Società
Lavoro, giovani e salari: la fotografia di un’Italia in cerca di equità, opportunità e più soldi in busta paga
Secondo un’indagine di Noto Sondaggi i giovani italiani che cercano stabilità, retribuzioni dignitose e flessibilità lavorativa si scontrano con un sistema che fatica a garantire stipendi allineati alla media europea.

Uno studio di Noto Sondaggi analizza le aspettative e le esperienze lavorative della generazione Z e dei giovani millennial (15-34 anni), tra occupati e disoccupati. Emergono tendenze chiare: lavoro dipendente, stipendi dignitosi (almeno 1.250 euro), e un crescente desiderio di smart working. Quasi la metà dei disoccupati (48%) cerca lavoro da oltre un anno, una percentuale che sale al 62% tra i 18-24 anni e al 68% al Nord. Il 40% dei giovani preferisce un impiego a tempo pieno, ma questa percentuale scende al 30% tra i 25-34 anni. A Sud, il 48% accetterebbe “qualsiasi lavoro” pur di entrare nel mercato. Il lavoro dipendente è preferito dall’80% dei giovani, che vedono l’autonomia professionale come un rischio eccessivo.
Smart working: una priorità per molti giovani
Tra i disoccupati, il 46% tra i 18-24 anni considera imprescindibile lavorare in smart working almeno alcuni giorni a settimana, mentre tra i 25-34 anni la quota cala al 28%. Inoltre, un terzo dei giovani sarebbe disposto a trasferirsi all’estero pur di trovare migliori condizioni. E i salari? Quali valutazioni sui salari tra i più bassi d’Europa…?
Stipendi in Italia: un nodo cruciale per tutti
Il 66% dei giovani interpellati rifiuta salari inferiori a 1.250 euro al mese. Il 57% ha rifiutato offerte per stipendi troppo bassi, mentre il 19% non scenderebbe sotto i 1.500 euro. Tuttavia, il 7% accetterebbe lavori sottopagati, segno di difficoltà o rassegnazione. Dall’indagine risulta ch solo il 2% si aspetta uno stipendio di almeno 2.000 euro, riflettendo aspettative modeste rispetto alla media europea. In Italia, il 71% dei giovani lavoratori guadagna meno di 1.500 euro al mese, e un quarto riceve meno di 1.000 euro. Questi dati sottolineano una grave disparità rispetto agli altri paesi europei, dove i salari medi per i giovani sono più alti.
Ad esempio, in Germania e Francia gli stipendi iniziali si aggirano intorno ai 2.000-2.200 euro, mentre in Italia si fatica ad arrivare alla metà. E in effetti gli stipendi italiani sono tra i più bassi in Europa, con un aumento reale di appena l’1% negli ultimi 30 anni contro il 32% della media OCSE. Questa stagnazione penalizza il ceto medio, riduce il potere d’acquisto e danneggia la competitività del sistema Paese, spingendo molti talenti ad emigrare. Stefano Cuzzilla di Federmenager evidenzia l’urgenza di ridurre il costo del lavoro per le imprese e aumentare i salari, soprattutto in settori strategici come tecnologia e sostenibilità.
Contratti: il tempo indeterminato cresce al Centro
Secondo Noto Sondaggi tra i 15-29 anni, 3 milioni di giovani lavorano, di cui l’87,5% come dipendenti. I contratti a tempo indeterminato sono in crescita, soprattutto nel Centro Italia (74% dei lavoratori tra i 18-34 anni). Al Nord il dato si ferma al 60% e al Sud al 55%, dove il precariato è più diffuso. Un dato positivo riguarda la disoccupazione giovanile, scesa dal 22,3% del 2019 al 15,4% nel 2024. Anche i Neet (giovani che non studiano né lavorano) sono diminuiti, passando da 1,9 milioni nel 2019 a 1,3 milioni nel 2024.
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Società
Deconcentrati, stressati, ansiosi. I nostri adolescenti sono a rischio
Non dormono, non si concentrano, stanno poco in società: così lo smartphone ha reso depressi e ansiosi i nostri adolescenti.

Il libro “La generazione ansiosa” di Jonathan Haidt (Rizzoli editore) ha posto una questione importante. Qual è l’impatto degli smartphone e dei social media sul benessere mentale degli adolescenti. L’autore ha presentato un quadro preoccupante, supportato da dati molto inquietanti. L’uso eccessivo degli smartphone ha portato a un aumento della depressione, ansia e dei suicidi tra i giovani. La “Grande riconfigurazione dell’infanzia“, come la definisce Haidt, ha spostato i ragazzi dal gioco libero all’isolamento digitale, privandoli delle esperienze sociali fondamentali per il loro sviluppo emotivo e mentale.
Come i social stanno rovinando i nostri figli
L’autore sostiene che l’abuso dello smartphone, combinato con l’iperprotettività dei genitori, ha creato una generazione più vulnerabile, costantemente in modalità di difesa, incapace di affrontare rischi e frustrazioni. I bambini di oggi sono meno preparati a gestire le sfide della vita perché sono stati protetti eccessivamente dai noi genitori esposti senza controllo ai pericoli della rete. Questa combinazione ha reso gli adolescenti più fragili e ansiosi.
Ci si incontra meno e in fretta
Uno degli effetti più gravi dell’uso degli smartphone è la riduzione delle interazioni sociali reali. I ragazzi passano meno tempo con gli amici e più tempo online, perdendo le opportunità di sviluppare relazioni profonde e significative. Inoltre, la frammentazione dell’attenzione e la dipendenza da notifiche continue minano la loro capacità di concentrazione e di riflessione.
La tecnologia non va demonizzata, va usata meglio
Haidt non è un luddista, non demonizza la tecnologia in sé, ma invita a una riflessione critica sul modo in cui la usiamo. È importante, dice, distinguere tra le opportunità offerte dalla rete e le distorsioni create dai social media, che alimentano una visione binaria e semplificata del mondo. Le soluzioni, secondo lui, non risiedono nel rifiuto della tecnologia, ma nell’educazione e nella regolamentazione del suo uso.
Serve una riconnessione con la realtà
Il libro si chiude con consigli pratici per genitori, insegnanti e governi su come affrontare questi problemi. Haidt suggerisce una discussione aperta tra genitori e figli, e un uso più consapevole degli smartphone, spegnendoli quando necessario per riconnettersi con la realtà e tra di loro.
Società
Londra arrivo…!! Il Regno Unito apre le porte a 70mila giovani
Il piano di Londra per la mobilità dei giovani europei: tre anni di visto ma con il numero chiuso.

Il Regno Unito sta valutando un nuovo programma di mobilità giovanile per cittadini europei tra i 18 e i 30 anni, con un limite massimo di 70mila ingressi. E una permanenza di tre anni senza possibilità di richiesta d’asilo. La proposta, che potrebbe essere discussa al summit europeo di Londra il 19 maggio, si inserisce nella nuova strategia del premier Keir Starmer. Il tentativo è quello di per “resettare” i rapporti tra Regno Unito e Unione Europea dopo la Brexit.
La mobilità giovanile è una delle condizioni richieste da Bruxelles, e secondo fonti governative, diversi ministri chiave a Londra sarebbero aperti a nuove regole. Tra questi, la ministra degli Interni Yvette Cooper, impegnata a ridurre l’immigrazione netta, e la ministra del Tesoro Rachel Reeves. Nei giorni scorsi, 62 deputati e otto lord laburisti hanno inviato una lettera al ministro per l’Europa Nick Thomas-Symonds, sottolineando che un programma dedicato ai giovani favorirebbe opportunità professionali, accademiche ed economiche senza reintrodurre la libertà di movimento.
Tre anni di visto, ma senza asilo
Fino a poco tempo fa, la ministra Cooper si era opposta a schemi che consentissero una permanenza superiore a un anno. Ora sembra disposta a estendere il periodo a 36 mesi, purché venga mantenuto un numero chiuso di partecipanti. Inoltre, sempre secondo la stampa britannica, la ministra vuole introdurre il divieto di richiesta d’asilo per i giovani europei al termine del periodo di soggiorno. Il primo ministro Starmer ha recentemente incontrato Ursula von der Leyen alla Lancaster House di Londra per discutere il futuro della sicurezza energetica. Il fatto che il portavoce del governo non abbia escluso il programma per la mobilità giovanile, come in passato, viene interpretato come un segnale di apertura.
Quali sono le regole del programma
Il piano potrebbe ricalcare modelli già adottati con Canada, Nuova Zelanda, Australia e Corea del Sud (per giovani tra i 18 e i 35 anni). Così come Andorra, Islanda, Giappone, Monaco, San Marino e Uruguay (per giovani tra i 18 e i 30 anni). In questi casi la permanenza è di due anni, con requisiti finanziari specifici. Bisogna dimostrare fondi per almeno 2.530 sterline (circa 2.968 euro). Inoltre è necessario pagare 776 sterline l’anno (circa 910 euro) per il servizio sanitario.
Il cambio di rotta? Arriva dopo il calo degli arrivi europei
Dalla Brexit, il numero di arrivi europei nel Regno Unito è diminuito del 70%, mentre l’immigrazione netta è cresciuta a 728.000 persone, rispetto ai 200/300mila annui registrati prima della pandemia. Se approvato, questo programma potrebbe ristabilire il Regno Unito tra le destinazioni più ambite per giovani europei alla ricerca di esperienze formative e professionali all’estero. E allo stesso tempo non compromettere le nuove politiche migratorie del governo. Una mossa che potrebbe segnare una svolta nei rapporti tra Londra e Bruxelles.
Società
Hacker etici? Sì per dare la caccia ai predatori del web e proteggere i minori
Grazie al loro lavoro, centinaia di pedofili sono già stati identificati e denunciati, e il loro contributo continua a essere fondamentale per rendere internet un luogo più sicuro per tutti, soprattutto per i più vulnerabili.

Nell’ombra del cyberspazio, dove spesso si nascondono minacce invisibili, esiste un gruppo di esperti informatici che ha scelto di usare le proprie competenze per combattere il crimine. Sono hacker, ma non quelli di cui si sente parlare in relazione ad attacchi informatici o frodi. Qui si tratta di hacker etici, conosciuti anche come white hat hackers, e hanno fatto della protezione dei più vulnerabili la loro missione. In particolare, si dedicano alla caccia ai pedofili che cercano di adescare minori online. Tra questi, il gruppo Cyber Sentinels, fondato da Volpe e Dottore (nomi di copertura). Conta oggi più di mille membri, tra esperti di cybersecurity, avvocati, studenti e tecnici informatici. Il loro obiettivo è duplice: stanare i pedofili e denunciarli alle autorità, e fornire formazione gratuita sulla sicurezza informatica e sull’hacking etico.
Come funzionano le operazioni di caccia degli hacker buoni
La strategia degli hunter, ovvero i cacciatori digitali, segue uno schema preciso. Entrano nei canali pubblici di chat, dove il rischio di adescamento è più alto, e si fingono adolescenti. È qui che iniziano a intercettare i predatori digitali, individui che cercano di instaurare un dialogo con minori fingendosi amici o confidenti. Quando un pedofilo abbocca, lo spingono a scoprirsi con tecniche di ingegneria sociale. Ovvero manipolazione psicologica: raccontano di vite difficili, assenza di figure genitoriali, cercando di far abbassare le difese del criminale. A quel punto, il pedofilo inizia a chiedere foto, video o incontri, e gli hacker raccolgono prove cruciali per l’incriminazione. Una delle fasi chiave è il passaggio su Telegram, dove gli hacker hanno strumenti avanzati per risalire all’identità dell’adescatore attraverso indirizzi IP e numeri di telefono. Quando raccolgono informazioni sufficienti, preparano un fascicolo digitale con chat, foto, email e profili social, e lo inviano alla Polizia Postale, al Moige o al Telefono Azzurro per l’intervento immediato delle autorità.
Qual è il profilo dei predatori digitali?
Secondo l’esperienza degli hacker etici, i pedofili online sono sempre uomini, con età che variano dai 30 ai 70 anni, provenienti da ogni parte d’Italia. Alcuni hanno un buon livello di istruzione, altri meno, ma il comportamento è spesso lo stesso: cercano di instaurare un rapporto di fiducia con la vittima, per poi farla cadere in una trappola psicologica. L’aspetto più inquietante è che, nel 90% dei casi, le prime domande che pongono riguardano l’abbigliamento: “Sei in pigiama?”. È il primo segnale che permette agli hacker etici di identificare una possibile minaccia.
L’impegno contro la cyberpedofilia
I forum del dark web, dove si vendono droga, malware e servizi illegali, vietano categoricamente la pedopornografia. Questo dimostra quanto sia considerato abominevole persino tra i criminali informatici. La lotta contro la cyberpedofilia è una priorità assoluta per le forze dell’ordine, che intervengono con la massima urgenza quando ricevono segnalazioni dettagliate e documentate. Per questo motivo, il lavoro degli hacker etici è prezioso. Agiscono lì dove spesso le autorità hanno difficoltà a operare in tempo reale, prevenendo abusi e aiutando a mettere sotto processo chi sfrutta il web per compiere crimini contro i minori.
Come proteggere i minori online
Se il lavoro degli hacker etici è fondamentale, altrettanto importante è la prevenzione. Tra i diversi consigli per i genitori al primo posto è quello di dare ai figli il cellulare il più tardi possibile. Installare software di parental control per limitare l’accesso a contenuti pericolosi. Importante monitorare proattivamente l’attività online dei ragazzi, verificando siti, app e contatti. E naturalmente serve insegnare la consapevolezza digitale, spiegando i rischi legati alle interazioni con sconosciuti. Infine fare molta attenzione ai videogiochi online, dove i pedofili possono infiltrarsi fingendosi altri giocatori.
Hacker al servizio del bene
Gli hacker etici dimostrano che la tecnologia non è solo un’arma per i criminali, ma può diventare un potente strumento di protezione. Il loro operato è una risposta concreta a una delle minacce più oscure del web, e il loro impegno offre una speranza. Il cyberspazio può essere reso più sicuro, se chi lo conosce lo usa per combattere il male.
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