Mondo
L’Osservatore Romano confonde il nome del Papa: “Leone XVI” invece di “XIV”
Un refuso diventato subito un caso: l’Osservatore Romano ha titolato in prima pagina “Leone XVI” al posto di “Leone XIV”. L’errore non è passato inosservato e molti cardinali chiedono al Papa un riassetto radicale della comunicazione vaticana, puntando il dito contro il direttore Andrea Monda.

Non c’è più religione, si direbbe, se persino l’Osservatore Romano inciampa su un errore tanto vistoso. È successo martedì 3 giugno, quando il quotidiano ufficiale della Santa Sede ha sbagliato clamorosamente la numerazione del Papa: anziché “Leone XIV”, in prima pagina è apparso “Leone XVI”. Una gaffe che ha suscitato non solo ilarità ma anche indignazione dentro e fuori le mura vaticane.
A fare notizia non è solo il refuso, ma il contesto in cui arriva: la comunicazione della Santa Sede è già sotto accusa da mesi. Il direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, nominato da Papa Francesco nel 2018, è finito nel mirino dei porporati durante le Congregazioni generali prima dell’elezione del nuovo pontefice. In molti hanno lamentato “errori macroscopici” e “mala gestio” che minano la credibilità dell’informazione vaticana.
Secondo fonti vicine alla Curia, Papa Prevost starebbe pensando a un riassetto totale del Dicastero per la Comunicazione. Una riforma invocata da numerosi cardinali che temono che queste sviste, apparentemente banali, possano in realtà riflettere un problema più ampio di gestione e attenzione. Il clamore suscitato dall’errore ha fatto il giro delle sacre stanze, con molti prelati convinti che serva un cambio di passo e, forse, anche di persone.
L’Osservatore Romano, da sempre considerato la voce ufficiale del Vaticano, è oggi al centro di un piccolo terremoto mediatico che rischia di avere conseguenze non solo sull’immagine, ma anche sulla linea di comunicazione dell’intera Santa Sede. Dall’errore nella numerazione del Papa alle critiche interne sul modo di raccontare l’elezione e le sfide del pontificato, il tema è diventato bollente.
Nel frattempo, la “gaffe del Leone” ha fatto il giro del mondo, rimbalzando su social e siti d’informazione. Una figuraccia in piena regola, che in un altro momento sarebbe forse passata sotto silenzio, ma che in questo clima di tensione e transizione ha finito per accendere i riflettori su chi guida la macchina mediatica vaticana. Adesso, occhi puntati su Papa Prevost e sulle decisioni che prenderà per salvaguardare la credibilità – e la precisione – della voce ufficiale del cattolicesimo.
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Mondo
Elon Musk e Donald Trump, la faida si infiamma: un video su Epstein e il “nuovo partito” dell’80%
Elon Musk rilancia un video che ritrae Trump alle feste di Epstein e propone un nuovo partito che rappresenti l’80% degli americani. Trump contrattacca minacciando di rivedere i contratti con le aziende di Musk e promette “conseguenze gravi” se finanzierà i suoi avversari. La guerra è solo all’inizio.

La guerra tra Elon Musk e Donald Trump sembra essere entrata in una fase di fuoco aperto. Tutto è iniziato con un video, condiviso da Musk sui suoi profili social, che mostra l’ex presidente americano a feste organizzate da Jeffrey Epstein. Una provocazione vera e propria, accompagnata dall’emoji di una faccina perplessa. Il video, originariamente trasmesso da Msnbc, è bastato a innescare un altro capitolo nella faida già tesissima tra il presidente Usa e il magnate di Tesla e SpaceX.
Nonostante Musk abbia poi cancellato il post, il segnale è stato forte e chiaro. La tensione è ormai alle stelle, tanto che lo stesso Musk è arrivato a proporre la nascita di un nuovo partito politico: “Il popolo ha parlato. Serve un partito che rappresenti l’80% degli americani”, ha scritto in un sondaggio pubblicato su X, a cui hanno risposto 6 milioni di utenti. Ha anche proposto un nome, “the America Party”. È evidente che il ceo di Tesla non può correre per la Casa Bianca (essendo nato in Sudafrica), ma la potenza economica che può mobilitare lo rende un alleato o un nemico temibile per chiunque, anche per Trump.
La risposta del presidente non si è fatta attendere. In un’intervista a Nbc News, Trump ha minacciato ritorsioni economiche se Musk dovesse davvero sostenere i suoi avversari: “Se lo farà, pagherà conseguenze gravi”, ha detto senza specificare quali. Poco prima, a bordo dell’Air Force One, aveva già messo in guardia: “Rivedremo tutti i contratti tra l’amministrazione e le aziende di Musk. Sono un sacco di soldi e faremo ciò che è giusto”.
Un avvertimento pesante per Musk, che negli ultimi anni è diventato un pilastro strategico per il governo americano grazie a SpaceX e alle sue altre aziende. Ma il presidente sembra pronto a sfidare questo ruolo, mentre il Doge – il dipartimento creato ad hoc per i rapporti con Musk – resta attivo, anche se Trump ha già detto chiaramente: “Direi che i nostri rapporti sono finiti”.
La faida, intanto, continua a far tremare i repubblicani e a preoccupare l’America. Con due personalità così potenti e senza freni, la miccia è sempre accesa. E nessuno, per ora, osa spegnerla.
Mondo
Elon Musk e la “bomba” su Trump: tra minacce, video e la Russia pronta a offrirgli asilo politico
Elon Musk accusa Trump di essere coinvolto nei file Epstein e lo sfida sui social, mentre la Russia offre asilo politico al miliardario. Il presidente replica con minacce e avvisa: “Elon pagherà caro”. Una guerra di parole e potere che rischia di travolgere il Partito Repubblicano.

Sembra la trama di un thriller ad alta tensione, invece è la realtà: Elon Musk e Donald Trump, un tempo alleati politici, sono ora ai ferri corti come mai prima. L’ultimo capitolo della loro faida è un mix di accuse, video compromettenti e minacce che stanno scuotendo l’America e preoccupano i vertici del Partito Repubblicano.
Tutto è esploso quando Musk, sempre più infuriato con l’amministrazione Trump, ha ripostato un video di Msnbc in cui si vedrebbe il presidente Usa a feste di Jeffrey Epstein. E non ha mancato di lanciare la sua “bomba” su X: “Trump è nei file di Epstein. Questo è il vero motivo per cui non sono stati resi pubblici. Buona giornata, DJT!”. Un’accusa gravissima, priva per ora di prove, ma sufficiente per incendiare il dibattito pubblico e alimentare i sospetti su un presunto insabbiamento.
Trump non è rimasto a guardare e ha reagito con durezza. Prima ha accusato Musk di essere “contrariato” dalla revoca dell’obbligo di introdurre auto elettriche negli Stati Uniti. Poi lo ha minacciato apertamente: “Se Musk deciderà di sostenere i miei avversari, pagherà conseguenze gravi”, ha detto in un’intervista a Nbc News. Il messaggio è chiaro: l’ex amico miliardario è avvertito.
A rendere ancora più surreale la situazione ci ha pensato la Russia. Dmitry Novikov, vicepresidente della Commissione Esteri della Duma, ha dichiarato all’agenzia TASS che Mosca sarebbe pronta a offrire asilo politico a Musk “se ne avesse bisogno”. Una provocazione che arriva mentre i negoziati tra Russia e Ucraina restano in stallo, segno che il Cremlino non rinuncia a giocare la carta Musk nella sua partita geopolitica.
Il magnate, dal canto suo, ha rilanciato la sfida a Trump: “Senza di me, avrebbe perso le elezioni e i democratici avrebbero il controllo del Congresso. Che ingratitudine!”, ha scritto su X, rivendicando di essere stato determinante per il successo elettorale del tycoon.
Intanto, fonti di Newsweek confermano che la Casa Bianca sta “valutando” la situazione e il clima di tensione con Musk, definito “insoddisfatto” delle nuove leggi federali. Un equilibrio sempre più fragile, mentre i repubblicani temono che la battaglia tra l’uomo più potente e quello più ricco d’America finisca per spaccare il partito e aprire una crisi politica senza precedenti.
Per ora, Musk non ha fornito prove delle sue accuse su Trump e i file Epstein, ma la faida è destinata a proseguire. E a Washington cresce la sensazione che, comunque vada, questa guerra personale non resterà senza conseguenze per l’equilibrio politico del Paese.
Mondo
007 in allarme: il telefono di Trump è una minaccia nazionale?
Il presidente risponde a numeri anonimi con estrema disinvoltura, ignorando i rischi di intercettazione da parte di hacker cinesi e iraniani. Gli agenti di sicurezza temono per la sicurezza nazionale.

Già da ex presidente Donald Trump è stato un pericolo. Da presidente lo è ancra di più. Il motivo? Semplice: risponde alle chiamate che riceve con il suo telefono. E negli ambienti della CIA e del Secret Service il telefono personale di Trump è diventato un incubo tecnologico perchè ignora ogni avvertimento e continua a rispondere a chiamate da numeri sconosciuti, mettendo a rischio la sicurezza delle comunicazioni presidenziali.
Pronto chi parla? Donald Trump of course
Secondo un’inchiesta di The Atlantic, gli hacker cinesi e iraniani potrebbero ascoltare ogni conversazione, raccogliendo informazioni preziose per attività di spionaggio. Non sarebbe la prima volta. Già in passato, pirati informatici iraniani hanno violato il sistema di posta elettronica della campagna elettorale di Trump, mentre gruppi legati a Pechino hanno infiltrato le email del Comitato Nazionale Repubblicano. Eppure, mentre altri membri della sua squadra hanno adottato precauzioni, come cambiare numero di telefono o utilizzare cellulari usa e getta, Trump non è mai sembrato preoccuparsene. Il tycoon è talmente affezionato al suo telefono che ha persino impostato come salvaschermo una foto di sé stesso.
Ma è davvero un rischio reale per la sicurezza nazionale?
Gli 007 americani temono che proprio questo atteggiamento disinvolto possa trasformarsi in un vettore di attacchi informatici. Se il telefono del presidente può essere protetto dagli hacker, le chiamate che lui stesso effettua potrebbero esporre dati sensibili. L’intelligence ha già messo in allarme la Casa Bianca, sollecitando misure di sicurezza più stringenti. Ma riuscire a far cambiare abitudini a Trump potrebbe essere una missione più difficile di qualsiasi operazione segreta. Nel frattempo, il timore cresce: la sicurezza nazionale può davvero dipendere dalle chiamate spericolate di un uomo così attaccato al suo telefono? Gli agenti del Secret Service incrociano le dita e tengono i firewall pronti.
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