Storie vere
Angela, eroina ignorata dalle istituzioni, premiata col Radicchio d’Oro
Mentre le istituzioni tacciono, Angela Isaac riceve il premio per il coraggio e la solidarietà: un atto eroico che ha salvato una vita senza chiedere nulla in cambio
L’anziano, in balìa della piena mentre cercava di mettersi in salvo a bordo del suo scooter lungo via Etnea, non avrebbe avuto scampo senza il coraggio di Angela. Un mese dopo, tuttavia, nessun riconoscimento ufficiale è giunto da parte delle istituzioni. Nonostante i dieci anni vissuti a Catania, la cittadinanza italiana rimane un miraggio per Angela, che lavora come barista e ha un figlio di due anni. Tuttavia, un segnale di apprezzamento arriva dal Veneto, dove lunedì 18 novembre, al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, riceverà il Premio Radicchio d’oro, un riconoscimento alla solidarietà e al coraggio, assegnato a figure di spicco che si sono distinte per il loro altruismo e che è nato nel 1999 dall’idea di Egidio Fior e Pietro Gallonetto.
Angela confida che il giorno del salvataggio non ha esitato a gettarsi nelle acque tumultuose, nonostante il rischio per la propria vita. «Sì, l’ho pensato. Avevo paura, non lo nascondo, ma una persona era in grave difficoltà davanti ai miei occhi. Nessuno interveniva, la gente lì intorno continuava a riprendere con i telefonini senza fare niente, non potevo lasciarlo morire, mi sono buttata», racconta. «Non è stato facile: lui era sotto choc, un uomo anche grosso, e c’era la furia della piena. Non so dove ho trovato la forza per trascinarlo fuori, ma ci sono riuscita».
Il suo atto eroico, però, è rimasto senza riscontro ufficiale. Alla domanda se il sindaco di Catania Enrico Tarantino (Fratelli d’Italia) le abbia consegnato una medaglia, Angela risponde con semplicità: «No. Ma io l’ho fatto con il cuore, senza aspettarmi riconoscimenti». Anche la proposta del deputato Matteo Sciotto per una medaglia d’oro della Regione Sicilia è rimasta senza seguito: «No», afferma Angela, senza rimostranze. «Nessuno mi ha contattata. Ma l’ho fatto con il cuore, non per avere qualcosa in cambio».
Sulle difficoltà nel ricevere la cittadinanza italiana, Angela è serena: «Sarei contenta di avere la cittadinanza italiana, ma è una decisione del Governo. Se ritengono che non la meriti, lo accetto. Non costringo nessuno».
Il rapporto con la persona che ha salvato si è concluso quel giorno stesso. «Non l’ho mai più visto. È passato un suo nipote al bar dove lavoro e mi ha ringraziata. Il giorno dell’alluvione, dopo che l’ho messo in salvo, ognuno è andato per la sua strada. Lui sanguinava dalla testa, è stato soccorso e medicato. Io ero impegnata a salvare dalla piena i tavoli del plateatico del bar…».
Nonostante il gesto eroico, la vita di Angela prosegue senza cambiamenti. «No, è sempre uguale. Continuo a lavorare al bar otto ore al giorno, dalle sette di mattina, il tempo che resta lo trascorro con mio figlio». Anche la parentesi mediatica non ha lasciato segni duraturi: «Sì, mi ha fatto piacere, mi sono divertita, è stato un modo per far capire al mondo che esistono persone di cuore, che non si girano dall’altra parte. Ma poi sono tornata alla mia solita vita».
L’eroina di Catania, che non ha ricevuto alcun supporto economico, mantiene sogni semplici. «Nessuno. Tanti però ne hanno parlato…». E se le si chiede cosa desideri, Angela non ha esitazioni: «Una vita normale, crescere mio figlio senza preoccupazioni, occuparmi della mia famiglia, lavorare. Mi piace il lavoro, avrei bisogno di un po’ di tranquillità economica. Non mi interessa diventare ricca, ma non vorrei essere povera»Quanto ai sogni grandi, quelli che si fanno nelle favole? Angela sorride: «Un sogno? Mi piacerebbe fare l’attrice».
Angela Isaac, 28 anni, giovane barista nigeriana residente a Catania, è la donna che, durante l’alluvione dello scorso ottobre, ha rischiato la vita per salvare un anziano trascinato dalla furia delle acque. «Un uomo aveva bisogno d’aiuto, travolto dalla violenza dell’acqua, dovevo salvarlo, non ho pensato a nient’altro. Non potevo lasciarlo morire», ricorda Angela, la cui decisione di gettarsi nei flutti e trascinarlo fuori ha segnato la differenza tra la vita e la morte.
L’anziano, in balìa della piena mentre cercava di mettersi in salvo a bordo del suo scooter lungo via Etnea, non avrebbe avuto scampo senza il coraggio di Angela. Un mese dopo, tuttavia, nessun riconoscimento ufficiale è giunto da parte delle istituzioni. Nonostante i dieci anni vissuti a Catania, la cittadinanza italiana rimane un miraggio per Angela, che lavora come barista e ha un figlio di due anni. Tuttavia, un segnale di apprezzamento arriva dal Veneto, dove lunedì 18 novembre, al Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, riceverà il Premio Radicchio d’oro, un riconoscimento alla solidarietà e al coraggio, assegnato a figure di spicco che si sono distinte per il loro altruismo e che è nato nel 1999 dall’idea di Egidio Fior e Pietro Gallonetto.
Angela confida che il giorno del salvataggio non ha esitato a gettarsi nelle acque tumultuose, nonostante il rischio per la propria vita. «Sì, l’ho pensato. Avevo paura, non lo nascondo, ma una persona era in grave difficoltà davanti ai miei occhi. Nessuno interveniva, la gente lì intorno continuava a riprendere con i telefonini senza fare niente, non potevo lasciarlo morire, mi sono buttata», racconta. «Non è stato facile: lui era sotto choc, un uomo anche grosso, e c’era la furia della piena. Non so dove ho trovato la forza per trascinarlo fuori, ma ci sono riuscita».
Il suo atto eroico, però, è rimasto senza riscontro ufficiale. Alla domanda se il sindaco di Catania Enrico Tarantino (Fratelli d’Italia) le abbia consegnato una medaglia, Angela risponde con semplicità: «No. Ma io l’ho fatto con il cuore, senza aspettarmi riconoscimenti». Anche la proposta del deputato Matteo Sciotto per una medaglia d’oro della Regione Sicilia è rimasta senza seguito: «No», afferma Angela, senza rimostranze. «Nessuno mi ha contattata. Ma l’ho fatto con il cuore, non per avere qualcosa in cambio».
Sulle difficoltà nel ricevere la cittadinanza italiana, Angela è serena: «Sarei contenta di avere la cittadinanza italiana, ma è una decisione del Governo. Se ritengono che non la meriti, lo accetto. Non costringo nessuno».
Il rapporto con la persona che ha salvato si è concluso quel giorno stesso. «Non l’ho mai più visto. È passato un suo nipote al bar dove lavoro e mi ha ringraziata. Il giorno dell’alluvione, dopo che l’ho messo in salvo, ognuno è andato per la sua strada. Lui sanguinava dalla testa, è stato soccorso e medicato. Io ero impegnata a salvare dalla piena i tavoli del plateatico del bar…».
Nonostante il gesto eroico, la vita di Angela prosegue senza cambiamenti. «No, è sempre uguale. Continuo a lavorare al bar otto ore al giorno, dalle sette di mattina, il tempo che resta lo trascorro con mio figlio». Anche la parentesi mediatica non ha lasciato segni duraturi: «Sì, mi ha fatto piacere, mi sono divertita, è stato un modo per far capire al mondo che esistono persone di cuore, che non si girano dall’altra parte. Ma poi sono tornata alla mia solita vita».
L’eroina di Catania, che non ha ricevuto alcun supporto economico, mantiene sogni semplici. «Nessuno. Tanti però ne hanno parlato…». E se le si chiede cosa desideri, Angela non ha esitazioni: «Una vita normale, crescere mio figlio senza preoccupazioni, occuparmi della mia famiglia, lavorare. Mi piace il lavoro, avrei bisogno di un po’ di tranquillità economica. Non mi interessa diventare ricca, ma non vorrei essere povera».
Quanto ai sogni grandi, quelli che si fanno nelle favole? Angela sorride: «Un sogno? Mi piacerebbe fare l’attrice».
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Storie vere
Amore e fede: il coraggio di seguire il cuore contro le regole del celibato. Don Daniele non è il primo e non sarà l’ultimo…
Sta facendo il giro del web la storia di don Daniele Fregonese in servizio presso la Diocesi di Treviso che lascia il sacerdozio per andare a vivere con una parrocchiana.
Caro Don Daniele non stia in ansia. Il suo caso non è il primo e siamo certi che non sarà l’utimo caso di un sacerdote che lascia il suo incarico perchè si innamora di una parrocchiana e abbandona il celibato. La scelta di Daniele Fregonese, ex sacerdote della diocesi di Treviso – 51 anni originario di Fossalta di Piave – di lasciare il sacerdozio per vivere un amore nato con una donna che frequentava la sua parrocchia, ha acceso il dibattito su una questione complessa. E antica. Ovvero il celibato obbligatorio per i sacerdoti. Sebbene unico per l’attenzione mediatica ricevuta, il caso, come tutti sappiamo, non è isolato. Quello di Don Daniele è una storia nata con una collega in uno dei gruppi scout in cui era attivo da ormai diversi anni nel comune di Spresiano (Treviso).
Don Daniele e i tanti ruoli ricoperti
E pensare che il Don ricopriva diversi ruoli nelle diocesi di Treviso. Oltre che svolgere la finzione di parroco era anche vice cancelliere e direttore delle comunicazioni sociali. Le sue competenze in diritto canonico, inoltre, gli avevano permesso di assicurarsi un ruolo di docenza all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Giovanni Paolo I. Ma qualche mese fa ha richiesto la riduzione allo stato laicale.
Celibato dei preti: una “disciplina rivedibile”
Tra gli episodi più recenti, si segnala Don Antonio Romano di Avellino, che dopo 23 anni di servizio ha rinunciato al ministero, annunciando su Facebook di aver trovato l’amore con una donna e di voler continuare il suo cammino di fede come missionario laico. Anche Don Tomas Hlavaty, parroco nella diocesi di Alba, ha fatto una scelta simile, abbandonando la tonaca per costruire una vita familiare e diventare papà. Questi episodi riflettono un crescente malessere che coinvolge molti sacerdoti. Le loro scelte non sono solo personali ma sollevano interrogativi sulla regola del celibato, definita da Papa Francesco una “disciplina” rivedibile. Mentre le Chiese ortodosse e alcune tradizioni cattoliche orientali permettono il matrimonio ai sacerdoti, il dibattito nella Chiesa occidentale rimane acceso, anche per fronteggiare il calo delle vocazioni. Storie che sollevano domande cruciali sul rapporto tra amore, fede e servizio spirituale.
Storie vere
Il coraggio di Matteo: dopo lo squalo, rinasce con una protesi e sogna l’Australia
Ritrovarsi in mezzo agli squali una seconda volta, con una protesi al posto della gamba, è un’esperienza che pochi riuscirebbero anche solo a immaginare.
Per molti, sopravvivere a un attacco di squalo sarebbe un trauma insuperabile. Per Matteo Mariotti, parmense ed ex studente dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti, è diventato il punto di partenza per una straordinaria sfida personale. Attaccato in Australia, Matteo ha perso la gamba sinistra, ma non la sua voglia di vivere. Tre mesi dopo, si è tuffato di nuovo in mare, circondato dagli squali, per affrontare il proprio destino a testa alta e dimostrare a sé stesso che nulla può fermarlo.
Riconciliazione con il mare e lo squalo
Per Matteo è stato come chiudere un cerchio. “Prima di tuffarmi avevo ansia, ma una volta lì sotto mi sono sentito calmo, come riconciliato con quella parte di me e del mare. Trovarsi in mezzo agli squali dopo l’attacco è un’esperienza indescrivibile, ma era un passo necessario per andare avanti“. Il desiderio di continuare a vivere appieno ha spinto Matteo a un progetto ambizioso: creare protesi che gli permettano di praticare sport estremi come arrampicata, motocross, wakeboard e kitesurf. Non trovando sul mercato soluzioni adeguate, Matteo, insieme a un amico e con l’aiuto di ingegneri, ha deciso di costruire le protesi lui stesso.
“Voglio che queste protesi siano il mezzo per tornare a essere me stesso e, magari, aiutare altre persone nella mia situazione“, spiega. “Per me, questo incidente è solo un contrattempo. Non voglio limitarmi a sopravvivere, voglio vivere al massimo“.
Il ritorno in Australia con la sua protesi
Per Matteo, l’Australia non è solo il luogo dell’incidente, ma una terra di opportunità. “Qui a Monchio sto bene, ma sono limitato. Lì, lo stile di vita mi permette di crescere e vivere come desidero. Voglio riprendere in mano la mia vita e continuare a inseguire i miei sogni“. Tra questi, c’è anche la possibilità di completare il percorso in biologia marina che aveva iniziato prima di subire l’attacco dello squalo.
Storie vere
Si chiama Alen, il giovane eroe della Bassa Padana che salva una vita sulle Rive del Po
Un giovane autista di una ditta di Verona, lunedì mattina mentre era diretto a Dosolo per una consegna, ha notato qualcosa di strano…
Questa storia si svolge nella quiete apparentemente immutabile della Bassa Padana, a due passi dal fiume Po, tra campi di nebbia e paesaggi che sembrano usciti dalle storie di Don Camillo e Peppone. Lì si è consumato un dramma che avrebbe potuto finire in tragedia. È solo grazie al coraggio di Alen Halilovic, un giovane di 21 anni originario della Bosnia ma cresciuto in Italia, che quella giornata a Guastalla non si è trasformata in un altro tragico racconto di cronaca nera.
L’inizio di un atto eroico
E’ successo che lunedì mattina, lungo una strada solitaria che costeggia i campi umidi vicino al ponte sul Po, Alen, autista per una ditta di Verona, era diretto a una consegna. All’incrocio con la provinciale, una BMW bianca ferma con le portiere aperte ha attirato la sua attenzione. Avvicinandosi, ha visto qualcosa che lo ha fatto fermare di colpo: un uomo corpulento era a cavalcioni su una donna, la picchiava e brandiva un coltello. Senza pensarci, Alen ha invertito la marcia, si è piazzato dietro la vettura e, con il cellulare in mano, ha iniziato a filmare la scena mentre urlava per distrarre l’aggressore.
Alen: faccia a faccia con il pericolo
L’uomo della BMW, alto quasi un metro e novanta, si è girato verso di lui, il coltello sporco di sangue nella mano destra. “Aveva gli occhi spalancati e le labbra bianche, sembrava fuori di sé“, racconta Alen. Nonostante il timore, il giovane non si è tirato indietro: ha continuato a distrarlo e, quando l’uomo ha cercato di trascinare la donna in auto, si è lanciato contro di lui, riuscendo a mettersi in mezzo e a bloccarlo.
Una lotta contro il tempo
La donna, ferita al collo, si è aggrappata alla gamba di Alen, disperata. “Mi diceva: sto morendo, aiutami, non vedo e non sento più niente“, ricorda il ragazzo. Nel frattempo, il destino ha mandato un aiuto insperato: un’ambulanza della Croce Rossa, che passava per caso, si è fermata per prestare soccorso. Alen, con una lucidità straordinaria, ha persino chiamato la madre della donna per rassicurarla e raccontarle quanto accaduto. Nel frattempo, l’aggressore è fuggito, ma il giovane aveva già ripreso tutto con il cellulare, fornendo così alle autorità preziose prove per identificarlo.
Alen un eroe alla Guareschi…
“Tanta gente si volta dall’altra parte“, ha detto Alen con amarezza. “Io ho pensato che quella donna poteva essere una mia amica, mia sorella o mia madre. Non ci ho pensato un secondo: dovevo intervenire“.
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