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Società

Il professor Zangrillo, storico medico di Berlusconi: “Tra nord e sud, nella Sanità, ci sono disparità inaccettabili”

Il primario del San Raffaele e attuale presidente del Genoa: “Io lavoro con almeno il 50 per cento dei miei collaboratori che provengono dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Campania e son preparatissimi. Semplicemente ci sono delle distrazioni di economia che vanno a beneficio di qualcos’altro”

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    La sanità pubblica italiana è in crisi e farsi curare potrebbe diventare un lusso. Il professor Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano, ha lanciato un duro atto d’accusa contro la politica, colpevole di aver portato la sanità allo sfascio. Il professore ha criticato la politica sanitaria, sottolineando la disparità tra nord e sud e denunciando la mancanza di risorse causata dalla speculazione economica.

    Il problema dei costi e della speculazione

    Secondo Zangrillo, la sanità è un settore che richiede ricerca, tecnologia e innovazione, elementi che comportano costi elevati. Molte terapie innovative, come i dispositivi cardiaci Vad che costano 150 mila euro, non sono adeguatamente rimborsate dallo stato, mettendo in crisi gli ospedali. “La salute è il bene supremo ma farsi curare diventerà il più grande lusso. Quello che una volta era avere la casa di proprietà e la macchina.” Zangrillo ha evidenziato come la sanità sia ormai un privilegio per pochi, con la crescente speculazione che peggiora la situazione.

    Disparità regionali

    Zangrillo ha poi evidenziato le disuguaglianze regionali, affermando che al nord si vive più a lungo rispetto al sud a parità di patologia, non per mancanza di preparazione dei medici meridionali, ma per distrazioni economiche che avvantaggiano altri settori. “Io lavoro con almeno il 50 per cento dei miei collaboratori che provengono dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Campania e son preparatissimi. Semplicemente ci sono delle distrazioni di economia che vanno a beneficio di qualcos’altro. Il fenomeno è diffuso un po’ ovunque, ma si percepisce di più al sud.”

    Turismo sanitario e speculazione

    Un altro punto critico sollevato da Zangrillo riguarda il turismo sanitario, fenomeno dovuto alla ricerca di cure migliori fuori regione. Ha accusato la speculazione e l’evasione fiscale di contribuire alla carenza di risorse per la sanità pubblica, sottolineando che molti non pagano le tasse, aggravando il problema. “Tutti noi dovremmo pagare le tasse. Molti non pagano le tasse, molti che accolgono i turisti nella nostra Liguria durante il periodo estivo fanno il nero e lo sappiamo tutti perfettamente. In quel momento eludono il pagamento delle tasse e aggravano il problema che non ci sono sostanze per la sanità sociale quando magari sono i primi che invece pretendono di averla”.

    Pronto soccorso al collasso

    Infine, Zangrillo ha affrontato il problema dei pronto soccorso sovraffollati, attribuendo la colpa alla mancanza di rispetto per i livelli minimi di assistenza e alla crisi della medicina territoriale. “I medici del territorio si sentono sottovalutati, sottopagati, sottostimati e quindi non hanno, se non in modo eroico, alcun ruolo per coprire quello spazio fondamentale che è la medicina del territorio, la medicina sociale. Adesso il medico di base ti dice: vai al pronto soccorso. Ma non è colpa del medico, è colpa che ormai tutti cercano di scansare il problema.”

    Il futuro della sanità pubblica

    Queste dichiarazioni accendono un dibattito sulla necessità di una riforma strutturale della sanità italiana, che possa garantire equità e qualità delle cure in tutto il paese. Zangrillo, noto come il “medico di Berlusconi” e fratello del ministro per la pubblica amministrazione, ha sottolineato di non essere mai stato coinvolto nella politica e di avere sempre mantenuto una posizione critica e distante. Tuttavia, le sue parole evidenziano un quadro preoccupante della situazione attuale della sanità in Italia, richiedendo interventi urgenti per evitare che farsi curare diventi un privilegio riservato a pochi.

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      Milano tra paura e vip in fuga: l’allarme sicurezza che scuote la città

      Anche i vip “radical chic” dicono basta: vivere a Milano è diventato “impossibile”. Un coro di voci unanime che riguarda anche molte famiglie e professionisti.

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        L’insicurezza a Milano non è più una semplice percezione, ammesso che lo sia mai stata. Oggi è una realtà sempre più evidente. Lo sfogo di Giulia Salemi riflette il sentimento di tante persone che ogni giorno vivono con la paura di uscire, prendere i mezzi pubblici, fare una passeggiata o rientrare a casa dopo il tramonto. A differenza di tanti cittadini, la sua voce riesce a fare rumore, anche se non è certo la prima a sollevare il problema. Già anni fa Chiara Ferragni aveva provato a evidenziare il tema della sicurezza a Milano. Tuttavia, fu costretta a fare marcia indietro, probabilmente per non danneggiare l’immagine della città agli occhi dei suoi follower stranieri. Un vero peccato, perché in quell’occasione stava offrendo un servizio utile alla comunità.

        Anche i vip “radical chic” dicono basta

        Giulia Salemi, come altri vip che non hanno ritrattato le loro dichiarazioni, tra cui Eleonoire Casalegno, Carlo Verdone e Flavio Briatore, ha descritto perfettamente le paure delle donne che vivono a Milano. “Sono stufa e impaurita. Ogni giorno ho il terrore di girare da sola. Vedo solo facce che mi terrorizzano, persone poco raccomandabili, potenziali stupratori che mi fissano con quello sguardo fastidioso“, ha dichiarato l’influencer, attualmente incinta, in un video pubblicato online. Gli uomini, tra cui il sindaco Beppe Sala, non possono comprendere del tutto “quello sguardo” che tormenta molte donne e lascia una sensazione di disagio che dura per ore. Una paura che si alterna al sollievo di pensare: “Stavolta mi è andata bene“.

        Vivere a Milano è diventato “impossibile”

        Alba Parietti, nota per le sue posizioni politiche, recentemente ha subito il furto delle ruote della sua auto a Basiglio. “Rubano di tutto, scippi continui, aggressioni, omicidi per futili motivi o follia. Vivere a Milano e nel suo hinterland è diventato impossibile“, ha dichiarato la showgirl, esprimendo un disagio condivisibile. Anni di tolleranza, impunità e buonismo hanno creato una situazione insostenibile. Tuttavia, si continua a far finta che vada tutto bene, probabilmente per non scoraggiare il turismo. Il problema è che quei turisti, una volta venuti, non tornano più.

        Un esodo che riguarda molti cittadini

        Sempre più persone, quindi, non solo i radical chic stanno lasciando Milano per trasferirsi nelle vere periferie, dove sperano di trovare maggiore tranquillità. L’esodo dalla città non riguarda solo i cittadini comuni, ma anche i vip. Massimo Boldi, ha dichiarato più volte di essersi trasferito in provincia per sfuggire alla criminalità sempre più invadente. “La situazione della sicurezza a Milano è peggiorata rispetto al passato, soprattutto nei quartieri più poveri, dove le persone sono costrette a delinquere per sopravvivere“, ha spiegato l’attore, aggiungendo di aver installato sistemi di sicurezza avanzati nella sua nuova casa per proteggersi.

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          Dove si guadagna di più in Italia? Milano in testa, Sud in fondo alla classifica

          Un’analisi della Cgia di Mestre rivela le disparità salariali tra Nord e Sud. Mentre le province settentrionali vedono retribuzioni elevate grazie a settori ad alta produttività, il Mezzogiorno soffre con stipendi medi annui ben al di sotto della media nazionale. Milano svetta con 32.472 euro lordi, mentre Vibo Valentia chiude la classifica con soli 12.923 euro.

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            Milano conferma il suo primato come la provincia con gli stipendi più alti in Italia, con una retribuzione media lorda annua nel settore privato di 32.472 euro. Seguono Parma e Modena, rispettivamente con 26.861 e 26.764 euro. La classifica delle province più “ricche” vede una predominanza delle aree settentrionali e in particolare dell’Emilia Romagna, dove settori ad alta produttività come la meccanica e l’automotive contribuiscono a stipendi più elevati. Bologna, Reggio Emilia, Lecco, Torino, Bergamo, Varese e Trieste completano la top ten, con retribuzioni che variano dai 25.165 ai 26.610 euro.

            Il Sud stenta: Vibo Valentia fanalino di coda

            Al contrario, le province meridionali continuano a mostrare un divario significativo. Trapani, Cosenza, Nuoro e, ultima in classifica, Vibo Valentia, registrano retribuzioni medie lorde annue ben al di sotto della media nazionale, con Vibo Valentia che chiude la classifica con soli 12.923 euro. Questo divario del 35% rispetto al Nord è una realtà che i contratti collettivi nazionali non sono riusciti a colmare, evidenziando le persistenti disuguaglianze salariali tra Nord e Sud Italia.

            Il perché del divario: le cause delle disuguaglianze salariali

            Le province settentrionali beneficiano della presenza di industrie ad alta produttività e valore aggiunto, come l’automotive, la meccatronica e il biomedicale, che garantiscono stipendi più elevati. Al contrario, al Sud, la mancanza di queste realtà produttive e la prevalenza di piccole imprese limitano significativamente il potere contrattuale e, di conseguenza, le retribuzioni. Le multinazionali e le grandi imprese, concentrate principalmente al Nord, contribuiscono ad accentuare questo divario, offrendo salari più alti rispetto alle medie nazionali.

            Un’Italia a due velocità

            L’Italia continua a essere un Paese diviso anche sul fronte delle retribuzioni, con un Nord che beneficia di una maggiore concentrazione di settori produttivi e un Sud che, nonostante gli sforzi contrattuali, stenta a ridurre il gap. Questo divario salariale rappresenta una delle sfide più complesse per il futuro del Paese, che dovrà affrontare non solo le differenze economiche, ma anche le loro ricadute sociali e territoriali.

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              Società

              Italiani, popolo di collezionisti. Da Barbie Dreamhouse alle scarpe “brutte”

              Dagli orologi alle sneakers, dalle figurine alle borse, dalle monete alle bambole, dai fumetti ai gioielli: gli italiani sono un popolo di collezionisti.

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                Gli italiani sono noti per la loro passione per il collezionismo. Intervistati sei persone su dieci si definiscono collezionisti, un dato che si traduce in circa 33 milioni di italiani che inseguono la propria passione raccogliendo oggetti di vario tipo. Dai classici orologi alle sneakers, dalle figurine alle borse, monete, bambole, fumetti e gioielli, il collezionismo non solo rappresenta un hobby. Sono anche un modo per conservare ricordi, investire e persino guadagnare. Ogni anno, in media, gli italiani spendono 1.381 euro per alimentare questa passione, superando la spesa media per le vacanze estive, che si aggira intorno ai 1.130 euro.

                Oggetti iconici e un fenomeno in crescita

                Il rapporto sui 100 oggetti iconici del 21° secolo, realizzato da Catawiki in collaborazione con Hypebeast, ha evidenziato quanto sia ampio il mondo dei collezionisti. Tra gli oggetti che hanno attirato maggior attenzione figurano la casa giocattolo Malibu di Barbie, il whisky giapponese Yoichi Nikka, la Tesla Roadster elettrica prodotta in soli 2.450 esemplari e la carta Charizard della prima edizione dei Pokémon. Non mancano curiosità come il tappeto che riproduce uno scontrino di Ikea o la maglietta DHL firmata dal brand elitario Vetements. Questi oggetti, in alcuni casi, sono diventati veri e propri simboli di un’epoca.

                Lombardi e giovani tra i più spendaccioni

                Il collezionismo in Italia vede particolarmente attivi i lombardi, seguiti da campani, siciliani, laziali e veneti, con una spesa che nei prossimi 3-5 anni potrebbe crescere del 37%, raggiungendo i 1.892 euro a persona. In particolare, la Generazione X potrebbe arrivare a spendere fino a 2.092 euro all’anno per alimentare le proprie collezioni.

                I più collezionati: libri, orologi, gioielli…

                Tra gli oggetti più amati dai collezionisti italiani ci sono i libri (49%), seguiti da orologi (33%), gioielli (32%), fotografie (32%) e le tradizionali banconote e monete (32%). L’Italia, in particolare, si distingue come il primo paese per acquisto di borse e il secondo per la loro vendita. Questo riflette quanto il mercato del collezionismo nel Paese sia vivace e dinamico.

                L’impatto del web e dei social media

                Il 96% dei collezionisti italiani si aggiorna regolarmente tramite il web e frequenta fiere per essere al passo con le ultime novità. Il 22% segue influencer o esperti sui social media per arricchire la propria conoscenza, mentre un altro 22% preferisce condurre ricerche approfondite per diventare un vero esperto del proprio settore di collezionismo.

                Collezionisti: passione o investimento?

                Per molti italiani, il collezionismo non è solo un hobby, ma anche un modo per preservare e tramandare oggetti di valore. Il 36% lo fa per mantenere un’eredità per le future generazioni, mentre il 68% controlla regolarmente il valore della propria collezione. Il 32% degli intervistati ha dichiarato di voler rivendere parte della collezione per aumentare il proprio reddito, percentuale che sale al 42% tra la Generazione Z, segno di una crescente consapevolezza del valore economico dietro questa passione.

                Il boom di alcuni oggetti iconici: Barbie e Sneakers

                Cecilia Vicini Ronchetti, esperta di bambole per Catawiki, ha evidenziato come il fenomeno Barbie, soprattutto dopo il successo del film, abbia visto un aumento del 20% dei prezzi di vendita. Anche il mondo delle sneakers è in continua evoluzione. Mirco Castagnoli, esperto di questo settore, ha raccontato come il boom del 2016 abbia portato a una vera e propria corsa all’acquisto di alcune scarpe particolari. Ma oggi l’attenzione si è spostata verso prodotti di design e qualità superiore. Iconiche, ma non sempre indossabili, le Salomon Cross Low e i Big Red Boot di Mschf sono esempi perfetti di come alcuni oggetti diventino simboli culturali più che pratici.

                Collezionisti di tutte le età, ma per i Boomers è un affare privato

                Il modo in cui le diverse generazioni approcciano il collezionismo varia significativamente. La Generazione Z lo vede come un’opportunità per interagire e socializzare, mentre i Millennials sono quelli che spendono di più, con una media di 1.450 euro l’anno. I Boomers, invece, lo vivono più come un affare privato e sono meno inclini a vendere gli oggetti collezionati: solo il 15% di loro sarebbe disposto a farlo.

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