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Claudio Amendola senza filtri: “Dell’ipocrisia su chi snobba la TV me ne sono fregato. Salvato da Totti e Ilary”

Claudio Amendola è uno di quegli attori che non le manda a dire. Diretto, schietto, con una lunga carriera alle spalle e ancora tanta voglia di mettersi in gioco, si racconta in un’intervista dove parla del suo percorso, della TV, dell’ipocrisia di chi la snobba e della sua vita personale, tra separazioni, dipendenze superate e ricordi familiari indelebili.

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    Amendola è pronto a tornare sul set per il revival de I Cesaroni, una delle serie più amate della televisione italiana. “C’è un’attesa febbrile, che non va disattesa, ma siamo un gruppo solido. Torneranno tutti i maschi Cesaroni, sono convinto che ritroveremo quello spirito”, dice con entusiasmo.

    Ma sa bene che il rischio di deludere le aspettative è alto: “È un progetto insidioso, ma non mi fa paura. Quando c’è il gruppo giusto, il lavoro viene da sé”.

    L’ipocrisia di chi snobba la TV

    Nella sua carriera, Amendola ha spaziato tra cinema, fiction e programmi televisivi. E non sopporta chi ancora considera la TV un gradino sotto al cinema: “C’è chi guarda con sufficienza chi fa fiction di grande successo. Poi però, quando il cinema è andato in crisi, sono stati i primi a buttarsi in televisione. Io questa ipocrisia l’ho sempre ignorata”.

    Dipendenze e separazione: “Mi sono detto ‘A Clà, ma che cao stai a fa?’”**

    L’attore ha affrontato problemi di dipendenza, ma ne è uscito con una forza interiore che oggi rivendica con orgoglio: “Non ho parlato con un medico, mi sono guardato allo specchio e mi sono detto ‘A Clà, ma che ca**o stai a fa?’”.

    E quando il discorso si sposta sulla separazione da Francesca Neri, riesce persino a scherzarci su: “Siamo stati fortunati, ci siamo separati nello stesso periodo di Totti e Ilary. Ho ringraziato Francesco, gli ho detto ‘grazie, perché così stanno tutti appresso a voi’”, racconta ridendo.

    Memoria e politica: “Se Berlinguer e Almirante fossero vivi oggi, che direbbero?”

    Per Amendola, la memoria è un valore imprescindibile, tanto nella vita personale quanto in quella politica: “La memoria è il filo che non possiamo tagliare con il passato. Ogni tanto mi chiedo: se fosse vivo De André, Gaber… ma anche Berlinguer o Almirante? Cosa direbbero oggi? Meglio non pensarci”.

    Un simbolo della romanità? “A forza di sentirmelo dire, sì”

    Alla fine, quando gli chiedono se si sente un’icona della romanità, sorride e risponde con la sua solita ironia: “A forza di sentirmelo dire, sì! Ancora oggi la gente mi prende la guancia e mi fa ‘a scafetta’. È un segno di grande intimità, e mi piace sentirmi parte di questa comunità”.

    Tra il passato, il presente e un futuro che lo vedrà ancora protagonista, Amendola si conferma quello che è sempre stato: diretto, sincero, romano fino al midollo.

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      Libri

      Marco Liguori e la nave dei misteri: “Caterina Costa” vince il Premio Senato Accademia alla Biennale Seneca di Bari

      Definito dalla giuria «un atto dovuto alla memoria storica», il libro di Marco Liguori ricostruisce con rigore documentale e passione civile l’esplosione della nave Caterina Costa. Per l’autore è il 17° riconoscimento letterario in carriera, dopo i successi all’“Acqui Edito e Inedito” e al “Sigillo di Dante”.

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        La memoria come atto di giustizia. È con questo spirito che Marco Liguori ha scritto “Caterina Costa, la nave dei misteri” (De Ferrari Editore, 2023), il saggio storico che gli è valso il Premio Senato Accademia nella sezione Libri editi di saggistica alla IX edizione del Premio Accademico Internazionale di Letteratura Contemporanea “Lucio Anneo Seneca”, svoltasi a Sannicandro di Bari.

        Un riconoscimento importante, motivato da parole che restituiscono tutta la forza del suo lavoro: «Un libro di eccezionale valore storico, documentale e narrativo – si legge nella nota della giuria firmata dalla prof.ssa Maria Teresa Infante La Marca – con cui l’autore ha ricostruito una delle più tragiche e oscure vicende della Seconda Guerra Mondiale: l’esplosione della nave Caterina Costa nel porto di Napoli il 28 marzo 1943».

        Liguori, giornalista e scrittore, ha scelto di affrontare un tema rimasto a lungo ai margini della memoria collettiva. Nel suo saggio ripercorre la catena di eventi, omissioni e silenzi che portarono alla deflagrazione del mercantile carico di munizioni, esplosione che devastò il porto partenopeo provocando oltre seicento vittime. Attraverso testimonianze inedite e un minuzioso lavoro di ricerca archivistica, l’autore riporta alla luce nomi, volti e responsabilità, trasformando un fatto di cronaca bellica in una riflessione civile sulla rimozione della memoria.

        La giuria ha sottolineato «l’approccio multidisciplinare, la precisione metodologica e la capacità di unire l’urgenza della verità storica alla profondità del racconto umano». “Caterina Costa, la nave dei misteri” diventa così un ponte tra passato e presente, un monito contro l’oblio e le verità taciute.

        Con questo premio, Liguori aggiunge un nuovo traguardo al suo percorso letterario: è infatti il 17° riconoscimento ottenuto in concorsi nazionali e internazionali. Tra i più prestigiosi, il Premio Acqui Edito e Inedito 2022, il Premio “Il Sigillo di Dante” 2024 promosso dalla Società Dante Alighieri di La Spezia – di cui è Ambasciatore – e i recenti secondi posti agli Assosinderesi Awards e al Premio Il Delfino 2025.

        Un autore che continua a dare voce alla storia, ricordando che anche dalle pagine dimenticate del passato può nascere la coscienza di un Paese.

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          Libri

          Ornella Muti si confessa: “Celentano? È stato amore, ma una violenza raccontarlo senza chiedermi il permesso”

          Dal primo amore con Montezemolo al rapporto tormentato con Celentano, fino alle ombre dell’infanzia e alla forza della maternità: “Scrivere è stata una psicanalisi. Ti guardi indietro e dici: ma dov’ero?”. Un ritratto fragile e lucido di una diva che non smette di sorprendere.

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            “Il mio primo fidanzato è stato Luca Cordero di Montezemolo. Era pazzo. Correva in mezzo alla strada e urlava ‘Ti amo!’”. È una Ornella Muti inedita quella che si racconta, a settant’anni, nella sua autobiografia Questa non è Ornella Muti, in uscita per La Nave di Teseo. Un libro che è insieme confessione, resa dei conti e liberazione.

            “Se questa non è Ornella Muti, chi è?”, le chiede l’intervistatore. “All’anagrafe sono Francesca Rivelli, ma Francesca chi la conosce veramente? Ho sempre avuto pudore a raccontarmi. Ora scrivere è stata una psicanalisi, mi ha fatto anche male. Ti guardi indietro e dici: ma dov’ero?”.

            Dentro ci sono tutti i suoi fantasmi, ma anche gli amori che hanno fatto scalpore. “Celentano? Che fossimo stati insieme l’ha detto lui, senza chiedermi il permesso. È stata una violenza. Io aggiungo che è stata una storia breve, ma d’amore. Non concepisco il sesso per il sesso. Per lui ho tradito mio marito.” E poi, con ironia: “Alain Delon? Non è successo niente. Ma avrebbe potuto, forse.”

            C’è spazio anche per i ricordi teneri e quelli più dolorosi: “A quattro anni mia madre mi portò in Svizzera dalla zia e mi lasciò lì un anno e mezzo. Non capivo una parola di tedesco, e quando tornai non conoscevo più l’italiano. Non fu un abbandono, ma lo vissi come tale.”

            Tra i grandi della commedia italiana, Ornella ricorda con affetto Ugo Tognazzi, Dino Risi, Marcello Mastroianni e Alberto Sordi: “Diceva sempre: ‘Sordi, Muti, e ’ndo stanno i ciechi?’”. Ma nel libro non mancano le zone d’ombra: “Ho provato l’Lsd. Un’amica lo prese e si buttò dalla finestra. Io mi sono salvata grazie a mia figlia. Lei mi ha rimesso coi piedi per terra.”

            Un racconto sincero, pieno di contraddizioni e dolce malinconia. Non è solo il ritratto di un’attrice: è la confessione di una donna che ha vissuto tutto — amori, errori, libertà — con lo stesso, irriducibile sgomento.

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              Addio a Francesco Recami, il giallista dell’ironia e dell’anomalia

              Malato da tempo, Recami si è spento a Firenze, la sua città natale. Dalle guide di montagna ai gialli più amati dal pubblico, la sua penna ha raccontato l’Italia delle piccole ipocrisie e dei grandi segreti. Il suo ultimo libro, Il mostro del Casoretto, era uscito solo poche settimane fa.

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                Si è spento a 69 anni Francesco Recami, uno degli autori più originali e riconoscibili della narrativa italiana contemporanea. Nato a Firenze nel 1956, era malato da tempo ma non aveva mai smesso di scrivere: il suo ultimo romanzo, Il mostro del Casoretto, è uscito da pochi giorni per Sellerio, la casa editrice che lo ha accompagnato per tutta la carriera.

                Recami aveva un talento raro: trasformare il giallo in un laboratorio di ironia, linguaggio e critica sociale. Nei suoi libri il delitto era spesso solo un pretesto per scavare nelle ossessioni quotidiane, nei tic e nelle manie dell’Italia di provincia. La sua scrittura, sempre limpida e pungente, metteva in crisi l’idea stessa di “normalità”.

                Dopo gli esordi con due guide di montagna e alcuni libri per ragazzi, pubblicò nel 2006 il suo primo romanzo per adulti, L’errore di Platini, ma il vero successo arrivò un anno dopo con Il correttore di bozze, storia di un uomo comune intrappolato in un quotidiano paradossale. Da lì nacque una carriera luminosa, segnata da titoli come La casa di ringhiera, L’arte di riparare le donne, Commedia nera n.1 e La verità su Amedeo Consonni, che fecero di Recami uno degli autori più amati dal pubblico di Sellerio.

                Amava definirsi “un narratore del normale che si incrina”, e in effetti i suoi protagonisti erano spesso figure di confine: pensionati sospettosi, vicini impiccioni, mariti stanchi o donne invisibili che, tra una bugia e un delitto, rivelavano tutta la fragilità del nostro tempo.

                Negli ultimi anni aveva alternato la scrittura alla vita appartata nella sua Firenze, continuando a osservare con sguardo ironico e malinconico il mondo che cambiava.

                Con la morte di Francesco Recami se ne va una voce unica, capace di raccontare il giallo non come formula, ma come specchio deformante e verissimo dell’animo umano.

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