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Lifestyle

Io speriamo che me la cavo: dallo Stretto di Gargamella all’Oscar di Pirandello ecco il bestiario della maturità!

Anche quest’anno l’esame di maturità ci ha regalato alcune perle e strafalcioni, raccolti da Skuola.net, che ci ricordano quanto sia importante mantenere la calma e prepararsi adeguatamente per evitare situazioni imbarazzanti e momenti di confusione durante gli esami.

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    Maturandi allo sbaraglio. L’emozione gioca brutti scherzi, soprattutto durante gli esami di maturità. Anche per questa tornata 2024 gli esami di maturità ci hanno regalato alcuni strafalcioni memorabili raccolti dal portale Skuola.net. Tutta la colpa all’emozione? Mah! E’ capitato di aver sentito che lo stretto dei Dardanelli – il mitico Ellesponto degli antichi greci, che separa l’Europa dall’Asia – sia diventato lo “stretto di Gargamella”, il cattivo dei Puffi. Ha risposto in questo modo un maturando a cui era stata rivolta la domanda “Come si chiama il braccio di mare che collega l’Egeo al Mar di Marmara?

    Alcune chicche degli studenti

    Archiviato lo stretto di Gargamella Skuola.net riporta una “Divina Commedia” attribuita a Giuseppe Garibaldi, il “Decameron” a Dante Alighieri, Luigi Pirandello vincitore di un Oscar, e Italo Calvino autore di Se questo è un uomo di Primo Levi. La siepe dell’Infinito di Giacomo Leopardi Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude (…)” in una risposta è diventa un cespuglio.
    Un abbinamento incomprensibile è quello che uno dei maturandi ha tirato fuori dal cilindro su Giovanni Verga. Secondo lo studente, l’ideale di Verga ruota attorno alla cozza, più economica dell’ostrica.

    … che non si parli di Storia per carità…

    Il termine Blitzkrieg, espressione con la quale, nei primi tempi della Seconda guerra mondiale, i Tedeschi indicarono il metodo di guerra impiegato, inteso a una rapidissima soluzione militare. Gli Inglesi accorciarono l’espressione in blitz con riferimento alle incursioni aeree tedesche sulle città della Gran Bretagna, è stata attribuita erroneamente alla Prima Guerra Mondiale. Ci sono state anche bombe atomiche che i maturandi hanno scambiato come atto conclusivo sempre della Prima Guerra Mondiale. Un Muro di Berlino crollato nel 1948, anziché nel 1989.
    E vuoi mettere una Costituzione Italiana varata nel 1968 invece che nel 1948. Da chi, da Mario Capanna e Giovanni Negri…? E per finire in bellezza per alcuni maturandi le Foibe furono un metodo di tortura della Prima Guerra Mondiale e l’Olocausto una strategia per cui gli Ebrei furono deportati nei “campi di concentrazione” per volontà e responsabilità dei soldati russi.

    Di arte e filosofia ne abbiamo?

    Tra le chicche di quest’anno nelle materie Arte e Filosofia si annoverano un “Paolo” e non Pablo Picasso che dipinse Guernica la sua opera definita “a colori“.
    La persistenza della memoria, dipinto di Salvador Dalì, attribuito all’autore Marcel Proust.
    Il concetto di Superuomo attribuito a Sigmund Freud invece che a Nietzsche e il termine filosofico Noumeno attribuito a Karl Marx invece che al filosofo tedesco Immanuel Kant.

    Qualche perla dei professori non ce la mettiamo…?

    Anche i docenti hanno commesso errori notevoli. Sembra che una professoressa abbia affermato che le centrali nucleari funzionino a combustione, dimostrando quanto l’emozione e la fretta possano influire anche sui più esperti.

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      Lifestyle

      Dire “no” ai figli: un atto educativo che costruisce sicurezza e fiducia

      Imparare a negare una richiesta senza urlare, colpevolizzare o cedere è una delle sfide più complesse per i genitori. Ma dire “no”, se fatto nel modo giusto, aiuta i bambini a crescere più sicuri, autonomi e capaci di gestire le frustrazioni.

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      Dire “no” ai figli: un atto educativo che costruisce sicurezza e fiducia

        Dire “no” a un figlio è spesso vissuto come un fallimento o come una prova di durezza genitoriale. Eppure, psicologi dell’età evolutiva e pedagogisti concordano su un punto fondamentale: la capacità di accettare un limite è una competenza che si impara fin dall’infanzia. Evitare sistematicamente i rifiuti, o cedere per paura di far soffrire il bambino, può avere conseguenze negative nel lungo periodo.

        Perché dire “no” è necessario

        I bambini hanno bisogno di confini per orientarsi nel mondo. Le regole forniscono sicurezza, perché rendono prevedibile l’ambiente e aiutano a distinguere ciò che è possibile da ciò che non lo è. Studi in ambito psicologico mostrano che i figli cresciuti con limiti coerenti sviluppano una maggiore capacità di autocontrollo, tolleranza alla frustrazione e rispetto delle regole sociali.

        Dire sempre “sì” non rende i bambini più felici: al contrario, può aumentare ansia e insicurezza, perché li priva di punti di riferimento chiari.

        Come dire “no” senza ferire

        Il modo in cui si nega qualcosa è tanto importante quanto il rifiuto stesso. Gli esperti suggeriscono alcune strategie efficaci:

        • Essere chiari e coerenti: un “no” vago o contraddittorio confonde. Se una richiesta non è possibile, va detto con parole semplici e ferme.
        • Spiegare il motivo: adattando il linguaggio all’età del bambino, spiegare il perché del rifiuto aiuta a sentirsi rispettati e ascoltati.
        • Accogliere le emozioni: è normale che il figlio si arrabbi o si rattristi. Riconoscere il suo sentimento (“capisco che sei deluso”) non significa cambiare decisione.
        • Evitare urla e minacce: il tono calmo rafforza l’autorevolezza e riduce lo scontro emotivo.

        Dire no non significa chiudere il dialogo

        Un rifiuto può diventare un’occasione educativa se apre al confronto. In alcuni casi, è possibile proporre un’alternativa o rimandare: “oggi no, ma possiamo pensarci per un’altra volta”. Questo insegna ai bambini la negoziazione e l’attesa, abilità fondamentali nella vita adulta.

        Gli effetti a lungo termine

        Secondo diverse ricerche in ambito educativo, i bambini che crescono con genitori capaci di dire “no” in modo empatico sviluppano maggiore autostima e resilienza. Imparano che non tutto è immediatamente accessibile, ma anche che il rifiuto non intacca l’amore e la relazione.

        In conclusione

        Dire “no” a un figlio non è un atto di freddezza, ma una forma di cura. È un messaggio chiaro: “ti voglio bene abbastanza da aiutarti a crescere”. Quando il limite è spiegato, coerente e accompagnato dall’ascolto, diventa uno strumento potente per costruire adulti più equilibrati, responsabili e sicuri di sé.

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          Curiosità

          Babbo Natale, perché è rosso e bianco? La vera storia del vecchio barbuto più famoso del mondo

          Il costume rosso bordato di bianco non è un’invenzione improvvisa né solo una trovata pubblicitaria. Dietro il Babbo Natale moderno c’è una lunga evoluzione culturale che attraversa secoli, Paesi e tradizioni diverse.

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          Babbo Natale, perché è rosso e bianco?
          Babbo Natale, perché è rosso e bianco? La vera storia del vecchio barbuto più famoso del mondo

            Ogni dicembre, puntuale come le luci nelle città, torna l’immagine rassicurante di Babbo Natale: barba candida, pancione, abito rosso acceso e cappello coordinato. Ma da dove arriva davvero questo personaggio? E soprattutto, perché è vestito proprio di rosso e bianco?

            Le origini di Babbo Natale affondano le radici nella figura storica di San Nicola di Myra, vescovo vissuto tra il III e il IV secolo nell’attuale Turchia. San Nicola era noto per la sua generosità verso i poveri e per l’attenzione ai bambini, qualità che nei secoli hanno alimentato racconti e leggende. In molte zone d’Europa, soprattutto nel Nord, la sua figura si è trasformata in Sinterklaas, protagonista delle festività invernali nei Paesi Bassi. Spesso rappresentato con abiti vescovili, lunghi mantelli e colori vivaci.

            Con le migrazioni europee verso il Nuovo Mondo, queste tradizioni arrivano anche negli Stati Uniti. È qui che, tra Ottocento e primo Novecento, Babbo Natale inizia ad assumere un aspetto più laico e fiabesco. Un ruolo fondamentale lo ebbero le illustrazioni del disegnatore Thomas Nast. Che a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento lo raffigurò come un uomo anziano, robusto e sorridente, già vestito con abiti invernali e colori caldi, spesso vicini al rosso.

            Il passaggio decisivo avviene però nel Novecento, quando l’immagine di Babbo Natale viene fissata nell’immaginario collettivo grazie ai mass media. A partire dagli anni Trenta, l’illustratore Haddon Sundblom realizza una serie di campagne pubblicitarie per la Coca-Cola che mostrano un Babbo Natale bonario. Umano e familiare, con il celebre completo rosso bordato di bianco. È importante chiarirlo: l’azienda non ha “inventato” Babbo Natale, ma ha contribuito in modo determinante a rendere universale e standardizzata la sua iconografia.

            Il rosso, oltre a essere già presente in raffigurazioni precedenti, richiama simbolicamente il calore, l’energia e la festa; il bianco evoca la neve, l’inverno e la purezza. Una combinazione cromatica perfetta per un personaggio legato al Natale, capace di superare confini religiosi e culturali.

            Oggi Babbo Natale è una figura globale, riconoscibile ovunque, frutto di un lungo processo di trasformazione che mescola fede, folklore, arte e comunicazione. Dietro quel costume apparentemente semplice si nasconde una storia complessa, fatta di secoli di narrazioni che continuano, anno dopo anno, a rinnovare la magia del Natale.

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              Animali

              Fumo e animali domestici: la salute di cani e gatti è in pericolo anche a casa

              Respirano ciò che respiriamo noi, ma con un rischio maggiore: i pet vivono a stretto contatto con le superfici contaminate dal fumo e ne pagano le conseguenze sulla salute.

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              Fumo e animali domestici

                La casa non è un rifugio quando c’è una sigaretta

                Per chi convive con un cane o un gatto, la casa è un mondo di coccole e sicurezza. Ma se tra quelle mura si fuma, per loro diventa un luogo a rischio. Gli animali non hanno la possibilità di allontanarsi volontariamente dal fumo come farebbe un essere umano: restano dove siamo noi e respirano tutto ciò che produciamo.

                Il fumo passivo contiene migliaia di sostanze nocive, molte delle quali cancerogene. A differenza delle persone, cani e gatti sono più vicini alle superfici — tappeti, divani, cuscini — dove si deposita il cosiddetto fumo di terza mano, quello che resta impregnato negli oggetti e viene ingerito o inalato nel tempo.

                Conseguenze rilevate dai veterinari

                Negli ultimi anni numerosi studi hanno confermato che gli animali esposti al fumo hanno un’incidenza più alta di malattie respiratorie e forme tumorali.

                Nei cani

                • Maggior rischio di tumore nasale, soprattutto nelle razze con muso lungo: le particelle tossiche restano intrappolate nelle cavità nasali.
                • Aumento dei casi di tumore ai polmoni nei cani che vivono con fumatori abituali.
                • Irritazioni a livello di gola, tosse cronica e peggioramento dei sintomi in animali con bronchite o patologie cardiache.

                Nei gatti

                • Il fumo si deposita sul pelo: mentre si puliscono, ingeriscono scorie tossiche.
                • Collegamenti scientificamente documentati con linfoma felino, una forma aggressiva di tumore del sistema immunitario.
                • Conjuntiviti e problemi respiratori ricorrenti.

                Anche altri animali soffrono
                Uccelli da compagnia, roditori e persino rettili possono riportare danni, perché i loro sistemi respiratori sono particolarmente sensibili alle sostanze chimiche inquinanti.

                Il fumo di “terza mano”: un pericolo silenzioso

                Non basta aprire la finestra o fumare in un’altra stanza. Le particelle del tabacco si depositano ovunque: sul pavimento, sui tessuti, nelle cucce. Per un gatto che si lecca il pelo o un cane che si rotola su un tappeto, l’esposizione è continua, anche quando la sigaretta è spenta da ore. Questo tipo di contaminazione è oggi al centro delle preoccupazioni di ricercatori e veterinari, perché gli effetti si accumulano nel tempo.

                I segnali da non ignorare

                Se un animale vive in un ambiente con fumatori, può iniziare a mostrare:

                • starnuti frequenti
                • occhi arrossati e lacrimazione
                • tosse o affanno
                • ridotta tolleranza allo sforzo

                Sono sintomi comuni anche ad altre patologie, ma la prima domanda che il veterinario farà sarà: c’è qualcuno che fuma in casa?

                Proteggere chi ci vuole bene

                La soluzione più efficace è semplice — ma richiede impegno: non fumare in presenza di animali domestici. Se non si riesce a smettere, ecco alcune precauzioni utili:

                • fumare solo all’aperto, lontano dall’ingresso di casa
                • lavare le mani e cambiare la maglia dopo aver fumato, soprattutto prima di accarezzare gli animali
                • ventilare spesso gli ambienti
                • pulire e aspirare regolarmente tessuti e superfici

                Non sono misure sufficienti a eliminare completamente il rischio, ma riducono l’esposizione.

                Un motivo in più per smettere

                Molti proprietari trovano nella tutela dei loro animali la motivazione giusta per dire addio alle sigarette. Gli amici a quattro zampe non giudicano e non chiedono nulla — se non di stare al nostro fianco. Sapere che il fumo può far loro del male aiuta a fare una scelta di salute che vale per tutti i membri della famiglia, umani e non.

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