titanic, raccontando un’esperienza di sopravvivenza davvero unica che mescola tenacia, fortuna e tanta leggenda. Cos’ leggendario che la sua testimonianza venne inclusa nel libro A Night to Remember di Walter Lord, che ancora oggi resta una delle opere più autorevoli sulla tragedia.
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Mistero
Parte la caccia al galeone con un tesoro da 4 miliardi di dollari!
Indipendentemente dall’esito della ricerca, il fascino e il mistero che circondano la Royal Merchant continueranno a catturare l’immaginazione di persone di tutto il mondo. Che il tesoro venga trovato o meno, la sua storia rimarrà parte integrante del folklore marittimo per sempre.

Un’ancora gigantesca, ripescata per caso davanti alle coste della Cornovaglia, ha riportato alla luce una storia leggendaria: quella dell’El Dorado of the Seas, con un tesoro stivato stimato oltre i 4 miliardi di dollari. Ora, parte la caccia per recuperare questo naufragio storico, con la speranza di riportare alla luce una fortuna sommersa per secoli.
Il naufragio epico
Nel 1641, la Royal Merchant, ribattezzata El Dorado of the Seas, affondò al largo di Lands End, nell’Inghilterra orientale, mentre tornava dal Messico. A bordo trasportava un carico incredibile: 45 tonnellate d’oro, 400 lingotti d’argento messicano e 500.000 “pezzi da otto”.
L’ancora ritrovata
Nel 2019, il peschereccio Spirited Lady tirò su un’ancora enorme, scatenando l’interesse degli esperti che ipotizzano appartenesse alla Royal Merchant. Questo ha dato il via alla nuova ricerca del tesoro secolare.
La ricerca del tesoro
La Multibeam Services, una società specializzata nel recupero di carichi marittimi con sede in Cornovaglia, ha pianificato una spedizione per il recupero del relitto. Utilizzeranno tecnologie avanzate come sommergibili telecomandati con sonar e telecamere per coprire un’area di 200 miglia quadrate del Canale della Manica.
Investimenti e Costi
La ricerca del tesoro avrà un costo di venti milioni di sterline, ma l’eventuale ritrovamento potrebbe valere miliardi. Multibeam Services assicura di avere il team e la tecnologia necessari per trovare il relitto, con oltre 35 anni di esperienza nel settore.
La concorrenza
Tuttavia, Multibeam non è l’unico interessato al tesoro. Altre società e individui potrebbero essere coinvolti nella caccia, poiché 4 miliardi di dollari sono una tentazione irresistibile per molti.
La tecnologia all’avanguardia
Multibeam utilizzerà sommergibili senza pilota dotati di sonar e telecamere di ultima generazione per esplorare i fondali marini e individuare il relitto. Questa tecnologia ha dimostrato di essere efficace nel trovare relitti precedenti.
Le sfide legali
Ricerche precedenti, come quella condotta dalla Odyssey Marine Exploration nel 2007, si sono scontrate con complicazioni legali riguardanti la proprietà del relitto. Sarà importante affrontare le questioni legali in modo chiaro e trasparente.
Il ritorno della leggenda
Il ritrovamento dell’ancora ha riportato alla ribalta una delle storie più leggendarie dei mari. La caccia al tesoro della Royal Merchant promette di essere un’avventura epica e potrebbe cambiare la fortuna di chiunque riesca a trovarla.
L’attesa
Mentre la Multibeam Services si prepara per la spedizione, il mondo tiene il fiato sospeso nell’attesa di notizie sul recupero del tesoro. Questo potrebbe essere il naufragio più ricco della storia, con enormi implicazioni finanziarie e storiche.
Mistero
Abbattuto l’albero di Robin Hood: condannati a 4 anni i due uomini ubriachi che lo segarono per “divertimento”
Il Sycamore Gap Tree era uno degli alberi più celebri del Regno Unito. I due uomini che lo hanno tagliato hanno agito sotto i fumi dell’alcol, con motosega e vernice spray. La giudice: “Lo hanno fatto per compiacersi, non per caso”.

Quattro anni e tre mesi di carcere per aver tagliato un albero. Ma non un albero qualunque. Era il Sycamore Gap Tree, il leggendario acero secolare affacciato sul Vallo di Adriano, diventato famoso in tutto il mondo grazie al film “Robin Hood, principe dei ladri” con Kevin Costner. Un simbolo della Gran Bretagna, patrimonio dell’Unesco, meta di pellegrinaggio per turisti, cinefili e amanti della natura. Fino a quella notte folle.
Era l’alba del 28 settembre 2023 quando Daniel Michael Graham, operaio di 39 anni, e Adam Carruthers, meccanico 32enne, sotto l’effetto dell’alcol, raggiunsero il sito con una motosega e della vernice spray. Tagliarono l’acero nel punto esatto per farlo crollare più in fretta, approfittando dei venti della tempesta Agnes. Filmavano tutto, ridendo. Il gesto sconvolse il Paese. Lo shock fu immediato. All’inizio fu arrestato un sedicenne, poi rilasciato. Ma le indagini andarono avanti, fino all’arresto dei due veri responsabili, ora condannati.
La giudice Sarah Lambert ha usato parole durissime: “Non è stata una semplice bravata da ubriachi. C’è stata pianificazione. E un certo compiacimento. Lo hanno fatto per sentirsi famosi”. Il danno è stato quantificato in 458mila sterline, ma la perdita è incalcolabile. “Era un santuario per molti”, ha detto Andrew Poad del National Trust. “Apparteneva alla nazione, ai cittadini. Un simile vandalismo è inimmaginabile”.
Nel tentativo di salvare l’albero, gli esperti si sono mobilitati per mesi. Inutilmente. L’acero era troppo danneggiato. “È una scena terribilmente triste”, ha scritto l’autore LJ Ross, che gli aveva dedicato un romanzo. Sui social del pub vicino, il Crown Inn, si leggeva: “Molti nostri clienti venivano per l’albero. Come si può essere così idioti?”.
Domanda legittima, alla quale la giustizia britannica ha risposto con severità. I due vandali ora sconteranno la loro pena in carcere. Ma l’albero di Robin Hood non tornerà più. E con lui, un pezzo del paesaggio e della memoria collettiva.
Mistero
Dracula sepolto a Napoli? Decifrata l’iscrizione sulla tomba misteriosa che riaccende la leggenda
Secondo una nuova ipotesi, Vlad l’Impalatore – ispiratore del Dracula letterario – non sarebbe morto in battaglia ma portato a Napoli dalla figlia e sepolto in una tomba nobiliare. La recente decifrazione di un’antica iscrizione potrebbe confermare tutto.

Dracula potrebbe essere morto a Napoli. Non è il plot di un film, ma una teoria che da anni incuriosisce studiosi, turisti e appassionati di misteri storici. Al centro di tutto, una tomba nel complesso monumentale di Santa Maria la Nova, a due passi dal cuore antico della città. E ora, una svolta clamorosa: la decifrazione di un’iscrizione funebre finora rimasta oscura rilancia la possibilità che sia davvero la sepoltura di Vlad III di Valacchia, il famigerato Impalatore passato alla leggenda come Dracula.
Ad anticiparlo è Giuseppe Reale, direttore del complesso, che dalla Romania fa sapere che un gruppo di studiosi ha interpretato la scritta come un elogio funebre dedicato proprio al principe valacco vissuto tra il 1431 e il 1477. Secondo la teoria, Vlad non sarebbe morto in battaglia, ma catturato dai turchi e poi liberato dalla figlia Maria Balsa, rifugiatasi a Napoli dopo essere stata adottata da una nobile famiglia locale.
Alla sua morte, Vlad sarebbe stato tumulato nella cappella Turbolo, nella tomba del suocero della figlia. La tomba, decorata con simboli egizi, draghi e iconografie non riconducibili alla tradizione locale, era già al centro di speculazioni fin dal 2014. Ora, però, la decifrazione dell’epigrafe – datata attorno al Cinquecento – dà nuova linfa alla leggenda.
Napoli, del resto, è abituata a ospitare l’impossibile: santi che fanno miracoli, sangue che si scioglie, teschi che parlano. E ora anche un Dracula… in trasferta definitiva. Non resta che attendere conferme, ma intanto il fascino resta intatto. Perché forse l’Impalatore non è mai tornato in Transilvania. Ha solo cambiato castello.
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