Cronaca
Giustizia in fuorigioco: il processo sulla morte di Maradona annullato per uno scandalo da soap argentina
Altro che calcio spettacolo: il processo sulla morte di Diego Armando Maradona è stato clamorosamente annullato a causa di uno scandalo giudiziario che ha travolto una delle giudici del tribunale. Il caso, che avrebbe dovuto fare luce sulle responsabilità mediche legate alla scomparsa del Pibe de Oro, si trasforma in un grottesco giallo tra favoritismi e polemiche. E intanto, la giustizia… resta in panchina.

La giustizia argentina perde un altro pezzo importante nel puzzle della verità sulla morte di Diego Armando Maradona, scomparso il 25 novembre 2020. Il processo che avrebbe dovuto giudicare le presunte negligenze mediche sulle sue cure è stato annullato, e non per vizi procedurali, mancanza di prove o cavilli legali. No, stavolta c’entra un clamoroso scandalo giudiziario che ha travolto una delle figure chiave del tribunale.
La giudice sotto accusa: favoritismi e comportamenti poco imparziali
Il colpo di scena degno di un dramma da serie tv: una giudice coinvolta nel processo è finita al centro di una bufera mediatica per presunti comportamenti inadeguati, favoritismi e rapporti poco trasparenti con alcune parti coinvolte nel procedimento. Le accuse sono gravi, tanto da minare la credibilità dell’intero processo e costringere la giustizia argentina a un’amara marcia indietro.
Un mito che non trova pace nemmeno in tribunale
La leggenda del calcio argentino e mondiale sembra destinata a restare senza giustizia, almeno per ora. Il processo avrebbe dovuto accertare eventuali responsabilità penali di medici, infermieri e dirigenti sanitari, accusati di negligenze nella gestione della salute del campione nei suoi ultimi giorni. Ma tra perizie contrastanti, strategie difensive e adesso anche scandali giudiziari, la verità continua a sfuggire come un dribbling impossibile del Diez.
E adesso? Nuovo processo, nuove incognite
Con l’annullamento del procedimento, si apre uno scenario confuso: verrà nominato un nuovo collegio giudicante? I tempi si allungheranno ulteriormente? Le difese torneranno a giocare a favore di prescrizioni e cavilli? I legali delle parti civili parlano di “vergogna” e “oltraggio alla memoria di Maradona”, mentre i familiari attendono ancora una risposta vera, non solo in prima pagina.
Tra mito, mistero e magistratura: un’altra partita che l’Argentina perde
Siamo davanti a un caso che racconta molto più del solo calcio: parla di istituzioni fragili, giustizia inciampata e simboli nazionali lasciati all’abbandono. Maradona è stato – e resta – un’icona globale, ma la gestione della sua morte e del processo relativo sembra più simile a un pasticcio burocratico che a un tributo giudiziario degno della sua leggenda. In campo, Diego non si arrendeva mai. In tribunale, invece, è costretto a cedere ancora una volta, vittima di un sistema che sembra preferire il replay eterno al fischio finale della verità. In attesa di un nuovo processo la giustizia resta sospesa… come un pallone che nessuno osa più calciare.
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Cronaca Nera
Paola e Stefania Cappa, la verità in bilico sul delitto di Garlasco e i misteri che nessuno indaga
Dalla bicicletta nera alla fossa comune di silenzi e incongruenze: Paola e Stefania Cappa, cugine di Chiara Poggi, restano al centro di un intrigo che da diciotto anni non smette di alimentare sospetti e teorie. In questa storia di segreti e omissioni, sono loro a portare con sé la chiave mancante.

C’è una bicicletta da donna nera, con portaborse color fucsia, parcheggiata davanti alla villetta di via Pascoli a Garlasco. C’è una famiglia, i Cappa, che in quella casa aveva accesso e confidenza, unica insieme alla vittima e alla sua famiglia. C’è un tentativo di suicidio, due giorni prima del delitto, e una violenza mai approfondita subita in tenera età. Ombre, sospetti e misteri, che gravitano attorno a Paola e Stefania Cappa e a un delitto – quello di Chiara Poggi – che, a distanza di quasi due decenni, ancora non trova un punto fermo.
13 agosto 2007
Siamo a Garlasco, provincia di Pavia. È il 13 agosto 2007 quando Chiara Poggi viene ritrovata morta nella cantina di casa sua. Alberto Stasi, fidanzato della vittima, verrà poi condannato in via definitiva per omicidio. Ma la vicenda processuale ha lasciato buchi neri e interrogativi mai risolti, tra cui quelli che riguardano proprio le gemelle Cappa.
Il suicidio tentato
Paola, la più fragile, aveva tentato il suicidio l’11 agosto, due giorni prima del delitto. Un gesto disperato e carico di significati che nessun investigatore ha mai approfondito. Paola, sempre lei, ha parlato di un uomo con la camicia bianca, “non il fidanzato”, che avrebbe ucciso Chiara, secondo una misteriosa sensitiva.
Stefania ha incastrato Stasi?
Stefania, la più spavalda, invece ha partecipato a un colloquio con Alberto Stasi registrato in caserma dai carabinieri. Con una frase sconcertante: “Ma alle 9 e mezza?”, orario del delitto che verrà confermato solo anni dopo. Come faceva a saperlo? Nessuno gliel’ha mai chiesto.
I Cappa avevano le chiavi di casa
I Cappa, unica famiglia insieme ai Poggi a detenere le chiavi e l’allarme di casa, non hanno mai dato un racconto davvero lineare di quella mattina. Ermanno, lo zio potente e influente in paese, parla di orari che non coincidono. Maria Rosa, la moglie, viene vista in giro in auto prima di quanto dichiara. E Stefania e Paola restano nell’ombra, tra mezze verità e reticenze.
In questo quadro ambiguo, c’è la bicicletta. Quella bici da donna, la “Raleigh” con le borse laterali fucsia, era lì, immortalata nella memoria delle vicine. Mai fotografata. Mai sequestrata. Mai confrontata con la bici che porterà poi alla condanna di Alberto Stasi. Un dettaglio sfuggito o forse ignorato.
E poi c’è la Croce Garlaschese, dove Paola e Stefania facevano volontariato. Proprio lì un muratore denuncia la sparizione di una mazzetta da un chilo, un attrezzo potenzialmente letale. Era il 20 agosto, appena una settimana dopo l’omicidio. Coincidenze? Forse. Ma la Procura di Pavia ha deciso di riaprire quel cassetto.
Il cerchio dei sospetti e delle chiacchiere di paese si stringe attorno alle gemelle. Paola, con i suoi messaggi vocali a un amico in cui confessa di essere stata “usata” per incastrare Stasi. Stefania, che a quattro giorni dal delitto si muove tra le voci e i misteri di Garlasco, alla ricerca di verità. Un microcosmo di silenzi e di bugie, dove l’unica certezza resta la morte di Chiara Poggi.
Oggi, i nuovi approfondimenti della Procura puntano a colmare quei vuoti investigativi lasciati negli anni. Paola e Stefania sono lì, in bilico tra la memoria e il sospetto, testimoni di un mondo dove la verità è sempre stata un passo più in là.
Politica
Grillo verso l’azione legale per riprendersi simbolo e nome del M5s, sfida a Conte
Beppe Grillo si prepara a una battaglia legale per riprendersi il simbolo e il nome del Movimento 5 Stelle. Dopo l’abolizione del suo ruolo di garante, il comico genovese vuole rilanciare la sfida a Conte e rivendicare la paternità del progetto pentastellato.

Beppe Grillo dichiara guerra al Movimento 5 Stelle. Anzi, a quello che resta del progetto politico che lui stesso aveva creato insieme a Gianroberto Casaleggio nel 2009. Il comico genovese, estromesso di fatto dal ruolo di garante con la riforma dello statuto approvata a fine 2024, non intende restare a guardare: secondo fonti a lui vicine, Grillo avrebbe già dato mandato ai suoi legali per “riappropriarsi del simbolo e del nome del M5s”. Una mossa che potrebbe riaprire le fratture tra l’ideatore e l’attuale leader, Giuseppe Conte.
Il simbolo e il nome del M5s, registrati nel 2012 come marchio dell’associazione con sede a Genova, rappresentano un tesoro politico e comunicativo. Non a caso, Grillo avrebbe commentato così la situazione dopo la Costituente: “Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio. Fatevi un altro simbolo. Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no”. Parole che lasciano poco spazio ai dubbi: il fondatore sente ancora come suo il cuore del Movimento e ritiene che la nuova gestione lo stia tradendo.
La scintilla che ha fatto scattare l’azione legale è stata la modifica dello statuto voluta da Conte. Il ruolo di garante, che per anni aveva permesso a Grillo di supervisionare le scelte e gli orientamenti del Movimento, è stato eliminato lo scorso novembre, sancendo la rottura definitiva tra le due anime del M5s. Non solo: Grillo non ha mai digerito la decisione di abolire il limite dei due mandati, considerato un pilastro della visione originaria. “L’abolizione del limite di due mandati è una sconfitta dei nostri valori”, aveva detto. E ora sembra pronto a far valere in tribunale le sue ragioni.
L’azione legale potrebbe aprire un nuovo capitolo nella saga pentastellata. Se Grillo dovesse ottenere un pronunciamento a suo favore, Conte e il nuovo corso del Movimento si troverebbero costretti a rinunciare a simbolo e nome, rischiando di perdere il legame con la storia e l’identità originaria del partito. Un’ipotesi che agiterebbe ancora di più le acque già tumultuose della politica grillina.
Dietro questa sfida legale si intravede anche la volontà di Grillo di non restare nell’ombra. Nonostante la sua attività politica sia ormai più defilata e il legame con i vertici del Movimento sia ai minimi termini, il comico genovese non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Anche di recente, dal suo blog e dalle apparizioni pubbliche, ha continuato a ribadire la sua visione di un Movimento “libero e leggero, non schiavo delle poltrone e delle mediazioni”.
Le prossime settimane saranno decisive per capire se l’azione legale verrà formalmente avviata e quali saranno le conseguenze per Giuseppe Conte e per il gruppo dirigente del M5s. Per ora, l’unica certezza è che Grillo non intende lasciare in silenzio il simbolo e il nome del Movimento che aveva fondato e che considera ancora il frutto più importante del suo impegno politico.
Italia
Italia tra inflazione e crescita: il difficile equilibrio dei salari reali
Lo shock inflazionistico ha riportato i salari reali ai livelli del 2000, ma la ripresa economica offre segnali di miglioramento. La Banca d’Italia analizza i problemi e le prospettive del Paese.

L’economia mondiale attraversa un momento di grande incertezza, e l’Italia non è immune dalle difficoltà globali. Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia, ha illustrato nelle sue considerazioni finali e nella relazione per il 2024 gli aspetti più critici dello scenario attuale, con particolare attenzione al mercato del lavoro e al potere d’acquisto delle famiglie. Uno dei punti cardine del suo intervento riguarda la stagnazione dei salari reali, un problema che ha radici profonde nella bassa produttività dell’economia italiana. Nonostante alcuni segnali positivi, lo shock inflazionistico degli ultimi anni ha riportato i livelli retributivi al di sotto di quelli del 2000, compromettendo la capacità di spesa delle famiglie.
Un contesto globale difficile
Panetta ha evidenziato le incognite internazionali che influenzano l’economia italiana. Le tensioni geopolitiche, le dispute commerciali e i conflitti in corso hanno incrinato la fiducia globale, tanto che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha abbassato le stime di crescita mondiale per il prossimo biennio a meno del 3%, molto al di sotto della media dei decenni passati. La trasformazione economica è evidente: nel 2000, i Paesi del G7 generavano quasi la metà del PIL globale, oggi la loro quota si è ridotta a meno di un terzo. L’ordine multilaterale che regolava i rapporti tra Stati è entrato in crisi, sostituito da un sistema multipolare, dominato sempre più dai rapporti di forza economici e politici.
I progressi dell’Italia
Nonostante le difficoltà, la Banca d’Italia sottolinea che l’Italia ha rafforzato alcuni fondamentali della sua economia. Rispetto a quindici anni fa, quando le valutazioni sul debito pubblico iniziavano a peggiorare, il Paese ha migliorato la sua posizione patrimoniale verso l’estero, passata da -20% del PIL a +15%. Anche il sistema bancario ha compiuto passi significativi, consolidandosi e migliorando la sua stabilità. Panetta ha spiegato che crescita economica e stabilità dei conti pubblici sono strettamente legati. Una finanza pubblica solida favorisce gli investimenti, mentre una crescita sostenuta rende meno gravoso il consolidamento di bilancio.
Emergenza demografica e rilancio del lavoro
Uno dei problemi più seri riguarda la bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione. Secondo l’Istat, entro il 2040 il numero di persone in età lavorativa calerà di 5 milioni, con una riduzione del PIL stimata nell’11% (pari all’8% in termini pro capite). Per contrastare questo declino, servono politiche mirate a migliorare l’inclusione lavorativa delle donne, che in Italia hanno ancora uno dei tassi di occupazione più bassi d’Europa. Inoltre, è necessario favorire un’immigrazione regolare qualificata e incentivare il rimpatrio dei 700.000 italiani emigrati nell’ultimo decennio.
Il nodo dei salari reali e della produttività
Panetta ha fatto chiarezza su un tema spesso dibattuto: il livello dei salari reali. La loro stagnazione è direttamente legata alla produttività, che in Italia cresce molto meno rispetto agli altri Paesi europei. Negli ultimi anni, gli aumenti retributivi sono stati insufficienti per garantire una crescita solida. L’inflazione ha eroso il potere d’acquisto, riportando le retribuzioni indietro di oltre due decenni, al di sotto dei livelli del 2000. Il vero rilancio passa attraverso l’innovazione, l’accumulazione di capitale e un’azione pubblica incisiva, in grado di migliorare la competitività del Paese e garantire salari più alti e sostenibili nel tempo. Nonostante il quadro complesso dalla relazione della Banca d’Italia emergono alcuni segnali positivi. Il potere d’acquisto delle famiglie ha ripreso a crescere nel 2024, con un aumento dell’1,3%, favorito dalla riduzione dell’inflazione e dall’aumento dell’occupazione. Anche le prestazioni sociali, in particolare le pensioni, hanno continuato a espandersi, sostenendo il reddito delle famiglie.
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