Società
Smart working sotto controllo? No, la geolocalizzazione dei dipendenti è vietata
Una società regionale della Calabria è stata multata per aver monitorato la posizione dei lavoratori in remoto. Il Garante della privacy interviene: nessun datore di lavoro può tracciare la posizione dei dipendenti, perché viola i principi di dignità e libertà.

Lavorare da casa significa maggiore autonomia e flessibilità, ma non per tutti. In Calabria, una società regionale ha provato a controllare i propri dipendenti in smart working. Ha chiesto loro di attivare la geolocalizzazione di pc e smartphone per verificare che lavorassero dall’indirizzo dichiarato. Il risultato? Una multa di 50mila euro inflitta dal Garante per la privacy, che ha ribadito un principio fondamentale: nessun datore di lavoro può tracciare la posizione geografica dei suoi dipendenti in remoto.
Il controllo a distanza multato
La vicenda riguarda Arsac, l’Azienda Regionale per lo Sviluppo Agricolo della Calabria, che ha adottato un sistema di controllo a distanza. Ai lavoratori veniva richiesto di timbrare digitalmente in entrata e in uscita tramite un’applicazione chiamata Timerelax. Ma non solo. Subito dopo dovevano dichiarare via e-mail la loro posizione. In alcuni casi, l’azienda contattava i dipendenti telefonicamente e chiedeva loro di attivare la geolocalizzazione per verificare se fossero davvero nel luogo indicato nell’accordo di smart working. Chi risultava altrove rischiava un procedimento disciplinare.
Geolocalizzare i lavoratori: perché è vietato?
Il Garante ha sottolineato che una sorveglianza di questo tipo è in contrasto con le normative sulla protezione dei dati personali e con lo Statuto dei lavoratori, che tutela la dignità e la libertà individuale. Monitorare in modo costante la posizione di un dipendente significa ridurre il suo spazio di libertà, trasformando il lavoro remoto in una sorta di tele-sorveglianza continua. Il datore di lavoro, anche se titolare del trattamento dei dati, deve rispettare i principi della privacy: non può utilizzare strumenti tecnologici perseguendo il controllo diretto delle attività dei lavoratori, perché ciò comporta una compressione della dignità personale.
Il caso calabrese non è isolato
Sempre più aziende cercano sistemi per verificare l’effettiva presenza dei lavoratori nelle sedi dichiarate. C’è chi impone la videocamera accesa, chi controlla gli accessi ai sistemi aziendali e chi utilizza software di monitoraggio delle attività. Tutti questi strumenti possono essere leciti solo se rispettano precise condizioni: devono essere dichiarati, regolamentati e non devono mai ledere i diritti fondamentali della persona.
Il reclamo della dipendente che fa scattare l’indagine
A far emergere il caso è stata una dipendente di Arsac, che ha presentato un reclamo contestando il procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti. Secondo l’azienda, la geolocalizzazione era solo un’esigenza organizzativa e di sicurezza, e non aveva finalità punitive. La lavoratrice, però, ha dimostrato che la sua posizione era stata verificata a distanza senza consenso esplicito, generando una contestazione disciplinare. Il Garante ha stabilito che la società ha violato le norme sulla privacy, infliggendo una multa di 50mila euro. Il trattamento dei dati con la geolocalizzazione è vietato, perché non rispetta né le regole in materia di protezione dei dati personali, né quelle speciali in tema di lavoro agile.
Una pratica diffusa?
L’avvocata Paola Zanellati, esperta di diritto del lavoro e privacy, sottolinea un problema sistemico. “Ciò che sorprende è che le aziende continuano a commettere gli stessi errori”, afferma. “Videosorveglianza, geolocalizzazione, controllo degli accessi: nonostante la normativa sia chiara, le imprese ancora violano le regole”. Quanti altri datori di lavoro stanno utilizzando strumenti di tracciamento senza che i dipendenti lo sappiano? Questa vicenda potrebbe essere solo la punta dell’iceberg, un caso emblematico di controllo illecito mascherato da esigenza organizzativa.
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Società
Dialetti d’Italia: quanti sono e dove si parlano di più. Ecco la mappa regione per regione
Un patrimonio linguistico vasto e diversificato rende l’Italia uno dei paesi più ricchi di varietà dialettali in Europa. Ecco la mappa delle principali lingue e dialetti sul nostro territorio.

L’Italia non è solo la culla della lingua italiana, ma anche un mosaico di dialetti e lingue locali che raccontano la storia, la cultura e le tradizioni delle diverse regioni. Nonostante l’italiano sia la lingua ufficiale, il nostro paese è un vero e proprio tesoro linguistico, con almeno 13 lingue tutelate per legge e un numero di dialetti che potrebbe superare il centinaio.
Lingue e dialetti: un’Italia multilingue
Accanto all’italiano, si parlano quotidianamente lingue come il napoletano, il veneto, il sardo, il friulano, il siciliano, il piemontese, il lombardo, l’emiliano-romagnolo e il ligure, tutte riconosciute come espressioni linguistiche fondamentali del patrimonio culturale nazionale. A queste si aggiungono le lingue delle minoranze linguistiche ufficialmente tutelate, come il tedesco nel Trentino-Alto Adige, il francese in Valle d’Aosta e lo sloveno in Friuli Venezia Giulia.
Ma non è tutto: in molte regioni italiane, i dialetti si ramificano ulteriormente. In Sicilia, ad esempio, il dialetto siciliano presenta varianti significative a seconda delle province. Lo stesso fenomeno si riscontra in Veneto, Sardegna, e perfino in regioni centrali come Abruzzo, Marche e Umbria, dove le differenze tra un paese e l’altro possono essere sostanziali.
Dove si parla di più il dialetto in Italia?
Secondo recenti analisi statistiche, le regioni dove i dialetti sono ancora largamente utilizzati sono la Campania e il Veneto. In Campania, oltre il 30% della popolazione usa il dialetto come lingua principale nella vita quotidiana, una percentuale che si avvicina ai livelli del Veneto. Tuttavia, l’uso del dialetto cala drasticamente nei grandi centri urbani e tra le nuove generazioni, con gli anziani che rimangono i principali custodi di queste parlate tradizionali.
Un patrimonio in continua evoluzione
Oltre ai dialetti italiani, l’Italia è anche arricchita dalla presenza di lingue parlate da comunità straniere, come russo, arabo, cinese, ucraino, e persino lingue meno diffuse come swahili, urdu e coreano, portate da chi ha scelto il nostro paese come nuova casa.
Questa diversità linguistica fa dell’Italia un luogo unico, dove passato e presente convivono. I dialetti, pur subendo un calo generazionale, continuano a rappresentare un valore inestimabile per chi li parla, ricordando che ogni regione ha la sua voce e la sua storia.
Lifestyle
In attesa delle Olimpiadi invernali Cortina come Venezia: chi vuole entrare paga
Reinhold Messner sostiene che pagare un ticket per entrare a Cortina sarebbe una misura necessaria per difendere le Dolomiti dal turismo aggressivo, preservando le montagne per escursionisti e ciclisti.

In attesa dell’inzio delle prossime Olimpiadi Invernali di Cortina che si svolgeranno dal 6 al 22 febbraio del 2026, resta sempre valida la proposta di Reinhold Messner di introdurre un ticket d’ingresso per accedere a Cortina. Inoltre lo scalatore vorrebbe fare pagare un ticket a tutti quelli che attraversano e scalano i passi dolomitici. Una proposta che ha suscitato un dibattito acceso tra i sostenitori della conservazione ambientale e coloro che ritengono che la montagna debba rimanere accessibile a tutti.
Cosa dice l’uomo dei 14 ottomila metri scalati
Messner sostiene che questa misura sarebbe necessaria per difendere le Dolomiti dal turismo aggressivo, preservando le montagne per escursionisti e ciclisti e riducendo l’impatto ambientale e il rumore causato dal flusso turistico.
Ma il sindaco non ci sta
Tuttavia, il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, ha respinto categoricamente la proposta, affermando che la fragilità della montagna richiede una gestione diversa e più olistica. Lorenzi ritiene che non sia accettabile precludere l’accesso alla montagna a chiunque venga a visitarla. E quindi? Quindi propone di studiare un progetto ampio che coinvolga tutti gli attori interessati per trovare soluzioni sostenibili e condivise. Intando le Olimpiadi si avvicinano…
Mentre Messner solleva preoccupazioni legate alla preservazione ambientale e alla sostenibilità del turismo in montagna, il sindaco di Cortina, a differenza del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, fa i suoi conti e suggerisce che qualsiasi misura restrittiva debba essere parte di un piano ben studiato. Ma soprattutto condiviso da tutte le parti interessate. La questione rimane aperta e richiederà un dibattito approfondito e un coinvolgimento attivo delle autorità e della comunità locale per trovare una soluzione che bilanci le esigenze di conservazione ambientale con il desiderio di accessibilità e fruibilità delle montagne.
Società
Altro che “Non è un paese per vecchi”: in Italia lo è fin troppo
Secondo l’Inps, nei prossimi vent’anni l’Italia sarà abitata da milioni di pensionati over 65 e over 75 sempre più soli, con famiglie disgregate e un crollo delle nascite irreversibile. Il tutto in un Paese che invecchia a velocità doppia rispetto all’Europa, con i giovani che scappano e non tornano

Se i fratelli Coen dovessero girare oggi il loro celebre film, in Italia avrebbero qualche problema con il titolo. Perché altro che “Non è un paese per vecchi”, il nostro è ormai diventato il regno incontrastato degli anziani. E non è un’impressione da chi guarda i capelli bianchi aumentare in metropolitana: è la fotografia scattata nientemeno che dall’Inps.
Entro il 2043, ci saranno 6,2 milioni di pensionati over 65 che vivranno da soli (+38%) e 4 milioni di over 75 (+4%) sempre più isolati, senza una rete familiare capace di sostenerli. Il tutto mentre la popolazione complessiva si restringe come un maglione di lana lavato male: dai 59 milioni del 2023 ai 58,6 del 2030, fino a 54,8 nel 2050 e addirittura 46,1 nel 2080.
Una discesa lenta e inesorabile, guidata da due motori ben oliati: l’invecchiamento e il crollo della natalità. Il primo è da record: l’Italia ha l’età media più alta d’Europa (48,7 anni), contro i 44,7 della media continentale. Ma non solo: negli ultimi dieci anni è aumentata di 4 anni, mentre la media europea è cresciuta di appena 2,2.
Quanto alle nascite, qui entriamo nella zona horror del grafico: nel 2024 il tasso di fecondità è crollato a 1,18 figli per donna, nuovo minimo storico, peggio anche del famigerato 1995. E no, neppure negli scenari più ottimistici – quelli in cui si fanno finta di non vedere le bollette, i mutui e gli stipendi da fame – si riuscirebbe a compensare i decessi.
Nel frattempo, mentre i neonati si fanno desiderare, i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni hanno preso un’altra strada: l’autostrada per l’estero. In dieci anni se ne sono andati 352 mila, ma solo 104 mila sono tornati indietro. Il che significa che non solo perdiamo residenti, ma perdiamo pure quelli con l’età e le competenze per tenere in piedi il Paese.
Risultato? Un’Italia che diventa sempre più grigia, sempre più sola, sempre più in cerca di una badante… o di un miracolo. E a questo punto, visto l’andazzo, tanto vale fare pace con i nonni, chiedergli la paghetta e preparargli un comodo divano: tanto saremo noi a doverci sedere lì molto prima di quanto immaginiamo.
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