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Spettacolo

90 di questi giorni, Paperino

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    Tanti auguri Donald Duck! Sai perchè ti vogliamo un gran bene? Perchè con la tua spiccata caratteristica di antieroe hai attraversato decenni dell’intrattenimento, rappresentando ostinata calamita per tutte le avversità. A differenza di Topolino, piuttosto saccente e sempre con la risposta pronta… tu incarni i dubbi e le debolezze che fanno parte del nostro quotidiano di umani qualunque! E in epoca di superuomini (e di superpaperi…), è un motivo di distinzione.

    Un esordio datato 1937

    Magician Mickey si intitola un cortometraggio del 1937 e diretto da David Hand, il regista di Biancaneve e i sette nani. Topolino si esibisce sul palco in numeri di magia, ma qualcuno nel pubblico è geloso. È un personaggio nato appena tre anni prima, ma già graficamente definito… che corrisponde ad un papero!

    L’emblema della debolezza umana

    Già dal suo esordio nella Silly Symphony dal titolo The Wise Little Hen (9 giugno del 1934, La gallinella saggia, diretto da Wilfred Jackson) si comprese subito che tiposia: un simulatorie di malanni per sfuggire al lavoro, insieme al compare Meo Porcello. Non solo Paperino rappresenta l’opposto caratteriale del solare, sereno e ottimista Topolino, ma in Magician Mickey arriva a contestarlo addirittura lo contesta attivamente con il famoso. “Everybody can do that!” ( Questo lo possono fare tutti!”). Si tratta di invidia quella di Paperino, una debolezza umana che tutti noi viviamo.

    Intuito e capacità d’adattamento

    Donald Duck è un Don Chisciotte palmato che lotta contro i mulini a vento. Non è uno stupidone come Pippo e neanche intelligentissimo come Topolino. Anche se è consapevole di quello che gli accade, con l’intuizione giusta per accomodare alla meglio le disgrazie che gli capitano. Paperino siamo tutti noi!

    In guerra

    Da notare: quando il suo creatore Disney accetta di realizzare i corti a cartoni animati da usare come propaganda bellica della II Guerra Mondiale… manda al fronte lui! Non manda Topolino. Non manda Pippo. Manda Paperino, perché la guerra è una brutta e seria faccenda, che non ammette ingenuità né alienazione: è roba da uomo comune. E allora… tatissimi auguri Donald!

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      Musica

      Anna Pepe, la ragazza che ha ribaltato il rap e i conti: tour sold out, 4 milioni di copie e una società che macina milioni

      Dai sold out in tutta Italia ai 6 miliardi di streaming, passando per una Baddie srl capace di generare oltre 2 milioni in pochi mesi: Anna Pepe è il nuovo fenomeno dell’industria musicale, con numeri che mettono in fila nomi come Annalisa, Elodie e Giorgia.

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        Negli ultimi quindici giorni ha riempito i palazzetti di mezza Italia. Mantova il 16 novembre, poi Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Roma e infine Padova e Torino. Un tour fulmineo, tutto sold out, che certifica quello che ormai è evidente a chiunque osservi anche distrattamente il panorama musicale italiano: Anna Pepe è la star assoluta della Generazione Z, la voce femminile rap più ascoltata della penisola e un fenomeno industriale che non accenna a rallentare.

        A 21 anni, con oltre 4 milioni di copie vendute e 6 miliardi di ascolti complessivi, Anna ha già conquistato 8 dischi d’oro e 39 platino, numeri che fino a pochi anni fa sarebbero sembrati fantascienza per un’artista così giovane. Ma il dato più sorprendente non riguarda solo la musica: è il modo in cui Anna ha trasformato il suo percorso artistico in un’impresa che macina utili e batte in efficienza nomi ben più navigati.

        Il 14 febbraio 2024, mentre l’Italia festeggiava San Valentino, la rapper registrava alla Camera di commercio di Milano la sua società: Baddie srl. Da quella scatola operativa, il 28 giugno, è uscito il primo album registrato in studio, Vero Baddie, lo stesso titolo del tour che sta portando migliaia di ragazzi sotto un palco. Risultato? In dieci mesi la società ha incassato 2,172 milioni di euro. Una performance che sfiora il fatturato di Annalisa nello stesso anno (2,79 milioni), supera di slancio quello di Elodie (1,386 milioni) e doppi quello di Giorgia (893mila euro). Ma soprattutto: Anna ha generato 717.237 euro di utile netto. Un abisso rispetto ai 163mila di Elodie e ai 107mila di Giorgia.

        Una parte del merito va anche all’assetto societario. L’80% della Baddie srl è suo. Il restante è equamente diviso tra i genitori: Cristian Pepe, ex centrocampista dello Spezia poi diventato DJ, e Stella Sanvitale, artista poliedrica attiva tra pittura, illustrazione, scultura e fotografia. Una famiglia che ha saputo trasformare un talento naturale in un progetto strutturato, solido e già molto più redditizio di molte realtà consolidate dell’industria musicale italiana.

        A colpire non è solo la rapidità della scalata, ma la sicurezza con cui Anna si muove in un mercato che di solito divora i giovani talenti. Lei, invece, sembra aver trovato il modo di tenere insieme numeri, credibilità e un immaginario che parla perfettamente ai ragazzi. Il futuro, a questo punto, è già iniziato. E corre veloce quanto i suoi beat.

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          Televisione

          Kabir Bedi benedice il nuovo Sandokan, ricorda i suoi giorni eroici e confessa il dolore più grande: “Io, la tigre, e il suicidio di mio figlio”

          Tra orgoglio, nostalgia e ferite mai rimarginate, Kabir Bedi racconta la sua epoca d’oro, i rischi sul set senza controfigure, il successo mondiale e la perdita del figlio Siddharth. Sul nuovo Sandokan: “Ogni epoca ha il suo modo di raccontare un classico”.

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            Per molti italiani, Sandokan ha il volto magnetico di Kabir Bedi. Occhi di tigre, fascino indomabile, sguardo che attraversava lo schermo. E oggi, con il ritorno della Tigre della Malesia in versione Can Yaman e con gli ascolti della nuova serie Rai schizzati alle stelle, il confronto è inevitabile. “Ogni epoca ha il suo modo di raccontare un classico”, dice Bedi, che dalla lontana Londra manda un augurio sincero al collega turco: “Can Yaman è molto bravo e molto bello. A me, al trucco, mettevano solo un po’ di matita…”.

            La leggenda, però, comincia nel 1976. “Noi non avevamo effetti speciali”, ricorda. Eppure quelle scene — il salto della tigre, le cavalcate, i duelli — sono rimaste scolpite nella memoria collettiva. “Nessuna controfigura. Una volta ho rischiato di affogare”, racconta ridendo. Il suo Sandokan nasceva da un set povero ma coraggioso: “Gli operatori erano dietro una grata. Io davanti alla tigre vera. Mi dicevano: ‘Stai tranquillo’. Io rispondevo: ‘Venite voi, allora!’”.

            Quell’interpretazione lo trasformò in una star mondiale, ma il successo portò con sé anche una gabbia dorata. “All’inizio fu ingombrante. Ho dovuto accettare ruoli da cattivo per dimostrare che ero un attore completo”. Eppure l’epopea di Sollima resta irripetibile: “Eravamo bravi ed eravamo amici. Con Philippe Leroy e Adolfo Celi ci sentivamo ancora dopo anni”.

            Poi c’è la ferita che nessuna gloria può cancellare: la morte del figlio Siddharth, suicidatosi a venticinque anni. Bedi non la nasconde, non la addolcisce. “Ho fallito. Non sono riuscito a evitarlo. Non può esistere dolore più grande”. Una confessione che restituisce il volto umano dietro l’eroe televisivo che aveva insegnato a intere generazioni il valore della libertà e della giustizia.

            Il resto è storia. L’arrivo in Italia senza cappotto, i provini massacranti di Sollima (“Mi fecero nuotare, cavalcare, tirare di scherma…”), la Perla di Labuan interpretata da una giovanissima Carole André (“Era molto triste, aveva appena perso il padre”), l’amore del pubblico italiano (“L’Italia è casa mia. Essere nominato Cavaliere della Repubblica è un onore immenso”).

            E oggi, mentre il nuovo Sandokan divide, Bedi resta il punto di riferimento. “Dentro di me, un po’ sono ancora lui”, confessa. E i boomer — quelli che alle figurine ripetevano il salto della tigre — lo sanno benissimo.

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              Cinema

              George Clooney confessa: “Quel maledetto di Brad Pitt! Mi soffiò Thelma & Louise e ci ho messo anni a perdonarlo”

              Nel 1991 Clooney e Pitt erano entrambi emergenti e in corsa per lo stesso ruolo. Pitt lo ottenne, diventò una star e Clooney non guardò il film per anni. Ora l’attore ammette: “Doveva farlo lui”. E Geena Davis rivela: “Ho scelto il ragazzo biondo”.

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                A volte il cinema scrive i suoi destini con un casting, un provino e un po’ di karma. E George Clooney, che oggi è uno degli uomini più potenti di Hollywood, non ha problemi a raccontare quando quel destino gli è passato davanti… con il volto perfettamente scolpito di Brad Pitt.

                Parlando con Screen Rant, Clooney ha ricordato il provino più amaro della sua carriera: quello per Thelma & Louise, il film del 1991 di Ridley Scott che avrebbe lanciato Pitt nell’Olimpo del cinema. «Eravamo io e Brad. Entrambi in difficoltà, agli inizi. Lui ce l’ha fatta, io no. E sì, ero incazzato», ha confessato con la sua ironia elegante. «Non ho guardato il film per anni. Pensavo: “Quel maledetto…”».

                Brad Pitt, in effetti, in quel ruolo di J.D. — jeans larghi, cappello da cowboy, sorriso da rapina — diventò immediatamente un’icona. «Poi l’ho rivisto e ho pensato: doveva farlo lui. Funziona così: certe cose sfuggono, ma per buone ragioni. Non puoi vivere pensando: “Quello dovevo farlo io”».

                Una battuta d’altri tempi, eppure la storia del provino perfetto ha un retroscena ancora più gustoso. A raccontarlo è stata Geena Davis, protagonista del film. Ai microfoni del Graham Norton Show ha ricordato la “finalissima” per il ruolo di J.D.: Brad Pitt, George Clooney, Grant Show e Mark Ruffalo. Tutti belli, tutti bravi, tutti castani.

                Finché non entra Pitt.
                «Era così carismatico che mi ha mandato in tilt. Ho dimenticato tutte le battute. Pensavo soltanto: “Mamma mia, che talento”. Quando mi hanno chiesto una preferenza ho risposto subito: “Il ragazzo biondo!”».

                Una scelta impulsiva che ha riscritto la carriera di tutti: Brad Pitt è diventato la star che conosciamo, Clooney avrebbe trovato la sua consacrazione qualche anno dopo, e Thelma & Louise è rimasto nella storia come un film cult capace di rigenerarsi a ogni generazione.

                Oggi i due attori sono amici, complici sul set della saga di Ocean’s, e perfettamente consapevoli che a Hollywood le strade si incrociano, si perdono e poi tornano a unirsi. Ma Clooney quel sassolino se l’è tolto, con un sorriso che vale più di mille red carpet: «Per anni ho pensato: “Quel maledetto di Brad”…».

                E in fondo, chi non l’avrebbe pensato?

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