Storie vere
Wi-Fi e quattro ruote: il lavoro da remoto con vista sul mondo
Francesco Furlani viaggia, lavora, esplora e racconta la sua vita su strada, tra deserti, aurore boreali e connessioni Starlink. Una scelta fuori dagli schemi con una data di scadenza: a trent’anni, cambierà tutto.

Una casa su quattro ruote, un lavoro remoto e un sogno che si realizza: così Francesco Furlani, 27 anni, ha scelto di vivere viaggiando a tempo pieno. Per più di due anni, ha trasformato il suo van in una casa e uno studio mobile, percorrendo migliaia di chilometri tra deserti, fiordi e foreste innevate. La sua vita su quattro ruote è un mix di fotografia, storytelling e spirito d’avventura, documentata sui social dove racconta la quotidianità di chi sceglie di vivere senza una residenza fissa. Il suo obiettivo? Viaggiare ed essere pagato per farlo, lavorando fino ai 30 anni prima di cambiare rotta e decidere quale sarà la sua prossima sfida. Ogni giorno inizia in un luogo diverso, che può essere una spiaggia affacciata sull’oceano, una foresta innevata o un piccolo villaggio di montagna.
Com’è organizzata la sua giornata
Francesco si sveglia con la luce naturale, prepara il caffè e inizia a organizzare la giornata. Grazie ai pannelli solari e a Starlink, il ragazzo è sempre connesso e pronto a lavorare. Molte ore sono dedicate alla creazione di contenuti. Riprende paesaggi, monta video e cura campagne pubblicitarie per brand del settore van. Ma ogni pomeriggio è dedicato a scoprire nuovi luoghi, che diventano parte dei suoi progetti visivi. E di notte? La sera è il momento dei live su TikTok, risponde ai follower e prepara contenuti per i clienti. “Non è solo libertà, ma anche disciplina. Devi imparare a gestire acqua, energia e spazi ridotti. Serve ordine.”, racconta.
Dove lo ha portato il suo van?
Negli ultimi due anni, Francesco ha attraversato tutta Europa, esplorando luoghi che vanno dal caldo delle Canarie al gelo del Circolo Polare Artico. Il suo quattro ruote lo ha portato a visitare diversi luoghi iconici. Dalle spiagge di Fuerteventura e Lanzarote ai villaggi del nord della penisola iberica. Dlle isole Lofoten tra fiordi e scogliere mozzafiato, con paesaggi da cartolina fino alla sfida estrema finlandese, con temperature di -44 gradi. E ancora i paesi Baltici, Polonia, Capo Nord, tutti luoghi dove la natura è protagonista, perfetti per la sua visione fotografica. “Abbiamo festeggiato il mio compleanno su una spiaggia davanti all’oceano, cantando sotto le stelle”, ricorda.
Il lavoro digitale che finanzia il viaggio
Quello che per molti è solo un sogno, per Francesco è una realtà costruita con metodo. Videomaker e fotografo autodidatta, ha affinato le sue competenze online. Collabora con aziende del settore van, creando contenuti sponsorizzati. Gestisce campagne di marketing, unendo tecnica e narrazione. Condivide tutto sui social, attirando migliaia di persone affascinate dalla sua scelta di vita. “Sapere che un giorno potrò raccontare tutto questo ai miei figli mi riempie d’orgoglio.”
E dopo i 30 anni?
Francesco ha scelto di vivere così solo fino ai 30 anni, ma non ha ancora deciso cosa farà dopo. Forse un nuovo progetto di viaggio? Forse un cambiamento radicale? Forse una casa in un posto lontano? Per ora, il suo focus è godersi ogni istante e vivere senza rimpianti. “La vita è fatta di alti e bassi, ma il tempo passa e bisogna viverlo al 100%. Se hai un obiettivo, inseguilo. E fregatene delle critiche. Persevera, sempre.”
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Storie vere
Zafar il taxista pakistano che fa i milioni con i market etnici
Arrivato in Italia nel 1996 con il sogno di una vita migliore, Zafar Iqbal ha trasformato un’intuizione in un impero commerciale. Oggi i suoi supermercati fatturano 8 milioni di euro all’anno, offrendo sapori da tutto il mondo.

Quando Zafar Iqbal è arrivato in Italia nel 1996 aveva solo una cosa in mente: costruire una vita migliore per sé e la sua famiglia. Nato a Rawalpindi in Pakistan, faceva il tassista e lavorava dalle cinque del mattino fino a tarda sera, sempre in macchina, sempre in movimento, ma con il sogno di qualcosa di più. Così Zafar ha preso un biglietto di sola andata e ha deciso di partire, senza certezze ma con tanta determinazione.
Ricomincio da zero
Appena arrivato a Bari ha trovato lavoro in un centro sportivo come tuttofare. Un impiego che gli permetteva a malapena di sopravvivere e che non poteva garantire un futuro alla sua famiglia. Dopo qualche tempo ha lasciato la città e si è trasferito a Brescia, dove ha lavorato in un’azienda che produceva barche in resina. Per anni ha accumulato esperienza e ha risparmiato quello che poteva, finché nel 2011 ha perso il lavoro. A quel punto, invece di disperarsi, ha deciso di ricominciare da zero.
Qui ci vuole un’idea
Tornato a Bari, dove vive sua sorella, Zafar ha cercato un’idea per mettersi in proprio e costruire qualcosa di suo. La risposta gli è arrivata guardandosi intorno. In Italia c’erano tantissimi immigrati, persone che sentivano la mancanza dei sapori del loro Paese e che non trovavano facilmente i prodotti alimentari tipici delle loro terre. Perché non creare un supermercato dedicato a loro, dove poter acquistare tutto ciò che mangiavano a casa loro? Così ha aperto il suo primo market etnico in via Abbrescia, nel quartiere Madonnella di Bari, un piccolo negozio con prodotti pakistani, indiani, cinesi e marocchini. All’inizio le entrate erano poche. Incassava circa sessanta euro al giorno, ma con il tempo, grazie al passaparola, la clientela è aumentata e con essa anche i guadagni.
Dalla polvere di Rawalpindi all’impero alimentare
Dopo un anno i suoi incassi erano cresciuti e il suo piccolo market si era trasformato in un punto di riferimento per chi cercava alimenti esotici. Forte di questo successo, nel 2014 ha aperto un secondo negozio e poi un terzo, sempre a Bari, e successivamente un quarto a Brindisi. Nel 2015 ha acquistato un grande magazzino di oltre mille metri quadrati nella zona industriale della città per poter gestire meglio la distribuzione dei prodotti che arrivano da tutto il mondo.
Market etnici con dipendenti extra comunitari
Oggi i suoi supermercati offrono più di duemila prodotti etnici e ogni giorno vengono visitati da oltre mille clienti. Il suo fatturato ha raggiunto otto milioni di euro e il suo nome è diventato una garanzia nel settore. La sua storia è fatta di sacrificio e duro lavoro. Si sveglia ogni giorno alle cinque del mattino e lavora fino alle undici di sera. Non ha dipendenti italiani perché, dice, non si fidano di un imprenditore immigrato, ma assicura che in Italia il lavoro c’è e che basta avere coraggio e organizzazione per riuscire. Ora sta per aprire un nuovo supermercato pensato esclusivamente per la clientela italiana e sogna di trasformare il suo marchio in un franchising internazionale.
Storie vere
Un’ultima immensa cena per Joseph tra alti e bassi della sua depressione
La sua storia è un grido di consapevolezza, una riflessione su quanto la salute mentale debba essere presa sul serio, e un invito a guardare al dolore degli altri con più empatia.

Joseph Awuah-Darko è un artista britannico-ghanese di 28 anni che ha deciso di trasferirsi nei Paesi Bassi per porre legalmente fine alla sua vita. Ovvero eutanasia. Soffre di disturbo bipolare, una patologia psichiatrica caratterizzata da oscillazioni estreme dell’umore, che rendono la quotidianità un viaggio imprevedibile tra euforia e depressione profonda. Dopo anni di trattamenti che non hanno portato sollievo, ha scelto di percorrere la strada dell’eutanasia legale, possibile nei Paesi Bassi in caso di sofferenza psichica insostenibile e depressione. Nonostante la difficoltà della scelta, Joseph ha trasformato questo periodo in un’occasione di connessione e condivisione, lanciando il progetto “Last Supper Project”. Di che si tratta? Joseph ha organizzato un tour di cene con centinaia di sconosciuti con l’intento di incontrare nuove persone e ascoltarne le storie. Tutto questo in attesa del verdetto sulla sua richiesta di eutanasia. In attesa del consenso all’eutanasia almeno la depressione dovrebbe alleggerirsi.
Cos’è il disturbo bipolare e perché alcuni pazienti arrivano a richiedere l’eutanasia?
Sempre più diffuso, il disturbo bipolare, secondo il National Institute of Mental Health, è una condizione psichiatrica che porta a forti sbalzi d’umore, passando da stati di euforia estrema, con iperattività e irrefrenabile energia, a momenti di depressione paralizzante. Una condizione psicofisica nel quale anche le azioni più semplici diventano impossibili. Chi soffre di questa patologia spesso fatica a mantener relazioni stabili, un lavoro, una routine quotidiana e può sentirsi intrappolato in un ciclo di dolore mentale ingestibile. In casi estremi, alcuni pazienti valutano l’eutanasia quando il disturbo diventa cronico e resistente ai trattamenti, lasciando poche prospettive di miglioramento.
Nei Paesi Bassi, l’eutanasia è legale dal 2002, dopo l’approvazione della “Legge sulla cessazione della vita su richiesta e sul suicidio assistito“. Olanda e Belgio sono tra i pochi Paesi al mondo che consentono l’eutanasia anche per motivi psichici, se il paziente dimostra di essere in una condizione di sofferenza insostenibile e senza possibilità di cura efficace. Il processo per ottenere l’eutanasia può richiedere fino a quattro anni, con valutazioni mediche approfondite da parte di un centro di esperti, che devono verificare che la richiesta non sia impulsiva ma frutto di una riflessione prolungata e consapevole.
“Last Supper” una cena, mille cene per connettersi con il nondo
Quando Joseph ha comunicato sui social la sua decisione, ha ricevuto centinaia di messaggi da persone che volevano incontrarlo, per conoscerlo e condividere un momento insieme. Così è nato il “Last Supper Project“, un tour di cene in giro per il mondo, dove Joseph incontra sconosciuti, ascolta le loro storie e si immerge nella vita degli altri, cercando una nuova forma di connessione prima di salutare il mondo. “Mentre affronto questa transizione, perché non connettermi con le persone attraverso il cibo?“, ha raccontato al Times. Tra le città che hanno giù accolto Joseph ci sono Parigi, Milano, Bruxelles, Berlino. L’artista ha già partecipato a 57 cene e ne ha programmate altre 120 fino ad agosto. Per lui, questo progetto rappresenta un modo per vivere con intensità fino all’ultimo momento, spostando il focus dalla propria sofferenza al mondo che lo circonda. Ma la sua malattia non molla…
Nonostante il grande affetto ricevuto, infatti, Joseph non nasconde che il dolore non è sparito. “Mi sveglio ancora con un dolore profondo“, ha confessato nei suoi video. Eppure, se il Last Supper Project diventasse la sua missione, non gli dispiacerebbe affatto.
Il significato del “Last Supper Project” e il dilemma della scelta
Cosa intende dimostrare Joseph Awuah-Darko? Semplice sta mostrando al mondo un modo straordinario e intenso di vivere i suoi ultimi giorni. Il senso del suo progetto è duplice- Da una parte creare legami umani autentici prima di affrontare una scelta definitiva. Dall’altra portare visibilità alla sofferenza mentale, mostrando che il disturbo bipolare può diventare un disturbo intollerabile. La sua iniziativa solleva interrogativi difficili: l’eutanasia per sofferenza psichica è giustificabile? È davvero possibile stabilire quando una mente ha raggiunto il suo limite?
Storie vere
Tim si fa mordere dai serpenti per aiutare la scienza
La sua storia, seppur estrema, dimostra che la scienza può nascere nei modi più inaspettati, persino tra il morso di un cobra e il sangue di un uomo che ha deciso di sfidare la natura.

Lui si chiama Tim Friede ha 45 anni e per anni ha fatto il meccanico nel Wisconsin. Ha una grande passione: i serpenti. Tim è appassionato di rettili velenosi ai quali ha dedicato 18 anni della sua vita a un esperimento estremo. Si è fatto mordere volontariamente dai serpenti più letali del mondo per sviluppare un sistema immunitario resistente ai veleni. Dopo oltre 200 morsi e 500 iniezioni di veleno, il sangue di Friede oggi è diventato una vera e propria risorsa medica. Il suo plasma infatti è capace di neutralizzare il veleno di 16 specie di serpenti altamente pericolosi. Un processo che potrebbe rivoluzionare la produzione di sieri antiveleno, dando speranza a migliaia di persone nei paesi più colpiti da questi rettili.
Come funziona l’immunità ai veleni?
La tecnica di Friede è particolare. Si basa su un principio scientifico noto da tempo. L’organismo, esposto a dosi crescenti di una tossina, può sviluppare anticorpi capaci di neutralizzarla. Questo meccanismo è simile a quello usato per i sieri antiveleno tradizionali, che vengono prodotti iniettando dosi non letali di veleno in cavalli o pecore, per poi estrarre e purificare gli anticorpi. Friede, però, ha applicato questa strategia su sé stesso, in un percorso estremamente rischioso e non regolamentato. Sottoporsi volontariamente a dosi di veleno letale senza supervisione medica è estremamente pericoloso. Infatti, nel 2001, dopo due morsi consecutivi di cobra, Friede è finito in coma per quattro giorni. Quando si è ripreso, il suo sistema immunitario era ancora più resistente, ma l’esperienza ha evidenziato quanto il metodo sia imprevedibile e pericoloso.
Dal rettilario domestico ai laboratori scientifici
Fin da giovane, Friede era ossessionato dai serpenti velenosi. Contro il parere della sua famiglia, ha costruito un rettilario in casa, riempiendolo con specie esotiche pericolose. Per evitare di morire in caso di morso, ha iniziato ad auto-immunizzarsi, prima con piccole iniezioni diluite, poi aumentando progressivamente la dose. Infine, ha iniziato a farsi mordere direttamente, provocando deliberatamente le sue vipere e cobras fino a sviluppare una tolleranza avanzata. La sua storia ha suscitato curiosità e incredulità, diventando virale sui social con video in cui si mostrava mentre veniva morso e sopportava il dolore.
L’impatto con la scienza: il vaccino antiveleno umano
Gli esperimenti di Friede hanno attirato l’attenzione di Centivax, azienda specializzata nella produzione di sieri antiveleno. Jacob Glanville, ceo di Centivax, ha riconosciuto in Friede una risorsa unica. Il suo sangue, ricco di anticorpi contro numerosi veleni, potrebbe diventare la base per un nuovo vaccino universale contro i morsi di serpente. I test condotti in laboratorio hanno dimostrato che gli anticorpi di Friede neutralizzano efficacemente il veleno di serpenti come il mamba nero, il cobra reale e il serpente tigre.
Un passo avanti nella lotta contro i morsi di serpente
Ogni anno, i morsi di serpente uccidono più di 100.000 persone, soprattutto nei paesi poveri, dove i sieri scarseggiano e molte persone non hanno accesso a cure tempestive.In molte comunità, le persone camminano scalze, esponendosi al rischio di essere attaccate da serpenti letali. In queste zone, un vaccino efficace potrebbe rappresentare una svolta. Il lavoro di Friede, nonostante il rischio e le critiche, ha aperto nuove prospettive sulla possibilità di creare un antiveleno umano che possa proteggere milioni di vite.
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