Storie vere
Simone (19 anni) è il prof più cool della scuola: lezioni di informatica e show di hip hop
Simone Scarano a 19 anni è professore con la passione per l’hip hop. Insegna informatica e balla cercando il suo equilibrio.

A diciannovenne ha già realizzato il sogno di diventare insegnante. Due settimane fa, ha iniziato la sua carriera come Insegnante Tecnico Pratico (ITP) all’Istituto Luca Pacioli di Crema, dove gestisce il laboratorio di informatica in diversi indirizzi tecnici. Originario di Melito di Napoli, il prof Simone Scarano quando si è trattato di scegliere la regione dove fare richiesta per andare a insegnare ha scelto la Lombardia per il maggior numero di posti disponibili. E quindi eccolo a Crema, dove sta affrontando la sfida di una nuova vita e una nuova professione.
La formula magica del prof più giovane d’Italia? Click e un passo di danza
Il giovane insegnante racconta le difficoltà iniziali di essere scambiato per un allievo dai colleghi e persino dagli studenti, ma insiste sull’importanza di mantenere un comportamento professionale: “Non è per fare lo sbruffone, ma sto svolgendo una professione e devo mantenere un atteggiamento formale“. Simone ci tiene a essere chiamato “professore” dai suoi studenti e cerca di trovare il giusto equilibrio tra vicinanza e distacco, pur essendo sempre disponibile per loro. Del resto fino a poco tempo fa era uno di loro, lì tra i banchi…
Dalla vivacità della Campania alla fredda nebbiolina della Lombardia
Si è diplomato nel 2023 con il massimo dei voti all’istituto Minzoni di Napoli in Amministrazione, Finanza e Marketing, e quindi si è iscritto a Scienze Motorie all’Università Parthenope di Napoli. A quel punto ha deciso di tentare il concorso per insegnare, superandolo brillantemente. La sua passione per l’insegnamento è nata durante il periodo del Covid, quando si trovò ad aiutare compagni in difficoltà nello studio. “La pedagogia e la didattica sono stati gli ostacoli più duri, ma ce l’ho fatta“, racconta con soddisfazione.
Per ora vive in un B&B ma sta cercando casa
Attualmente, vive tra un B&B durante la settimana e la casa degli zii a Verona nel weekend, in attesa di trovare un alloggio stabile. La mancanza di un’auto complica la ricerca di un’abitazione ben collegata con i mezzi pubblici, ma Simone si dice ottimista ed è molto riconoscente per il sostegno ricevuto dalla sua famiglia.
Mai farsi dare del tu dagli alunni e i sospetti dei prof vecchio stampo…
Simone ha saputo guadagnarsi la fiducia e l’attenzione degli studenti, portando in aula la sua passione per l’informatica e il linguaggio di programmazione Python. Ma anche per l’altra sua grande passione. Cerca di rendere le lezioni interessanti facendo esempi pratici tratti dal loro mondo, dai videogiochi ai social. Si ispira ai suoi vecchi professori, in particolare a Pasquale De Michele, suo insegnante al Minzoni di Napoli, da cui ha appreso l’arte di coinvolgere gli alunni. Nonostante la giovane età, è già riuscito a creare un buon rapporto con i colleghi e ha ricevuto il sostegno della preside e del personale scolastico per adattarsi al nuovo ambiente. La sfida di insegnare a ragazzi poco più giovani di lui non lo spaventa, e alcuni studenti hanno già chiesto di essere accompagnati da lui in gita.
Simone e i suoi migliori amici: l’hip hop e Michael Jackson
Oltre all’insegnamento e agli studi universitari, Simone coltiva da anni una grande passione per la danza, in particolare per l’hip hop. Sin da piccolo, è stato influenzato dal re del pop, Michael Jackson, e ha continuato a praticare la danza anche dopo essersi trasferito a Crema. “Quando avrò trovato casa, cercherò anche una scuola di hip hop“, afferma con entusiasmo. I suoi social sono pieni di video di danza, ma preferisce usare uno pseudonimo per mantenere una certa privacy e distacco dagli alunni.
Nostalgia e gratitudine verso la sua famiglia
Simone non nasconde una certa nostalgia per la sua famiglia. Lontano dai genitori e dai fratelli, ammette di avere qualche difficoltà nel gestire la quotidianità, come cucinare da solo, ma sta migliorando. “Mi mancano i miei genitori, mio fratello e mia sorella, ma anche i miei nonni, che mi hanno sempre sostenuto in ogni scelta“, conclude. Ma resta comunque determinato a continuare la sua avventura bilanciando studio, lavoro e hip hop.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Storie vere
Nel paese tutti vedono il video hard di una minorenne: condannato il mittente
Gira video a luci rosse e li invia ad un 26enne che, a sua volta, li inoltra nelle chat di gruppi del paese. Il fattaccio è accaduto in un comune del Salento, dove il ragazzo è stato condannato a quattro anni di carcere.

Ha convinto una ragazzina di appena 13 anni, sua conoscente, a girare col telefonino due video erotici e a inviarglieli. In seguito, tradendo la sua fiducia, ne ha inoltrato uno su un gruppo whatsapp di amici. Per questo vergognoso atto il Tribunale di Lecce l’ha condannato a quattro anni di carcere con l’accusa di pornografia minorile.
Il cattivo esempio
Secondo l’accusa il ragazzo, che all’epoca dei fatti aveva 20 anni, avrebbe anche inviato alla minore un video dai contenuti espliciti, per mostrarle come avrebbe dovuto farne uno simile. I giudici hanno disposto anche l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio inerente la tutela, curatela e amministrazione di sostegno, nonché dai pubblici uffici per la durata di cinque anni e l’interdizione in perpetuo da incarichi nelle scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio o servizio in istituzioni, o in altre strutture pubbliche e private, frequentate abitualmente da minori. L’accusa, in partenza, aveva chiesto una condanna a sette anni di reclusione.
Tutto si svolse nel 2019
I fatti sono avvenuti nel 2019; secondo gli accertamenti fatti nel corso del processo, la vittima naturalmente credeva di potersi fidare dell’allora ventenne, con il quale aveva sviluppato un rapporto di stretta conoscenza. Un giorno del maggio di quell’anno il ragazzo le aveva inviato un video intimo, per stimolare la ragazzina a fare lo stesso. Una specie di “video tutor” che aveva convinto la 13enne a realizzare a sua volta due brevi filmati. Lei non poteva sapere, che quei video di pochi secondi sarebbero poi diventati di dominio pubblico in paese.
Anche i genitori vengono informati e denunciano
Sono bastati pochi giorni perchè anche i genitori della tredicenne venissero a conoscenza del fatto che stessero circolando dei video “strani” della figlia. Per bloccarne la diffusione hanno fatto un’immediata denuncia. Cosa che ha fatto avviare le indagini da parte della Polizia Postale, sequestrando il telefonino del ragazzo. I video in quel modo vengono rimossi ma la vergogna rimane…
I risvolti della vergogna
Per questo brutto episodio la ragazzina sprofonda in una pericolosa crisi depressiva, con risvolti negativi sia sul suo rendimento scolastico ed anche nelle sue abitudini sociali: per mesi si chiude in casa. Nel frattempo l’inchiesta prosegue e il giovane viene iscritto nel registro degli indagati e poi condannato.
Uno scherzo che non fa assolutamente ridere
La diffusione non consensuale di materiale pornografico privato è una piaga sociale che ha assunto proporzioni allarmanti con l’avvento dei social e delle app di messaggistica istantanea. Spesso giustificata con leggerezza o spacciata per “scherzo”, questa pratica rappresenta una violazione della privacy e un atto di violenza digitale, con conseguenze devastanti per le vittime.
Quel click assolutamente da evitare
Il fenomeno colpisce in particolare le donne, spesso vittime di vendette personali o di manipolazioni affettive. Tuttavia, nessuno è immune: il desiderio di spettacolarizzare la vita altrui e la ricerca di facili consensi spingono molti a inoltrare video o foto intime senza il minimo rispetto per chi ne è protagonista. I contraccolpi sono gravissimi: isolamento sociale, depressione, perdita di fiducia, fino a episodi di autolesionismo o suicidio. Le conseguenze legali sono altrettanto pesanti: in molti paesi, la diffusione non autorizzata di materiale intimo è reato penale. Un solo click può distruggere una vita, ricordiamolo sempre…
Storie vere
L’uomo con le ali Maurizio di Palma ha sfiorato il cielo di Dubai. Nuovo record per il jumper italiano
Il BASE jumper è un uomo che sfida i limiti della gravità, ma che mantiene uno sguardo lucido sul mondo che lo circonda.

Lanciarsi nel vuoto da 500 metri di altezza, lasciando che la gravità faccia il suo lavoro per dieci interminabili secondi di caduta libera, non è un’esperienza per tutti. Ma per Maurizio di Palma, BASE jumper italiano, è la sua vita. Maurizio è stato uno dei soli due italiani, insieme alla collega Roberta Mancino, selezionati per partecipare all’evento Exit#139 a Dubai. Nella capitale degli Emirati Arabi 30 tra i migliori atleti di BASE jump del mondo (chi pratica il lancio con paracadute da una postazione elevata) si sono lanciati dal 139° piano del Burj Khalifa. Ovvero l’edificio più alto del pianeta. Per ogni BASE jumper, questo è il sogno massimo, una sfida che fonde tecnica, coraggio ed emozione pura. Un evento organizzato grazie alla collaborazione di Xdubai, Skydive Dubai, Emaar, Visit.Dubai e Burj Khalifa.
Da quando aveva 17 anni Maurizio si diverte così
La storia di Maurizio nel mondo del salto inizia con il paracadutismo, a soli 17 anni. A 23 anni, scopre il BASE jumping, disciplina allora ancora poco diffusa. “Mi ha affascinato subito”, racconta, “Da dieci anni, questo è il mio mestiere”. Nel corso della sua carriera, ha saltato in oltre 600 punti differenti in 36 Paesi, scegliendo solo strutture e scenari naturali con condizioni di sicurezza adeguate. Tra le esperienze più significative Maurizio è saltato giù dalla Torre Eiffel, il Colosseo, la Torre di Pisa, le cascate Angel Falls, le più alte del mondo e ora il Burj Khalifa. Ogni struttura ha le sue criticità: bisogna studiarne i punti deboli, valutare l’altezza minima per l’apertura del paracadute e capire la conformazione dell’aria. Ci prendiamo solo in prestito un po’ di quota”, spiega Maurizio.
Adrenalina a palla nella caduta libera
Nel BASE jumping esistono due categorie di salti: quelli vincolati e quelli liberi. Quelli vincolati, come quelli dalla Torre di Pisa o dal Duomo di Milano (47 metri di altezza), prevedono un’apertura immediata del paracadute, che si spalanca completamente in 25 metri di discesa, lasciando pochi attimi di volo prima dell’atterraggio. I salti liberi, come quello dal Burj Khalifa, offrono invece oltre dieci secondi di caduta libera, un tempo che per gli atleti è una combinazione di euforia, controllo e pura libertà. Ma la vera emozione non riguarda solo il volo. “A me piace il momento del salto, l’orgasmo finale,” dice Maurizio, “ma è la preparazione a rendere tutto affascinante”. Il BASE jumping è un mix di strategia, pianificazione e analisi tecnica. Talvolta, quando il salto non è ufficialmente autorizzato, diventa anche un’esperienza da vero James Bond, con lo studio dei percorsi per intrufolarsi nelle strutture, aggirando ostacoli e sorveglianza.
Tecnica, psicologia e controllo
Molti pensano che il BASE jumping sia una disciplina fisicamente estrema, ma in realtà, la componente chiave è mentale e tecnica. “Quando sei in aria, non ci sono grandi resistenze, è come essere in acqua: se sai nuotare, puoi galleggiare”, spiega Maurizio. Ma come ci si allena per diventare un BASE jumping? Maurizio risponde che al primo posto c’è la preparazione psicologica, bisogna imparare a controllare l’emozione, entrare nel flow prima del salto e mantenere la massima lucidità. Poi c’è la tecnica. Bisogna curare le acrobazie e gestire bene le linee di volo con la tuta alare. Bisogna anche sapersi adattare all’ambiente circostante. Ogni scenario presenta condizioni di vento, temperatura e pressione diverse, e ogni errore si paga caro. Alla domanda su cosa significhi volare sopra Dubai, Maurizio offre una riflessione profonda. “Quello che sembra il paradiso per me è l’incubo del resto del mondo”. Dal cielo, Dubai appare come una città futuristica, ricca di opportunità e bellezza. Ma “dietro la sua modernità, esistono anche disuguaglianze, lavoro sfruttato e una realtà molto diversa da quella che si vede nei video spettacolari“, dice.
Storie vere
Salvare quel castello!! E’ la missione di Isabella Collalto de Croÿ, la principessa del prosecco
La storia di Isabella dimostra che, a volte, le vere principesse non hanno bisogno di carrozze dorate: basta un bicchiere di Prosecco. Prosit!

Un tempo le principesse aspettavano il principe azzurro e vivevano destini incantati. Oggi, molte di loro hanno scelto di rimboccarsi le maniche e di costruire il proprio futuro con determinazione. E con la cazzuola. È questo il caso di Isabella Collalto de Croÿ, che ha trasformato la sua eredità familiare in una missione. Salvare il Castello di San Salvatore a Susegana, un gioiello delle colline trevigiane, uno dei complessi fortificati più grandi d’Europa, grazie alla viticoltura e al Prosecco. Come ha fatto? E soprattutto perché l’ha fatto?
Isabella ha lasciato la noia di Bruxelles per ritornare alle sue radici
Nata in una famiglia di origine longobarda, Isabella ha vissuto per anni a Bruxelles, lontana dalle colline trevigiane che avevano visto crescere la sua famiglia per generazioni. Tuttavia, quando il padre, il Principe Manfredo, le chiese aiuto per preservare l’eredità storica del Castello di San Salvatore, decise di tornare. “Avevo qualche timore nell’abbandonare la vita che conducevo,” racconta, “ma il legame con questo luogo era troppo forte”. Questo legame affonda le radici nel Mille, inteso come periodo storico, quando la famiglia Collalto governava Treviso con il titolo di Conti. Nei secoli successivi il Castello si trasformò in un centro culturale, ospitando musicisti, letterati e artisti come Cima da Conegliano, che ne immortalarono la bellezza nei loro dipinti.
Dalla Prima Guerra Mondiale alla rinascita moderna
La storia del castello subì una drammatica svolta con la Prima Guerra Mondiale. Quando il fronte si spostò dal fiume Isonzo al Piave, il maniero diventò bersaglio dell’artiglieria italiana, riportando gravi danni. Nonostante la devastazione, la famiglia Collalto non si arrese e avviò un lungo processo di restauro, volto a recuperare lo straordinario patrimonio storico-artistico. Isabella ricorda bene le condizioni in cui ha trovato il castello. “Fino all’inizio del nuovo millennio era ancora un cantiere”, spiega, “le finestre erano chiuse con assi di legno”. Ma a ridare tono e vita al Castello di San Salvatore è stato il vino. In particolare il Prosecco, che ha finanziato i lavori di recupero. “La viticoltura ci ha permesso di ricostruire questo maniero”, dice Isabella.
I Collalto: viticoltori per tradizione
Dal Medioevo fino ai giorni nostri, la famiglia Collalto ha coltivato e protetto il territorio, diventando un nome di riferimento nella produzione vitivinicola. Qui si trova la più vasta superficie vitata della zona e la coltivazione di varietà autoctone ovvero il Verdiso e la Bianchetta, due uve tipiche del Trevigiano. Nel 2007, Isabella ha assunto la guida dell’azienda agricola, portando avanti una tradizione secolare con uno spirito innovativo. Il suo impegno ha permesso non solo di salvaguardare il Castello di San Salvatore, ma anche di rafforzare il ruolo del Prosecco nel panorama vitivinicolo internazionale.
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