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Cucina

Zafferano: l’oro rosso d’Italia che vale più dell’oro

Dal Medioevo a oggi, il prezioso zafferano dell’Aquila è diventato un’eccellenza mondiale amata dagli chef e venduta a cifre da capogiro.

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    Ci sono prodotti che non sono solo ingredienti, ma veri e propri tesori, e tra questi lo zafferano occupa un posto d’onore. Con il suo colore intenso, il profumo inconfondibile e il sapore unico, questa spezia è stata soprannominata “l’oro rosso”, non solo per il suo colore, ma anche per il valore altissimo che raggiunge sul mercato: fino a 40.000 euro al chilogrammo per le qualità più pregiate. Lo zafferano dell’Aquila DOP, in particolare, è considerato tra i migliori al mondo. Ma prima di diventare una star della cucina gourmet, ha dovuto attraversare secoli di storia e una lotta per la sopravvivenza.

    Come è arrivato in Italia lo zafferano

    Il viaggio dello zafferano inizia molto lontano, dall’Asia Minore, per poi attraversare il Nord Africa e la Spagna, fino ad approdare in Abruzzo, precisamente a Navelli, in provincia dell’Aquila, tra il XIV e XV secolo. Secondo la leggenda, a portarlo in Italia fu un monaco domenicano della famiglia Santucci, che impiantò i primi bulbi nei campi dell’altopiano abruzzese. Le condizioni perfette della zona – terreno fertile e clima ideale – fecero il resto, trasformando la coltivazione in un’eccellenza regionale.

    Una storia di resilienza (e qualche rischio di scomparsa)

    Nel XIX secolo, lo zafferano abruzzese veniva coltivato su 500 ettari, con una produzione di oltre 4 tonnellate. Ma nel 1930, i numeri erano già calati: appena 1,5 tonnellate l’anno. Poi, negli anni ‘50, la vera crisi: la coltivazione non era più redditizia, e i bulbi venivano dati in pasto agli animali. A salvare lo zafferano è stato Silvio Salvatore Sarra, un agricoltore di Civitaretenga, che ha continuato a coltivarlo, contro ogni logica economica. Nel 1971, la sua opera di tutela ha portato alla nascita della Cooperativa Altopiano di Navelli, che ha rilanciato la produzione e attirato l’attenzione nazionale. Un passaggio chiave? La presentazione dello zafferano in TV, nello storico programma Portobello di Enzo Tortora. Grazie a questo lavoro, nel 2005 il zafferano dell’Aquila ha ottenuto la certificazione DOP, garanzia della sua qualità superiore.

    Come si coltiva e come si usa

    Lo zafferano viene prodotto in 13 comuni dell’Abruzzo, tra cui L’Aquila, Navelli, Poggio Picenze e Fontecchio, a un’altitudine fino a 1000 metri. La coltivazione segue un ciclo lungo, con i bulbi piantati ad agosto e la fioritura che avviene in ottobre. La raccolta dei preziosi stigmi rossi è completamente manuale, un lavoro lungo e meticoloso, che contribuisce al suo valore altissimo. Ma cosa rende lo zafferano così speciale? È il principale protagonista di risotti, paste e piatti raffinati, oltre a essere utilizzato in dolci, liquori e perfino nella medicina per le sue proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Lo zafferano dell’Aquila non è solo un ingrediente, ma un patrimonio culturale. Salvato dalla scomparsa, oggi è una eccellenza italiano che gli chef di tutto il mondo desiderano.

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      Cucina

      La trombetta da morto, il fungo nero dal sapore unico: il “tartufo dei poveri” che profuma d’autunno

      Nero, profondo e profumatissimo: il Craterellus cornucopioides è il protagonista segreto della stagione, amatissimo dagli chef e perfetto per Halloween.

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      La trombetta da morto

        Il fungo più elegante (e frainteso) del bosco

        Si chiama trombetta da morto, ma è tutto fuorché lugubre. Il suo nome latino, Craterellus cornucopioides, significa “corno dell’abbondanza”: una descrizione più fedele, perché questo fungo, con il suo colore grigio-nero e la forma a imbuto, porta in tavola un profumo intenso e una sapidità che ricorda il tartufo. Cresce nei boschi umidi tra ottobre e novembre, spesso nascosto tra le foglie. Economico ma nobilissimo nel gusto, viene soprannominato “tartufo dei poveri” proprio per il suo aroma profondo e persistente, capace di elevare anche i piatti più semplici.

        Come pulirlo e conservarlo

        La trombetta da morto va trattata con delicatezza. Si pulisce a secco con un pennello morbido, evitando di lavarla sotto l’acqua per non rovinarne la consistenza. Una volta puliti, i funghi possono essere saltati subito in padella oppure essiccati, conservandoli per mesi. Anzi, molti cuochi li preferiscono secchi, perché sprigionano un profumo ancora più deciso dopo la reidratazione.

        Tre ricette da provare

        Risotto alle trombette e Parmigiano – In una casseruola, tosta il riso Carnaroli con una noce di burro, aggiungi le trombette tagliate sottili e sfuma con vino bianco. Cuoci con brodo vegetale e, a fine cottura, manteca con Parmigiano Reggiano e un pizzico di timo. Profumo intenso, gusto boschivo, comfort food d’autunno.

        Tagliatelle con trombette e panna acida – Fai saltare le trombette in olio e aglio, aggiungi un cucchiaio di panna acida e una spolverata di pepe nero. Condisci le tagliatelle all’uovo e completa con scaglie di Grana. Un piatto rustico e raffinato insieme.

        Crostoni con trombette e uovo al tegamino – Tosta pane casereccio, spalmalo con burro fuso e aggiungi le trombette saltate con prezzemolo. Adagia sopra un uovo al tegamino con tuorlo morbido. L’unione di cremoso e croccante è irresistibile.

        Dal bosco alla tavola, la trombetta da morto è un piccolo miracolo autunnale: misteriosa come il suo nome, ma generosa come pochi altri ingredienti. E se Halloween ha bisogno di un sapore “dark”, questo è il più elegante che ci sia.

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          Cucina

          Cene a casa, ma con stile: come trasformare il salotto in un bistrot tra amici e riscoprire la convivialità autentica

          Dimenticate le tavolate caotiche e le serate improvvisate: la tendenza del momento è la cena curata, intima e scenografica. Basta poco per trasformare la casa nel ristorante più accogliente della città.

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          Cene a casa

            La rinascita delle cene in casa

            Altro che prenotazioni impossibili o conti salati: il nuovo lusso è invitare a casa. Dopo anni di delivery e aperitivi al volo, torna la voglia di cucinare e apparecchiare con gusto. La pandemia ha acceso la miccia, ma oggi è diventata una scelta di stile: trasformare il salotto in un bistrot privato dove la convivialità è il vero piatto forte. Le cene domestiche si fanno più curate, più pensate e anche più scenografiche. Non serve un servizio da hotel, bastano cura e atmosfera.

            Piatti semplici ma con carattere

            Il segreto è scegliere un piatto unico che sorprenda senza costringere il padrone di casa ai fornelli per ore. Risotti cremosi, paste al forno gourmet, zuppe speziate o tagli di carne cotti lentamente. L’idea è far sentire gli ospiti coccolati, non assistere a uno show di cucina. Si può puntare su ingredienti locali, vino giusto e impiattamento curato: una foglia di erba aromatica, un filo d’olio buono, un piatto caldo. La tavola si veste di semplicità e colore: lino naturale, posate spaiate, bicchieri trasparenti. L’effetto? Un’eleganza spontanea, mai costruita.

            La luce giusta fa metà del lavoro

            La differenza tra una cena qualunque e una memorabile la fanno l’atmosfera e la luce. Lampade basse, candele, riflessi dorati sulle pareti: tutto concorre a creare quel senso di accoglienza che nessun ristorante può imitare. Anche la playlist ha il suo ruolo: jazz morbido, soul o un po’ di cantautorato italiano.
            La nuova socialità domestica è fatta di chiacchiere, calici e pause, di momenti lenti ma autentici. A fine serata, nessuno controlla l’ora: si resta seduti, tra bicchieri vuoti e risate. Perché a volte, il ristorante migliore è quello che profuma di casa.

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              Marmellata di castagne, il sapore d’autunno da conservare in un vasetto: la ricetta perfetta da fare in casa

              Una delle conserve più amate della stagione: la marmellata di castagne porta in cucina il gusto dei boschi e si abbina perfettamente a pane, formaggi e dolci. Ecco come prepararla passo dopo passo.

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                Ottobre e novembre sono i mesi perfetti per accendere i fornelli e portare in casa i profumi del bosco. La marmellata di castagne è una delle ricette più golose dell’autunno: cremosa, vellutata e dal sapore inconfondibile, nasce da un frutto povero ma ricchissimo di gusto. Ideale per la colazione o come farcitura di torte e crostate, conquista anche in abbinamento a formaggi stagionati o carni arrosto. Prepararla in casa non è difficile, serve solo un po’ di tempo e qualche accorgimento per ottenere una consistenza perfetta.

                Ingredienti e preparazione

                Per circa 1,5 kg di marmellata servono: 1 kg di castagne fresche, 500 g di zucchero, 250 ml di latte intero, una bacca di vaniglia o una scorza di limone, un pizzico di sale e un bicchierino di rum o brandy (facoltativo).
                Dopo aver inciso le castagne, vanno bollite per circa 40 minuti finché la buccia si stacca facilmente. Una volta sbucciate, si passano con lo schiacciapatate per ottenere una purea fine. In una casseruola capiente si versano il latte, lo zucchero, la vaniglia e la purea di castagne. Si cuoce a fuoco dolce per 30-40 minuti mescolando spesso, fino a ottenere una consistenza morbida e lucida. Chi ama un tocco aromatico può aggiungere il rum negli ultimi minuti di cottura.

                Conservazione e abbinamenti

                Una volta pronta, la marmellata va versata ancora calda nei vasetti sterilizzati, chiusa ermeticamente e capovolta per creare il sottovuoto. Si conserva per circa sei mesi in un luogo fresco e asciutto.
                Ottima spalmata sul pane, è deliziosa anche accostata a ricotta o yogurt bianco. E per chi ama i contrasti, l’abbinamento perfetto è con un pecorino stagionato o una fetta di torta al cioccolato fondente.
                È l’autunno che si fa dolce: un cucchiaio alla volta, un ricordo di bosco da gustare anche in inverno.

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