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Società

Allarme cibo nelle scuole: insetti, muffa e pasti scadenti mettono a rischio la salute dei nostri bambini

Il problema delle mense scolastiche in Italia negli ultimi anni è diventato un tema di crescente preoccupazione. Non si tratta solo di garantire ai bambini un pasto sano ed equilibrato, ma di tutelare il loro benessere e la loro salute,

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    Negli ultimi anni, la situazione delle mense scolastiche in Italia ha evidenziato gravi problematiche. Esiste una vera e propria emergenza cibo nelle scuole, così come riportata da numerose famiglie oltre che dagli interventi dei Carabinieri del NAS. Il settore, che include sia mense gestite direttamente da enti pubblici sia servizi affidati in appalto a ditte private, ha mostrato frequenti irregolarità che mettono a rischio la salute dei bambini e la serenità dei genitori.

    Problemi frequenti riscontrati nelle mense scolastiche

    Uno dei maggiori problemi emersi dalle indagini dei NAS riguarda le condizioni igienico-sanitarie delle mense. Le ispezioni, che hanno coinvolto più di 700 strutture scolastiche, hanno riscontrato carenze significative. Dalla presenza di insetti agli escrementi di roditori, muffa e umidità diffusa. Tutti segni di ambienti inadeguati. Inoltre, in molti casi, sono stati rilevati pasti di scarsa qualità e in quantità non sufficienti, privi di tracciabilità, e in alcuni casi persino cibo scaduto o mal conservato. Uno degli aspetti più gravi è l’assenza di dichiarazioni sui possibili allergeni nei pasti serviti, una lacuna che espone i bambini allergici a pericoli di reazioni anche gravi. Episodi che rivelano una scarsa attenzione da parte dei gestori della refezione scolastica nel seguire protocolli rigorosi per tutelare la salute degli studenti.

    Chi gestisce le mense scolastiche e come?

    Le mense scolastiche sono gestite in modo diverso a seconda delle regioni e dei comuni. La scelta del gestore avviene attraverso gare d’appalto, in base al quale viene selezionata l’azienda che offre il miglior rapporto qualità-prezzo. Ma purtroppo questo sistema non sempre garantisce la qualità del servizio, poiché le aziende sono incentivate a ridurre i costi a discapito della qualità degli alimenti.

    I recenti casi di gravi irregolarità

    I NAS hanno identificato varie situazioni critiche in città come Treviso, Pescara e Caserta. A Treviso, per esempio, un centro educativo per l’infanzia è stato sequestrato poiché privo di autorizzazione e registrazione sanitaria. Un asilo di Pescara ha dovuto sospendere immediatamente la preparazione dei pasti per gravi mancanze igieniche e sanitarie. A Caserta, infine, il titolare di una ditta incaricata del servizio mensa è stato denunciato per frode nelle forniture. Come mai? Perché l’etichetta della ditta veniva apposta su pasti prodotti da aziende diverse, un inganno pericoloso per la qualità e sicurezza alimentare.

    Quel cibo che non ti aspetti

    In Toscana, un recente caso di infezione da salmonella ha interessato diverse scuole nei comuni di Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio, Signa, Calenzano e Barberino di Mugello, causando il ricovero di circa 10 bambini e sintomi d’infezione in altri 60. Questo evento ha allertato la Asl locale e ha portato alla temporanea sospensione del servizio in attesa delle verifiche sugli standard di sicurezza dell’azienda Qualità & Servizi spa.

    Serve una riforma del sistema, orientata alla tutela della salute e al benessere

    Già ma come migliorare la qualità del cibo servizto nelle mense scolastiche? La presenza di questi problemi richiede misure urgenti per garantire che la refezione scolastica rispetti standard di sicurezza adeguati. Per esempio? Aumentare i controlli e la trasparenza. Le autorità sanitarie e i Carabinieri dovrebbero rafforzare le ispezioni periodiche e impreviste, estendendo i controlli anche alle ditte appaltatrici. Inoltre occorre rendere i risultati dei controlli pubblicamente disponibili, affinché le famiglie siano informate della situazione. Fondamentale è la formazione del personale.

    Gli addetti alla produzione e confezionamento del cibo servito e i gestori delle mense devono ricevere una formazione specifica sulle norme igieniche, la sicurezza alimentare e la gestione degli allergeni, per prevenire errori e negligenze. Infine è indispensabile coinvolgere di più le famiglie. Il servizio di refezione scolastica è controllato da una Commissione Mensa costituita annualmente da rappresentanti di genitori, docenti e dell’amministrazione comunale. Ogni scuola dovrebbe, e di fatto fa, nominare un organo di informazione e consultazione senza poteri e/o funzioni di tipo decisorio o vincolante. E inoltre dovrebbero prevedere incontri periodici con rappresentanti dei genitori per raccogliere feedback e collaborare nella supervisione della qualità del servizio mensa.

    Vogliamo dare qualche multa salata?

    Servirebbero anche sanzioni più severe e rimozione degli appalti inadeguati. In caso di violazioni gravi, le sanzioni pecuniarie non dovrebbero essere l’unica risposta: si dovrebbe considerare anche la revoca degli appalti per chi non rispetta gli standard previsti.

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      Società

      “La Parola come strumento di Pace”: a Roma la presentazione del libro di Biagio Maimone

      Si terrà a Roma, nella Sala Guglielmo Marconi, la conferenza La Parola strumento di Pace, di Verità e di Giustizia, ispirata al pensiero di Papa Francesco. L’evento, in occasione del nuovo libro di Biagio Maimone La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario, promuove un nuovo umanesimo della parola fondato su verità e solidarietà.

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        La parola come ponte e non come arma, come atto di ascolto e non di sopraffazione. È questo il filo conduttore della conferenza La Parola strumento di Pace, di Verità e di Giustizia, che si terrà giovedì 14 novembre dalle 15 alle 17 nella Sala Guglielmo Marconi di Piazza Pia 3, a Roma. L’ingresso sarà libero, ma il tema è di quelli che riguardano tutti: il potere della comunicazione nella costruzione di una società più umana.

        L’evento è organizzato in occasione della presentazione del volume La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario (Tracceperlameta) di Biagio Maimone, giornalista, saggista e Coordinatore per l’Italia della Rete Mondiale del Turismo Religioso, nonché Direttore della Comunicazione dell’Associazione Bambino Gesù del Cairo, presieduta da Monsignor Yoannis Lahzi Gaid, già segretario personale di Papa Francesco.

        Un dialogo ispirato dal messaggio del Papa

        La conferenza trae ispirazione diretta dalla Benedizione Apostolica che Papa Francesco ha voluto concedere all’opera di Maimone. Un messaggio forte e limpido: “La società, così come la Chiesa, si avvalgano di una comunicazione le cui basi siano l’umiltà nell’ascoltare e la parresia nel parlare, che non separi mai la verità dalla carità.”

        Attorno a questa visione si muoveranno gli interventi dei relatori, introdotti dal conduttore televisivo Paky Arcella. Oltre all’autore, parteciperanno Gianni Todini (direttore di Askanews), Enea Angelo Trevisan (autore di saggi e fondatore di Ealixir Inc.), Gaia Simonetti, Valentina Faloni, Maria Maimone, Joseph Lu e Héctor Villanueva, CEO e fondatore dell’Expo dei Popoli. Voci diverse, unite da un obiettivo comune: restituire alla parola il suo valore generativo, etico e spirituale.

        La parresia come chiave del dialogo

        Nel cuore del messaggio pontificio emerge il concetto di parresia — la libertà e il coraggio di dire la verità — un termine che per Maimone rappresenta la via per rigenerare la comunicazione contemporanea. “La parola è vita, perché deve generare vita nelle sue espressioni più nobili e spirituali”, scrive l’autore. Una parola autentica, non manipolata, che non separa la verità dalla carità e si fa strumento di giustizia, riconciliazione e pace.

        Nel suo saggio, Maimone denuncia le derive del linguaggio mediatico e politico, oggi sempre più esposto a distorsioni, manipolazioni e violenza verbale. Cyberbullismo, odio online, propaganda e superficialità comunicativa diventano così sintomi di un impoverimento etico che mina le fondamenta del vivere civile.

        Il linguaggio come cura sociale

        Da qui nasce l’appello dell’autore per una “comunicazione solidale”, intesa come atto di responsabilità collettiva. La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario propone infatti un nuovo paradigma comunicativo, fondato sulla relazione umana e sull’emancipazione morale e sociale. L’obiettivo: umanizzare il linguaggio per restituire alla parola il suo potere di costruire e non distruggere.

        “La violenza verbale e il turpiloquio – scrive Maimone – generano morte e conflitti. Contrastarle significa educare alla bellezza e alla verità.” Da qui l’invito a recuperare la dimensione spirituale e artistica della parola, come strumento di crescita e di rigenerazione dell’anima collettiva.

        Tra filosofia, musica e fede

        Nel corso della conferenza sarà proiettato il video del brano Kiev del pianista e compositore Joseph Lu, autentica invocazione musicale alla pace e alla fraternità tra i popoli. Un modo per ribadire che anche la musica è linguaggio universale, voce della parola che unisce e consola.

        L’opera di Maimone ha ricevuto, oltre alla Benedizione Apostolica di Papa Francesco, messaggi di apprezzamento dal Cardinale Pietro Parolin, da Monsignor Rino Fisichella, dal Cardinale Gianfranco Ravasi e dall’Imam Nader Akkad della Grande Moschea di Roma, a testimonianza di un dialogo interreligioso che si fonda sul rispetto reciproco e sulla forza del linguaggio.

        Verso un nuovo umanesimo della parola

        La conferenza di Roma si propone dunque come un momento di riflessione sul potere trasformativo della comunicazione. In un’epoca segnata da conflitti, povertà e isolamento, la parola può tornare a essere — come sostiene Maimone — strumento di bellezza e giustizia, fondamento di una civiltà più consapevole.

        “La bellezza – scrive l’autore – consente di scolpire nel cuore la legge morale, senza la quale la realtà è destinata alla barbarie.” Ed è proprio in questa prospettiva che La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario si fa manifesto di un nuovo umanesimo della parola: una comunicazione che unisce, non divide; che costruisce, non distrugge; che restituisce alla verità il suo volto più umano.

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          Lo Zingarelli 2026 parla inglese: da “ghostare” a “skillato”, l’italiano è sempre più “social”

          Entrano “gaslighting”, “retrogaming” e “mansplaining”, ma anche ibridi come “whatsappare”, “flexare” e “culturalizzare”. Bartezzaghi: «Parole che sembrano mostriciattoli, ma ormai fanno parte del nostro modo di parlare».

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            Lo Zingarelli 2026 fotografa un’Italia sempre più anglofona e digitale. Nella nuova edizione del celebre dizionario, l’inglese dilaga come mai prima: “retrogaming”, “gaslighting”, “ghostare”, “mansplaining”, “skillato”, “tokenizzare”. Parole nate nei social e nei videogame che oggi entrano a pieno titolo nella lingua di Dante, trasformandola in un esperimento continuo di ibridazione.

            Secondo Stefano Bartezzaghi, i nuovi termini «sembrano mostriciattoli artificiali, invenzioni un po’ ridicole, ma reali». “Breccare”, “whatsappare” o “flexare” – adattamenti italiani di verbi inglesi – fanno ormai parte del linguaggio comune, specie tra i giovani. E anche se a leggerli su carta fanno storcere il naso, nessuno può negare che si siano imposti per forza d’uso.

            Il dizionario, del resto, non giudica: registra. Così “quadricottero”, sinonimo di drone, ottiene finalmente cittadinanza linguistica, mentre termini come “perculare” e “pezzotto” entrano dopo anni di uso popolare. “Perché l’italiano”, spiegano i lessicografi, “è una lingua viva, non un museo”.

            Non mancano le creazioni ibride, costruite con radici italiane ma spirito burocratico: “culturalizzare”, “turistificare”, “eventificio”, “rinazionalizzare”. Parole goffe, ma utili a descrivere un Paese che organizza eventi più che idee.

            Tra le curiosità, spunta “amichettismo”, la parola dell’anno: definisce con sottile veleno quel sistema di conoscenze e favori che in Italia funziona meglio di qualsiasi curriculum. E, come se non bastasse, il lessico del web si arricchisce di “bromance”, “omosociale” e “riciclone”.

            Lo Zingarelli 2026 racconta così un’Italia che non ha più paura dell’inglese, ma rischia di dimenticare il proprio lessico. È una lingua in perenne mutazione, dove si “flexa”, si “posta” e si “ghostano” le persone. E dove, per dirla con Bartezzaghi, «anche i mostriciattoli linguistici, a forza di essere usati, finiscono per diventare di famiglia».

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              Che cos’è davvero la “cultura woke”? Dalle origini al suo controverso significato di oggi

              Il termine “woke”, nato come simbolo di consapevolezza sociale e lotta alle ingiustizie, è oggi al centro di un acceso dibattito. Da bandiera dei diritti civili a parola usata per descrivere il “politicamente corretto estremo”: ecco come è cambiato il suo senso.

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                Negli ultimi anni, la parola “woke” è entrata nel linguaggio quotidiano, spesso utilizzata nei dibattiti pubblici, nei social network e persino nei titoli dei giornali. Ma cosa vuol dire esattamente? Letteralmente, il termine deriva dal verbo inglese to wake, cioè “svegliarsi”. In senso figurato, “to be woke” significa essere svegli, consapevoli, in particolare rispetto alle ingiustizie sociali, alle disuguaglianze e alle discriminazioni.

                Oggi però il termine ha assunto sfumature molto diverse rispetto alle sue origini, diventando per alcuni un simbolo di sensibilità civile e per altri un’etichetta negativa, sinonimo di eccesso di correttezza o censura culturale.

                Le origini del termine: una “sveglia” sociale

                Le prime tracce della parola “woke” in ambito politico risalgono agli anni Quaranta, quando nella comunità afroamericana statunitense si usava per indicare chi era “cosciente” delle ingiustizie razziali. Negli anni Sessanta, durante il movimento per i diritti civili, il termine fu ripreso per descrivere la consapevolezza delle discriminazioni e la necessità di reagire.

                L’espressione è tornata in auge dopo il 2013, con la nascita del movimento Black Lives Matter, sorto per denunciare le violenze della polizia contro la popolazione nera negli Stati Uniti. “Stay woke” – “resta sveglio” – è diventato uno slogan diffuso tra attivisti e manifestanti, un invito a non chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie.

                Dalla consapevolezza sociale al “politicamente corretto”

                Con il tempo, il termine “woke” ha oltrepassato i confini del razzismo per includere altre battaglie: la parità di genere, i diritti LGBTQ+, la tutela dell’ambiente e la lotta contro ogni forma di discriminazione. Nella cultura digitale, essere “woke” significava riconoscere i propri privilegi e sostenere una società più equa e inclusiva.

                Tuttavia, a partire dalla fine degli anni 2010, il concetto è stato progressivamente distorto. Alcuni critici – soprattutto in ambito politico e mediatico – hanno iniziato a usare “woke” in modo ironico o dispregiativo, per indicare un atteggiamento considerato troppo rigido, moralista o censorio, associato al cosiddetto cancel culture: la tendenza a boicottare o escludere personaggi pubblici, opere o idee considerate offensive.

                Il dibattito contemporaneo

                Oggi, “woke” è una parola fortemente divisiva. Da un lato, molti continuano a usarla nel suo significato originario, come simbolo di attenzione e responsabilità sociale. Dall’altro, è diventata un termine di derisione politica, usato per accusare certi movimenti di voler imporre un pensiero unico o di esagerare con il linguaggio inclusivo.

                In molti Paesi occidentali, il termine è entrato persino nel linguaggio istituzionale e accademico. Alcuni politici parlano di “agenda woke” per criticare iniziative progressiste, mentre numerose università ne discutono come fenomeno culturale da analizzare e non solo da giudicare.

                Tra evoluzione e travisamento

                Secondo gli esperti di linguistica, “woke” è un esempio emblematico di come le parole cambino significato nel tempo, riflettendo le tensioni e le trasformazioni della società. Ciò che nasce come espressione di consapevolezza può diventare, in un contesto diverso, un’etichetta divisiva.

                Il rischio, secondo molti sociologi, è che l’uso distorto del termine ne svuoti il valore originario, riducendo a slogan o a battuta un concetto che, in principio, rappresentava un invito all’empatia e alla giustizia.

                Conclusione: una parola specchio del nostro tempo

                In definitiva, “woke” è più di un semplice termine di moda. È uno specchio delle contraddizioni contemporanee, dove il desiderio di un mondo più giusto si scontra con la paura dell’eccesso e dell’omologazione.

                Capire davvero cosa significa essere “woke” oggi richiede più che una definizione: richiede la capacità di ascoltare, riflettere e distinguere tra l’impegno autentico per i diritti e le semplificazioni mediatiche che spesso lo circondano.

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